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Le mosse di Trump contro l’Iran a Varsavia

In 3 sorsi – Si è tenuta il 13 e 14 febbraio scorso a Varsavia la Conferenza sulla stabilità e la sicurezza in Medio Oriente, fortemente voluta da Donald Trump per compattare il fronte anti-Iran nella regione. Pesante l’assenza di molti rappresentanti europei tra gli oltre 60 Paesi presenti al summit.

1. IL SUMMIT

Decisamente sottotono rispetto alle aspettative, il 13 e 14 febbraio scorso si è tenuta a Varsavia, in Polonia, la Conferenza sulla stabilità e la sicurezza in Medio Oriente, un summit fortemente voluto dagli Stati Uniti di Donald Trump per tentare di compattare Paesi europei e arabi in un fronte comune contro l’influenza destabilizzatrice di Teheran in Medio Oriente. Seppure l’agenda ufficiale dell’incontro annunciasse tra i temi da affrontare la situazione di Siria e Yemen, insieme al processo di pace israelo-palestinese, in realtà lo stesso Mike Pompeo, Segretario di Stato statunitense, ha sottolineato l’importanza prioritaria della questione iraniana nello scenario mediorientale, rendendo evidente la chiara connotazione anti-iraniana della Conferenza. Nonostante i lunghi lavori preparatori, ai quali per settimane hanno partecipato gli Stati Uniti insieme ai loro principali alleati nella regione, Arabia Saudita e Israele, la Conferenza ha avuto inizio con molte defezioni e grande scetticismo rispetto all’effettiva possibilità di realizzazione degli obiettivi annunciati. Tra gli oltre 60 Paesi invitati al summit, pesante è stata innanzitutto l’assenza della Russia, comprensibile nell’ottica in cui, tra gli obiettivi non dichiarati ma evidenti dell’incontro, vi era anche il chiaro tentativo di contenere l’influenza di Mosca nella regione. Il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, alla vigilia dell’evento, si è espresso con grande scetticismo sull’effettiva utilità del summit, vista la reale intenzione degli Stati Uniti di imporre il proprio, e non condiviso, piano di stabilità ed equilibrio nella regione. Grandi assenti anche Turchia e chiaramente Iran, ufficialmente non invitato a partecipare ai lavori.

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Fig. 1 – Sessione plenaria della Conferenza di Varsavia sul Medio Oriente

2. GLI STATI EUROPEI

Anche gran parte dei Paesi europei, primi fra tutti Francia e Germania, ha deciso di partecipare al summit inviando solo delegazioni non di alto livello, a dimostrazione della distanza crescente dell’Unione Europea rispetto alla politica unilaterale americana nei confronti di Iran e Siria. Del resto il summit, annunciato dal Segretario di Stato americano Mike Pompeo senza alcuna consultazione preliminare con l’Unione Europea, voleva essere per gli Stati Uniti la migliore occasione di pressing anti-iraniano nei confronti di un’Europa fortemente decisa a salvaguardare il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), il patto sul nucleare con l’Iran siglato nel 2015, dal quale gli Stati Uniti si sono ritirati lo scorso 8 maggio per volere dell’Amministrazione Trump. In più occasioni il vicepresidente americano Mike Pence ha rimproverato gli alleati europei per i loro tentativi di aggirare le sanzioni americane e agevolare gli scambi commerciali con l’Iran, addirittura ideando uno strumento finanziario ad hoc che permettesse loro di consolidare almeno la sovranità economica contro i tentativi americani di ingerenza nella politica estera. Di contro, la decisione della Polonia di ospitare la Conferenza, nella speranza di un maggior coinvolgimento internazionale e di un rafforzamento della sua alleanza con gli Stati Uniti, è stata l’ennesima dimostrazione della totale mancanza di unità in politica estera di cui soffre l’Unione Europea.

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Fig. 2 – Il Primo Ministro israeliano accanto al Segretario di Stato americano

3. I PAESI ARABI E ISRALE

Se da un lato la Conferenza è stata un evidente fallimento dell’intento statunitense di ricompattare il fronte occidentale anti-iraniano, dall’altro è stata occasione per unire quello arabo-israeliano contro l’Iran, una coalizione che finora ha operato nell’ombra. La presenza a Varsavia degli Stati del Golfo, Arabia Saudita prima fra tutti, insieme al Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha reso infatti evidente come l’ostilità nei confronti dell’Iran sia riuscita a unire Paesi arabi e Israele. È dalla Conferenza di Pace di Madrid del 1991 che Stati arabi e Israele non siedono insieme a un tavolo internazionale. Certo per molti di loro giustificare internamente questo inedito allineamento continua a rappresentare un problema, considerato oltretutto il delicato tema del piano di pace statunitense in Palestina di cui il genero di Trump e inviato per il Medio Oriente, Jared Kushner, ha dato qualche vaga anticipazione proprio in Polonia. Un piano che non sembra infatti sostenere la soluzione dei due Stati difficilmente aiuterebbe la normalizzazione dei rapporti tra mondo arabo e Israele. Nonostante l’inedito fronte riunito a Varsavia, nessuno avrebbe scommesso sull’utilità del Summit, e a ragione. Sebbene la Conferenza si sia conclusa con una serie di dichiarazioni diplomatiche e di programmi per il futuro, nessuna reale decisione è stata presa, considerata l’assenza di interlocutori fondamentali come Russia, Turchia e Iran e la mancanza di condivisione con un partner importante come l’Unione Europea. La Conferenza non ha raggiunto obiettivi, ha consolidato rivalità e acceso tensioni, aumentando le probabilità di conflitto. Tutt’altro che sicurezza e stabilità, dunque.

Maria Di Martino

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Maria Di Martino
Maria Di Martino

Classe 1991, coltivo la passione per il mondo arabo fin dagli studi triennali all’Orientale di Napoli, dove lo studio della lingua, della storia e delle istituzioni musulmane mi ha insegnato ad osservare le dinamiche mediorientali con lo sguardo di un vicino consapevole della loro importanza. Laureata magistrale in Relazioni Internazionali alla Sapienza di Roma, con una tesi in diritto internazionale dell’economia e dello sviluppo, all’interesse per l’analisi geopolitica accompagno una personale sensibilità per i diritti umani, sognando un futuro di ricerca e azione per la loro difesa, poiché ancora idealisticamente convinta che parlare di Stati possa significare, prima di tutto, parlare di persone.

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