La Tunisia sta vivendo una fase delicata nella sua transizione e si trova ad affrontare una triplice sfida: politica, economica e sociale. Ma che cosa sta accadendo? Proviamo a raccontarlo con 5 semplici domande. Le risposte vengono date da uno dei maggiori esperti su questo argomento: Emanuele Santi, Economista principale incaricato della Tunisia presso la Banca Africana di Sviluppo. La maggiore libertà che ha portato il confronto, un franco scambio di idee, ha portato la paura. Cosa attende i giovani tunisini?
Qual è la situazione in questo momento in Tunisia? Ci spieghi in termini semplici quali le fazioni e a che punto siamo.
Come dice, la situazione è delicata. La Tunisia deve cercare di costruire un nuovo modello di governance democratica, rilanciare la propria economia in un momento internazionale poco favorevole ed in un contesto di forti pressioni sociali interni, derivanti da problemi non risolti quali la disoccupazione giovanile e l’ineguaglianza sociale. Dopo un anno e mezzo dalle prime elezioni libere, manca ancora un calendario definito per la finalizzazione della Costituzione e per l’organizzazione delle prossime elezioni. L’assassinio di un leader politico dell’opposizione di orientamento laico, avvenuto la scorsa settimana, ha provocato un’ondata generalizzata di protesta popolare con manifestazioni di piazza in numerose località del Paese. La proposta dell’attuale primo ministro Hamadi Jebali di formare un governo tecnico di larghe intese, capace di guidare la transizione ed organizzare le elezioni, potrebbe risolvere l’impasse, ma, nell’attuale stato delle cose, non è ancora certo se la proposta verrà accolta. Il paese vive questi giorni con il fiato sospeso.
Dal punto di vista economico come vede la situazione? Siamo di fronte a un crollo dell’industria turistica e di un’inflazione che ormai è alle stelle.
Dopo una contrazione del PIL di quasi il 2% nel 2011, la Tunisia ha avuto una moderata ripresa economica nel 2012, stimata attorno al 3,5%. Una buona stagione dal punto di vista dell’agricoltura, una ripresa del turismo e degli investimenti diretti esteri (IDE), la ripresa della produzione di fosfati, quasi bloccati nel 2011 a causa delle proteste popolari nelle zone minerarie, hanno contribuito a raggiungere questa performance. La crisi economica e finanziaria in Europa e il conseguente calo della domanda estera hanno influenzato negativamente le esportazioni del settore off-shore, in particolare i prodotti tessili e dell’industria meccanica. Nel complesso tuttavia, le attività produttive hanno beneficiato di clima sociale relativamente più stabile rispetto all’anno precedente ed il mantenimento della domanda interna e proveniente dalla Libia hanno sostenuto l’economia. Per tutto il 2013 la ripresa continuerà, ma non a ritmi sufficienti per far fronte alle molteplici sfide socio-economiche del paese. L’industria turistica è in netta ripresa con un aumento del 45% di permanenze (notti in hotel) registrato nel 2012 rispetto all’anno precedente, e del 30% di proventi nel settore alberghiero (di fatto raggiungendo le cifre della Tunisia prima della rivoluzione). Tuttavia il settore è tra i più vulnerabili, risentendo della situazione di sicurezza attuale nel paese. Il settore soffre, inoltre, per il fatto di essere basato su un modello di turismo balneare a basso costo. Lo sviluppo di un turismo alternativo legato alle numerose attrazioni del paese, per esempio sul piano archeologico e naturalistico, è auspicabile e fattibile. L’inflazione, con conseguente perdita di potere d’acquisto, è un’altra preoccupazione delle famiglie tunisine, anche se lontana dalle cifre a due zeri tipiche di situazioni simili di transizione. Nel 2012 si è attestata al di sotto del 6%, e dovrà ridursi leggermente nel 2013.
Sono molte le preoccupazioni anche sull’ordine pubblico, a partire dalle Università. Ci sono novità in tal senso?
E’ chiaro che in seguito alla rivoluzione le preoccupazioni sull’ordine pubblico sono aumentate. L’apertura di un nuovo spazio di discussione e la maggiore libertà, sperimentata grazie alla fine della « paura », ha permesso il confronto, lo scambio di idee, che spesso hanno avuto dei risvolti violenti. In parte ciò è legato al fatto che il paese sta «sperimentando » il gioco democratico, ma certamente anche l’influenza di attori esterni sta avendo il suo ruolo. L’estremismo religioso è emerso con una certa forza, ma resta ancora a mio avviso marginale e poco diffuso tra una popolazione relativamente moderate e progressista. La porosità delle frontiere con l’Algeria e la Libia rappresenta una preoccupazione ulteriore. Nonostante tutto questo, la Tunisia di oggi resta un paese relativamente calmo e senza grossi problemi di sicurezza, soprattutto se comparato ad altri paesi in via di sviluppo.
