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Reportage da Riga (I): fra i russi della Lettonia

AnalisiNella seconda metà di luglio Christian Eccher si è recato in Lettonia. Nel suo reportage emerge un Paese complesso e diviso, alle prese con problemi economici, divieti linguistici e la paura dell’ingombrante vicino russo.

IN CENTRO, TRA TURISTI E PROSTITUTE

Il centro di Riga, la capitale della Lettonia, d’estate è invaso da migliaia di turisti. La città si è adeguata alle necessità dall’industria del turismo e, negli androni dei palazzi storici, dove un tempo c’erano le stalle per ospitare i cavalli e le botteghe artigiane, ora si trovano lussuosi negozi di abiti firmati e locali alla moda, che offrono cibo e bevande alcoliche. La sera, il centro di Riga si trasforma in un grande parco dei divertimenti. Nei bar, oltre ai camerieri e ai clienti già brilli alle 9 di sera, siedono anche le prostitute, a cui il Governo non vieta di operare a patto che l’atto sessuale avvenga in appartamenti privati. Sono ragazze normali, spesso studentesse che vengono dalla campagna e che guadagnano da vivere in questo modo. Incuriosito, entro in un disco pub e aspetto che una di queste ragazze mi si avvicini, cosa che avviene dopo pochi minuti. Una biondina, alta, magra, mi chiede se può sedersi accanto a me e iniziamo a chiacchierare. Le confesso di essere italiano e di vivere in Serbia. “Vivere a Riga è molto caro. Questo lavoro rende bene e non si pagano neanche le tasse”. Dice di chiamarsi Beata, di avere 23 anni e di prostituirsi solo durante i fine settimana. “Riga è famosa per le sue belle ragazze e per le sue prostitute – mi dice ridendo, – solo che molti occidentali pensano ancora di poter trovare sesso a basso costo, come dopo la caduta del muro di Berlino. Adesso, i prezzi sono alti e soprattutto voi italiani rimanete delusi e scegliete donne brutte pur di pagare meno”. Le chiedo quanto costi una notte con lei e quanto con una cosiddetta ragazza brutta. A questa domanda, l’espressione del suo viso cambia improvvisamente e da sorridente e sensuale si fa seria e preoccupata: “Perché poni di continuo domande? Sei venuto qui per divertirti o per farmi l’interrogatorio? Sei forse un poliziotto?”, mi chiede. “Giornalista”, ripondo. “Peggio ancora, arrivederci, anzi no, sparisci prima che chiami la sicurezza”. Lascio i soldi della consumazione sul tavolo, mi avvio verso l’uscita del locale, mentre sento Beata che ad alta voce dice a una collega: “Italiano, vive in Serbia e fa il giornalista. Una spia, magari lavora per i russi!”. Fuori, la marea di turisti mi avvolge e mi impedisce di andare verso la fermata del tram. Pakistani e indiani in bicicletta, invece, riescono agilmente a evitare le persone; portano sulle spalle gli zaini con la scritta “Glovo”. Stanco e demotivato, esco a spintoni dal vicolo stretto per tornare nel quartiere di Imanta, alla periferia della città. Una zona anonima, residenziale, costruita in epoca sovietica ma ancora autentica, lontana dagli eccessi del turismo neoliberista e globale.

