Arriva a chiederselo la stampa israeliana. Vediamo come gli eventi della Freedom Flotilla sono stati vissuti in Israele. E tra le tante analisi dell’accaduto, emerge con forza una questione: ma in tutto questo, ora Israele è più sicuro? Ecco perché l’assedio di Gaza rischia di diventare sempre più un boomerang per la sicurezza dello Stato ebraico.
LA STAMPA – Passato qualche giorno, e delineati alcuni aspetti (seppur in maniera tutt’altro che definitiva) relativi alla dinamica dell’accaduto, appare ora possibile sottolineare alcune questioni del caso della Freedom Flotilla. Le nuove informazioni arrivate negli ultimi giorni permettono di analizzare più chiaramente l’azione israeliana. A tale proposito, è interessante conoscere come questo tragico episodio sia stato vissuto all’interno della società israeliana, prendendo spunto da alcuni contenuti emersi sulla stampa locale in questa settimana.
La parola che emerge con maggiore frequenza è trappola. Al di là dell’effettiva dubbia identità di alcune organizzazioni pacifiste, di questo si è trattato: una trappola in cui l’esercito è cascato come un dilettante. Pare che Netanyahu, appena avvertito dell’accaduto, fosse furioso: il Capo di Stato Maggiore israeliano, Gabi Ashkenazi, preannunciandogli un eventuale blitz sulle navi dei pacifisti, aveva garantito che non vi sarebbero stati rischi né per i soldati, né per i civili a bordo. Al di là del comportamento dell’esercito, le critiche all’esecutivo non si sono certo risparmiate, da più parti, anche con picchi estremi. Ne proponiamo qui una su tutte, di Ari Shavit, analista e giornalista di Haaretz: “Durante la guerra del
IL POPOLO – E cosa dice la gente? Un sondaggio a caldo pubblicato mercoledì dal quotidiano Maariv ha mostrato come il 63% degli Israeliani sostenga che la flottiglia si sarebbe potuta bloccare senza violenza né armi. Eppure, la maggior parte della gente resta ancora dalla parte del Governo e dell’IDF, l’esercito israeliano. Anzi, col passare dei giorni, e dopo i video della flottiglia attaccata resi pubblici dall’IDF, pare che gli Israeliani siano sempre più convinti della versione proposta da Israele, così come dimostrano diverse manifestazioni in tutto il Paese. Paradossalmente, negli ultimi giorni l’indice di popolarità del Governo appare in crescita. Come spiega il quotidiano Yedioth Ahronoth, “Ogni volta che c’è una crisi nazionale o un attacco da parte della comunità internazionale, gli Israeliani tendono sempre a schierarsi con il proprio Governo. Solo dopo iniziano a farsi domande, a chiedersi se si poteva agire in un altro modo, se si poteva evitare la via militare e se si è sbagliato in qualcosa. Vedi la guerra con il Libano nel 2006 e l’Operazione Piombo Fuso sulla Striscia di Gaza”.
SICUREZZA E ASSEDIO – I temi di analisi, rispetto a quanto accaduto, sono tanti e disparati. Un punto però emerge con prepotenza: Israele è oggi più sicuro, o era forse meglio, per la sicurezza di Israele, fare arrivare
Premesso che Israele da anni ha gravissimi problemi nella modalità di comunicare adeguatamente se stesso e le sue azioni, e che è bravissimo nell’autoflagellazione a livello mediatico e di immagini, è un fatto che Israele da sempre sia giustamente ossessionato dalla ricerca della propria sicurezza. Spesso però negli ultimi anni è accaduto che questa ricerca di sicurezza favorisse sovrareazioni spropositate e grandi errori, che finiscono col favorire i suoi avversari e nemici. Anche stavolta è accaduto questo. E al di là dell’episodio della flottiglia, è doveroso allargare il cerchio e soffermarsi brevemente su Gaza. Israele sta difendendo il proprio assedio di Gaza, per impedire che Hamas venga rifornito di armi e missili. Ma se è legittimo il timore israeliano di impedire rifornimenti ad Hamas, non è troppo alto il prezzo da pagare? Il blocco e l’assedio israeliano rappresentano attualmente una delle armi più potenti che Hamas – e, in senso lato, Iran ed Hezbollah – possono sfruttare contro lo stesso Israele. E a livello strategico, se questo blocco non viene accompagnato da una apertura concreta, e non solo di facciata, verso l’Autorità palestinese, e la ripresa dei negoziati del processo di pace, con tutto ciò che questo comporta (congelamento totale degli insediamenti in primis), il rischio boomerang sarà concreto, e Israele sarà riuscito nell’impresa di crearsi con le proprie mani un cordone territoriale ostile che va dalla Turchia alla Siria, dal Libano alla Giordania, dall’Arabia Saudita all’Egitto, fino, ovviamente, all’Iran. E, in tal caso, si avvereranno le parole lette su Haaretz: “Non stiamo più difendendo Israele. Stiamo difendendo l’assedio di Gaza. E l’assedio sta diventando il nostro Vietnam”.
Alberto Rossi