Analisi – Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione (SOTEU), Ursula von der Leyen ha abbandonato i toni cerimoniali per lanciare un messaggio d’urgenza: l’Europa è sotto assedio – politico, militare, tecnologico – e deve diventare una potenza o sarà irrilevante. Ma chi l’ascolta, nell’emiciclo, è sempre più diviso e diffidente.
VON DER LEYEN, IL GRIDO PRIMA DEL TRAMONTO
Ieri mattina, nell’aula del Parlamento europeo a Strasburgo, Ursula von der Leyen ha pronunciato quello che potrebbe essere stato il suo ultimo (complici le tensioni con il Parlamento e le mozioni di sfiducia annunciate da più fronti) discorso sullo Stato dell’Unione Europea. Un appuntamento annuale pensato per fare il punto sulla rotta europea, che quest’anno ha assunto i toni drammatici di un testamento politico.
La Presidente della Commissione ha scelto la formula solenne: “Europe is in a fight”. Ma ha usato un tono nuovo: crudo, diretto, persino inquieto. Ha parlato di guerra – letterale e metaforica. Guerra contro le autocrazie, contro l’irrilevanza strategica, contro la dipendenza energetica, contro i coloni violenti, contro gli algoritmi che crescono i nostri figli, contro la disinformazione. Ma anche contro la paralisi dell’Unione. È stato un discorso a ranghi stretti: rivolto solo a chi, nell’emiciclo e fuori, crede ancora che l’UE sia qualcosa di più di un mercato regolato. Non ha cercato di piacere, ma ha cercato di scuotere.
Von der Leyen ha scandito una visione d’insieme: più che un bilancio, un manifesto d’urgenza. Sulla difesa, ha proposto un “semestre europeo” per coordinare investimenti, un “muro di droni” a protezione del fianco est, un prestito per l’Ucraina garantito con beni russi congelati. Sull’energia, ha promesso investimenti in tecnologie pulite e fabbriche di intelligenza artificiale “europee, efficienti, economiche”. Sulla competitività, ha evocato un nuovo “28esimo regime” per le startup e un mercato unico finalmente integrato su capitali, servizi e telecomunicazioni. E poi l’Euro digitale, le autostrade energetiche, la batteria europea, il pacchetto Draghi. Un’Europa armata, digitale, industriale. Un’Europa che ha smesso di raccontarsi come progetto di pace e inizia a pensarsi come potenza.
Fig. 1 – La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen pronuncia il suo discorso annuale sullo Stato dell’Unione durante la sessione plenaria al Parlamento europeo di Strasburgo, 10 settembre 2025
GAZA, UCRAINA, MIGRAZIONI: LA FRATTURA DELLA CREDIBILITÀ
Ma la potenza, da sola, non basta. E Von der Leyen lo sa. Per questo ha aperto un secondo fronte: quello della credibilità politica e morale. Ha chiesto sanzioni contro ministri israeliani e coloni violenti, la sospensione parziale dell’accordo di associazione con Tel Aviv, e ha promesso una “facility” per la ricostruzione di Gaza. Ha invocato la “soluzione a due Stati” come unica opzione realistica, riconoscendo però che l’UE è “divisa e in ritardo” – troppo. Sul fronte ucraino, ha ricordato che l’UE ha stanziato più aiuti di chiunque altro (finora, quasi 170 miliardi di euro), ma che la Russia deve pagare, anche economicamente. E ha avvertito che il tempo stringe: l’invasione è diventata una guerra di posizione, e la posizione dell’Europa è sotto osservazione. Sulla migrazione, ha difeso l’approccio del Patto europeo sulla migrazione e sull’asilo, ma ha chiesto più “realismo e fermezza”: rimpatri effettivi per i richiedenti asilo rifiutati, accordi con compagnie aeree e piattaforme digitali per smantellare il modello economico dei trafficanti e la loro propaganda via social, lotta agli scafisti. Ha parlato di un progetto che sia umano, ma non ingenuo. Di regole, non di visione. Eppure ha ribadito che la libertà, in Europa, significa scegliere chi siamo. Non chi lasciamo entrare.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Veduta dell’emiciclo del Parlamento europeo durante il discorso sullo Stato dell’Unione: i deputati ascoltano la Presidente von der Leyen, in un’atmosfera tesa e segnata da frequenti interruzioni e grida di dissenso provenienti dagli scranni dell’aula.
I SUSSURRI DI CHI DOVREBBE APPLAUDIRE
Il problema, però, è che tutto questo è stato pronunciato di fronte a un Parlamento che non sembra più voler ascoltare. Non si contano gli attacchi da ogni gruppo. I Popolari l’hanno sostenuta a parole, ma l’hanno smentita sui tempi, sulle colpe della sinistra, sull’agenda verde. I Socialisti l’hanno sfidata sul commercio, accusandola di cedere troppo a Washington e di aver abbandonato Gaza. I Verdi hanno chiesto l’embargo a Israele e attaccato il PPE sulla pretesa di rallentare la transizione energetica. Renew ha evocato la necessità di un “big bang istituzionale” per salvare il progetto europeo. La destra estrema ha chiesto le dimissioni. La sinistra radicale pure.
Nessuno ha contestato il fatto che serva un’Europa più forte. Ma ognuno ne vuole una diversa. Von der Leyen ha provato a indicare una direzione: autonomia strategica, resilienza digitale, indipendenza industriale. Ha usato il linguaggio della deterrenza e quello della conciliazione, ha proposto una politica europea per l’alloggio e uno scudo per la democrazia. Ma ha parlato a un’assemblea stanca, diffidente, frammentata. Forse, il suo discorso è stato troppo ambizioso per essere digerito. O forse è arrivato troppo tardi. In ogni caso, sebbene di grande potenza, si è trattato di un monologo.
Ginevra Dolce
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