In 3 sorsi – Con l’appoggio ad Hamas, Kais Saied inaugura definitivamente un nuovo corso per la politica estera tunisina che rischia di lasciare il segno all’interno delle relazioni euromediterranee. Ciò, a meno di un improbabile cambio di rotta da parte di Bruxelles in Medio Oriente e una soluzione al conflitto ucraino.
1. TUNISI SORRIDE A EST
Che il Presidente tunisino Kais Saied volesse marcare una rottura rispetto alla politica estera del padre fondatore della Tunisia indipendente Habib Bourguiba, e quella del suo successore Ben Ali, era già chiaro un anno fa, quando l’ex professore di diritto costituzionale decideva di ospitare sul suolo tunisino il Presidente dell’autoproclamata Repubblica Araba Democratica Saharawi (RASD) Brahim Ghali, aprendo a un’inedita crisi diplomatica con il Marocco. La scelta evidenziava la necessità tunisina di porsi all’interno dell’alveo algerino, finanziatore del debito tunisino, e forse lanciare qualche segnale più a est. La guerra in Ucraina ha infatti prosciugato le riserve di grano tunisine e aumentato l’inflazione interna, rendendo impossibili gli acquisti a credito e quindi l’importazione di derrate alimentari. È probabilmente questa la causa delle due visite in tre mesi — prima a San Pietroburgo e poi a Mosca — del Ministro degli esteri tunisino Nabil Ammar al suo omologo Sergey Lavrov, concretizzatesi poi in due carichi di grano giunti in Tunisia tra settembre e ottobre 2023 a titolo gratuito. È in questo contesto che si pone il fallimento del Memorandum sottoscritto tra Tunisi e Bruxelles nel luglio di quest’anno (per un valore totale di 255 milioni di euro), appellato dal nuovo Rais come “carità” a seguito del versamento della prima tranche da 60 milioni, richiesta esplicitamente dal Governo tunisino in data 31 agosto.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar (a sinistra) e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov (a destra) si stringono la mano durante una conferenza stampa congiunta a Mosca il 26 settembre 2023
2. L’ABBANDONO DELLA SOLUZIONE DEI DUE STATI IN PALESTINA
Se i problemi di comunicazione all’interno dell’apparato burocratico tunisino sono cosa risaputa, ciò che risulta meno chiara è l’impronta che Saied intende attribuire al proprio Paese in termini di politica estera. Era il 1965 quando Habib Bourguiba pronunciava a Gerico (Cisgiordania) il discorso a favore della soluzione dei due Stati alla questione israelo-palestinese, linea politica mantenuta poi dal suo successore Ben Ali. Il 7 ottobre 2023, in seguito alla rappresaglia israeliana in risposta all’operazione “Alluvione al-Aqsa” eseguita da Hamas, Saied sembra tuttavia aver cambiato approccio, chiedendo il ripristino di una Palestina araba “nelle sue terre storiche”. Anche se non è chiaro cosa ciò esattamente significhi (vista l’assenza di confini antecedenti al mandato britannico in Palestina), è evidente la volontà di Saied di spingersi laddove nemmeno Ennahda — parente stretto di Hamas, in quanto entrambi ramificazioni della Fratellanza Musulmana — aveva osato avventurarsi. Saied ha infatti ribadito come ogni normalizzazione dei rapporti con Israele sia considerata “alto tradimento”. A suo dire la decisione non sarebbe dettata unicamente da un sentimento di fratellanza araba, ma da ragioni religiose, in particolare dal fatto che Gerusalemme è il terzo luogo più sacro dell’Islam, nonché sito originale della qibla. La svolta rappresenta un ulteriore passo verso Algeri (uno dei più strenui sostenitori di Hamas) — che aveva condannato il Marocco per la sua partecipazione negli accordi di Abramo del 2020 — e un passo indietro nei confronti di Paesi arabi vicini al blocco occidentale, tra cui Abu Dhabi.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Una bandiera palestinese viene sventolata tra le altre bandiere nazionali tunisine durante una manifestazione indetta dal partito tunisino Ennadha di ispirazione islamica contro i decreti del Presidente Kais Saied, nel centro della capitale Tunisi, il 13 febbraio 2022
3. SAIED: IL DIFENSORE DELLA CAUSA ARABA
Che significato attribuire allora all’abbandono della “neutralità positiva” tunisina in politica estera? Saied non è un pan-arabista, tantomeno un difensore della causa palestinese, quanto un cinico conservatore populista poco incline alla democrazia, che necessita di crisi e nemici esterni per ricompattare il fronte interno e distrarre l’opinione pubblica tunisina, compensando la completa assenza di un programma socioeconomico per risollevare il Paese. Il supporto ad Hamas non solo compiace e acquieta la componente islamista, ma risolleva il sentimento nazionale tunisino, che si riscopre unito sotto la propria identità araba, minata dalle politiche filosioniste europee, e offesa da quelle di esternalizzazione del controllo migratorio. Se la minaccia migratoria e l’avanzata russa in territorio saheliano (Niger, Mali, Burkina Faso, Sudan, Libia) già permettono a Saied di stare con un piede in due scarpe e di fare la voce grossa con l’Europa, la nuova crisi israelo-palestinese e la postura europea nel conflitto non fanno che rafforzarne la posizione: capaci di fare di un dittatore il difensore dei diritti umani e della causa araba. Bruxelles dipende oggi da Algeri e Tunisi — legate sempre più a doppio filo — non solo per i flussi migratori, ma per l’approvvigionamento energetico e la transizione al verde (leggasi ELMED). Il prolungarsi dei due confitti (ucraino e israelo-palestinese) rischia tuttavia di spingere Tunisi sempre più a largo verso Mosca, o addirittura nei BRICS.
Pietropaolo Chianese
Immagine di copertina: “Defense Secretary Dr. Mark T. Esper meets with Tunisian President Kais SaiedU.S Secretary of Defense” by Lisa Ferdinando is licensed under CC BY