Fig. 1 – Una via del centro di Riga | Foto: Christian Eccher

IMANTA, TRA I RUSSI DELLA LETTONIA

Tatjana abita in un appartamento di un palazzo di Imanta, l’ultimo, poi la città finisce. Davanti all’edificio di nove piani, ci sono solo la strada, il capolinea del tram, la tangenziale per l’aeroporto costeggiata da un bosco di abeti, immenso, che arriva fino alle spiagge del Mar Baltico, a una decina di chilometri da qui. Tatjana e il marito abitano a Riga dagli anni Ottanta, quando si sono trasferiti in Lettonia da Tomsk, in Siberia. Il marito di Tatjana, Mihail, era un autotrasportatore e lavorava per conto dello zuccherificio di Riga, chiuso a seguito del crollo dell’URSS e delle privatizzazioni avvenute negli anni Novanta. Mihail ha girato, con il suo camion, tutti i Paesi del blocco sovietico. Adesso vive con una pensione di circa 300 euro al mese. Tatjana lavora ancora come aiuto-cuoca in un ristorante del centro. “Non so se abbiamo fatto bene a rimanere – dice Tatjana, – dagli anni Novanta in poi, i Governi lettoni non hanno dimostrato alcuna simpatia nei confronti di noi russi. Da quando è cominciata la guerra in Ucraina, poi, la situazione si è fatta davvero pesante; da anni, il russo non è più lingua ufficiale. Eppure tutto quello che vedi, a cominciare dal quartiere in cui ci troviamo, è stato costruito durante il periodo sovietico!”. Tatjana è molto delusa dalle politiche neoliberiste successive al crollo dell’URSS: “I Governi che si sono succeduti hanno venduto tutto ciò che era pubblico, a cominciare dalla fabbrica di zucchero in cui lavorava mio marito. Anche uno dei tre padiglioni del mercato centrale è stato dato in mano ai privati, si vendono souvenir per i turisti”. Nel 2012 il Governo lettone ha promosso un referendum per abolire la lingua russa come ufficiale: quasi il 75% della popolazione ha votato sì. È però dal 2019 che il russo è stato eliminato gradualmente dalle Istituzioni. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il processo di divieto dell’uso della lingua di Tolstoj è stato completato e, in Lettonia, non ci sono più scuole in lingua russa, nonostante il 38% degli abitanti di Riga sia di nazionalità russa (nel resto della Lettonia, il 25% della popolazione è russa). Dal 2022, si è creata una separazione fra lettoni e russi che ricorda l’apartheid, con le due etnie che vivono vite completamente separate. “Noi delle vecchie generazioni non abbiamo problemi – dice Tatyana – qui nel mio condominio abitano sia russi sia lettoni. Con i lettoni beviamo il caffè, io parlo lettone e loro russo, ci espriamo in entrambe le lingue anche se, da quando è stato vietato come lingua ufficiale, io parlo solo russo. Il problema sono le nuove generazioni: i giovani lettoni e quelli russi quasi non comunicano e, in alcuni casi, parlano fra loro in inglese! Una cosa però unisce sia i giovani russi sia quelli lettoni: appena possono, scappano da qui!”. Tatyana ha ragione: la vita in Lettonia è molto cara, un caffè espresso costa 3 euro, i prezzi nei supermercati sono europei, le paghe medie non superano i 1.000 euro e la pensione minima è di soli 180 euro mensili.  I giovani, appena possono, se ne vanno; le mete preferite sono l’Europa occidentale e Cipro. “Mio marito ha lavorato per 42 anni e prende una pensione di 300 euro! – Dice sconsolata Tatyana. – Per questo, per vivere, affittiamo una camera del nostro appartamento agli studenti”. Anche Maria conferma che la vita in Lettonia è difficile. Maria ha circa 30 anni, due figli piccoli e si è trasferita a Riga da Mosca dopo aver conosciuto il marito durante gli studi universitari. Abita nello stesso stabile di Tatyana. “L’affitto del nostro appartamento costa circa 500 euro al mese, e siamo nell’estrema periferia della città. Le spese, da quando la Lettonia non compra più il gas russo, sono salite a 210 euro al mese. Io al momento sono senza lavoro. Mio marito guadagna sui 1.000 euro al mese. Se non ci fossero i suoi genitori, e i lavoretti che io faccio in nero, non so come potremmo vivere…” I figli di Maria vanno alla scuola elementare in lingua lettone: “Siamo davanti a un paradosso – dice Maria con un sorriso amaro – tutti i bambini nella classe dei miei figli sono russofoni, ma le lezioni sono rigorosamente in lettone, una lingua che i bambini non parlano né fra loro né a casa. Studiare la matematica o la storia in una lingua straniera è davvero difficile. Questi bambini partono già svantaggiati rispetto a quelli lettoni. Due anni fa, poi, si sono aggiunti dei piccoli, profughi ucraini, che parlavano solo russo. La maestra si rivolgeva a loro esclusivamente in lettone, gli altri bambini traducevano per loro in russo… Una situazione assurda”.