Basta leggere l’intervista all’Ambasciatore tunisino a Parigi per allarmarsi però. Sembra quasi non sappiano come uscirne. Che ruolo può giocare l’Europa secondo lei?
La Tunisia e i tunisini hanno dimostrato un grande pragmatismo e un’ottima capacità nel superare la crisi. E’ un paese piccolo e relativamente omogeneo, quindi non mi attendo le degenerazioni incontrollabili che abbiamo visto in altri paesi. In più, due attori che hanno avuto un ruolo determinante durante la rivoluzione, la funzione pubblica e l’esercito, potrebbero ancora giocare un ruolo importante in questo momento delicato. La prima è competente e patriottica ed ha assicurato una continuità del servizio pubblico anche nei momenti più difficili del post rivoluzione. L’esercito, dal canto suo, e’ stato ed e’ visto ancora da molti come garante della rivoluzione, assicurando la sicurezza senza cadere nella tentazione di prendere le redini del potere. L’Europa, cosí vicina storicamente e geograficamente alla Tunisia, non dovrebbe, a mio avviso, inserirsi forzatamente in un processo democratico in corso, che si vuole patriottico cosí come gli attori che sono in gioco. Dovrebbe invece essere reattiva nel sostenere in tutti i modi pacifici possibili una transizione ordinata: l’accesso ai mercati europei, dal punto di vista commerciale ma anche dei mercati del lavoro, è il modo più efficace di sostenere un paese in transizione. Il processo democratico è fortemente legato allo sviluppo economico, e in una situazione delicata come quella tunisina, l’Europa potrebbe davvero dimostrare la sua volontà nell’evitare ingerenze politiche ma nel porre le basi per il rilancio economico del paese. L’Europa non deve inoltre entrare nel gioco di chi vuole far fallire la rivoluzione alimentando paure non necessarie. Alcune affermazioni di politici e giornalisti europei, dipingendo scenari apocalittici, non fanno che distruggere il potenziale di ripresa, bloccando il rilancio di turismo e investimenti.
Quali le prospettive per i giovani di questo paese che guardano al futuro?
Le prospettive non sono incoraggianti. Il paese ha un problema di disoccupazione strutturale, soprattutto per i giovani laureati. Negli ultimi decenni il paese ha operato una “massificazione” della formazione, trasformatasi in un‘esplosione di università e di nuovi laureati. L’economia non è stata al passo, non riuscendo ad abbandonare il proprio modello basato sull’estrazione, sul turismo di massa e sul tessile, tutti settori in gran parte basati su mano d’opera non qualificata. Come risultato il mercato locale assorbe al massimo 30.000 laureati all’anno, contro i 60.000 laureati che escono dalle università ogni anno. La trasformazione strutturale dell’economia tunisina è dunque prioritaria per poter garantire maggiori opportunità di inserimento dei giovani laureati. È chiaro inoltre che il paese deve approfittare anche della prossimità di altri mercati per le proprie merci e per gli investimenti oltre che per una possibile migrazione controllata di mano d’opera e know-how. In questo senso la Libia, che impiegava oltre 100.000 lavoratori tunisini prima della rivoluzione e ha contribuito fortemente alla perfomance dell’export tunisino negli ultimi due anni, il Maghreb e il continente Africano costituiscono delle opportunità interessanti. Un’altra soluzione e’ quella dell’imprenditorialità giovanile, che però soffre oggi a causa di una certa reticenza a investire e creare un proprio business. Questo e’ normale, soprattutto in una fase di transizione e in vista di anni in cui l’imprenditorialità era repressa da un regime e una cultura che non incoraggiavano lo spirito imprenditoriale libero. Oggi, però, c’è ancora una speranza, grazie all’apertura di molti settori economici a lungo rimasti chiusi e alla nascita di nuovi programmi di sostegno all’imprenditorialità, tra cui il Souk Attanmia ( www.soukattanmia.org), il programma pilota lanciato dalla Banca Africana di Sviluppo assieme a 19 partners dell’ « ecosistema tunisino » per sostenere l’imprenditoria giovanile.