Fig. 2 – Un altro scorcio suggestivo della capitale lettone | Foto: Christian Eccher

I NON CITTADINI

Per prendere la cittadinanza lettone, gli stranieri (vale a dire tutti coloro che non sono di nazionalità lettone) devono sostenere un esame di lingua. Chi non sa il lettone o, come il figlio di Tatyana, si rifiuta di sostenere l’esame, può richiedere un passaporto apposito rilasciato dalla Repubblica lettone. È un passaporto per i non cittadini (da non confondere con gli apolidi), riconosciuto dall’UE e dalla Federazione Russa, cosa che permette ai possessori di viaggiare senza problemi. “Mi rifiuto di fare l’esame di Stato, anche se so il lettone alla perfezione”, dice Vladimir, il figlio di Tatyana. Ha circa 40 anni, lavora come informatico e pensa di trasferirsi a San Pietroburgo. “Io a Riga sono nato, ho sempre vissuto qui, non devo dimostrare nulla a nessuno. Se vogliono darmi la cittadinanza, l’accetto, se non me la vogliono dare, non mi serve! So il lettone meglio degli esaminatori, sono bilingue così come i miei figli. Noi che abbiamo il passaporto di apolidi non possiamo neppure votare, mentre in Estonia anche chi non ha la cittadinanza ma vive nel Paese può andare liberamente alle urne. Il risultato di queste politiche rivolte contro il russo come lingua è che la gente emigra: molti russi della Lettonia si sono già trasferiti a Cipro e anch’io sto pensando di andare a vivere in Russia; non per motivi nazionali o ideologici, ma perché ho contatti di lavoro lì”. Vladimir continua il proprio ragionamento: “Le Autorità lettoni si stanno dando la zappa sui piedi. Molti russi che vivono qui vedono in Putin il liberatore, l’unico che possa ridare dignità al nostro popolo. Io Putin non lo tollero e per questo sono ancora indeciso se andare a vivere in Russia, ma qualcuno gli crede e lo aspetta. Vero, mamma, che qualcuno spera che quell’assassino di Putin arrivi fino a Riga?”, dice Vladimir e, con un sorriso sornione, guarda sottecchi Tatyana, che fa finta di nulla e continua a cucinare come se non avesse sentito il discorso del figlio.

Christian Eccher

Qui la seconda parte del reportage.

Photo by jorono is licensed under CC BY-NC-SA

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Perchè è importante

  • Le riforme neoliberiste hanno trasformato la Lettonia in un Paese dall’economia fragile poco competitiva.
  • I prezzi dei beni di consumo fondamentali sono altissimi, mentre la paga media supera appena i 1.000 euro mensili.
  • Il russo non è più la lingua ufficiale e proprio la questione linguistica è diventata una vera e propria ossessione linguistica per i Governi di Riga.

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Christian Eccher
Christian Eccher

Sono nato a Basilea nel 1977. Mi sono laureato in Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove ho anche conseguito il dottorato di ricerca con una tesi sulla letteratura degli italiani dell’Istria e di Fiume, dal 1945 a oggi. Sono professore di Lingua e cultura italiana all’Università di Novi Sad, in Serbia, e nel tempo libero mi dedico al giornalismo. Mi occupo principalmente di geopoetica e i miei reportage sono raccolti nei libri “Vento di Terra – Miniature geopoetiche” ed “Esimdé”.

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