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Elezioni in Israele: Netanyahu entra nella storia

In 3 sorsi: Benjamin Netanyahu, per la quinta volta, è Primo Ministro. La sua coalizione di estrema destra governerà il Paese e, con una sinistra quasi inesistente, le prospettive di una pace giusta e duratura con i Palestinesi sembrano sfumare.

1.ELEZIONI IN ISRAELE, VINCITORI E VINTI

Benjamin Netanyahu ha fatto la storia. È infatti l’unico Primo Ministro dello Stato di Israele a ricoprire la carica per la quinta volta. Malgrado sia uscito vincitore dalle recenti elezioni tenutesi il 9 Aprile, ha faticato molto a prevalere sul suo rivale Binyamin Gantz. Il Likud, il partito guidato da Netanyahu, ha ottenuto 36 seggi nella Knesset, mentre quello di Gantz (il partito “Blu e Bianco”) 35. Il successo di questo ex ufficiale dell’Esercito e neofita della politica Israeliana (soprattutto se paragonato alla figura di Netanyahu), può essere spiegato dalla retorica anti-establishment che ha caratterizzato la sua campagna elettorale, soprattutto alla luce delle accuse di corruzione rivolte ultimamente al Primo Ministro. Un’altra ragione che sta alle spalle del consenso riscosso da Gantz è sicuramente la brutta figura fatta dal Partito Laburista che, incapace ormai da anni di individuare un front-runner in grado di contrastare Netanyahu, ha ottenuto uno dei peggiori risultati elettorali della sua storia. Un altro grande sconfitto delle elezioni del 9 Aprile è sicuramente Naftali Bennet, ex Ministro dell’Istruzione e identificato da molti come nuovo ultra-nazionalista della scena politica israeliana, il quale non ha ottenuto alcun seggio nella Knesset con il suo partito “La Nuova Destra”. Malgrado il serrato testa a testa tra il partito “Blu e Bianco” di Gantz e il Likud di Netanyahu, quest’ultimo è riuscito a costruire una coalizione di partiti che gli ha permesso di ottenere una maggioranza (65 seggi), seppur risicata, in Parlamento.

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Fig. 1 – Benjamin Netanyahu e l’ex capo dell’esercito israeliano Benny Gantz

2.NETANYAHU E IL GOVERNO VIRANO A DESTRA

Mentre Benny Gantz si è fatto portavoce dell’elettorato anti-establishment israeliano durante la sua campagna elettorale, Netanyahu ha deciso di spostarsi ancora di più verso destra per convincere i suoi elettori. La campagna condotta dal Primo Ministro è stata caratterizzata da una forte componente ultra-nazionalista, che ha visto il leader del Likud garantire l’annessione di altre parti della Cisgiordania occupata se rieletto, o sostenere che Israele sia lo stato-nazione solo ed esclusivamente del popolo ebraico. Inoltre, la coalizione che ha permesso a Netanyahu di ottenere la maggioranza in Parlamento è composta da partiti religiosi, di estrema destra e nazionalisti, come Israel Beitenu di Avigdor Lieberman o il Partito della Destra Unita (“United Right”), che costituisce lo schieramento di riferimento dei coloni Israeliani. E sembra proprio che sarà dalle fila di quest’ultimo partito che verrà scelto il futuro Ministro dell’Istruzione. Per quanto riguarda l’opposizione invece, è chiaro che questa dovrà provenire da Benny Gantz, soprattutto alla luce dei risultati disastrosi ottenuti dalla sinistra. Ciò che però preoccupa molti analisti è che, malgrado il successo di Gantz, il suo partito sembra essere poco coeso a livello ideologico e potrebbe rischiare di perdere i pezzi di fronte al blocco nazionalista guidato dal Likud e, così facendo, lasciare carta bianca a Netanyahu di agire come meglio crede nella Knesset.

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Fig. 2: Mahmood Abbas e Netanyahu in occasione del funerale di Shimon Peres

3. IL NUOVO GOVERNO E LA QUESTIONE PALESTINESE

Come già anticipato, il nuovo Governo Netanyahu sarà composto da visioni e personalità ultra-nazionaliste, e le promesse fatte di annettere altri insediamenti della Cisgiordania all’interno dei confini dello Stato di Israele è perfettamente in linea con l’ideologia della sua coalizione. Inoltre, con i laburisti così indeboliti, le prospettive di un nuovo processo di pace con i Palestinesi sulla base della soluzione a due stati sembrano pressoché inesistenti. Malgrado due dei principali sostenitori delle iniziative di annessione dei territori palestinesi (Naftali Bennet e Ayelet Shaked) non siano in Parlamento, Netanyahu potrebbe decidere di farsi carico di queste politiche per guadagnarsi il pieno sostegno dei partiti ultra-ortodossi e di estrema destra. Tra le ragioni che motiverebbero una tale scelta, vi sarebbe la volontà di evitare le accuse di corruzione rivoltegli dal Procuratore Generale a febbraio. In cambio del sostegno di questi partiti per evitare l’impeachment, Netanyahu potrebbe infatti convincersi ed andare fino in fondo, mantenendo la sua promessa elettorale. In un tale scenario, i Palestinesi sono consapevoli del fatto che riuscire a sedersi al tavolo delle trattative con un interlocutore pronto a dialogare e a fare concessioni sarà impossibile e che, anzi, le tensioni rischiano di aumentare. Anche a livello internazionale, Netanyahu risulta quasi intoccabile: non solo l’alleanza con gli USA si è rafforzata dopo l’elezione di Trump, ma anche i rapporti con la Russia sembrano essere migliorati. Infine, il Presidente degli Stati Uniti abbia dichiarato che a breve delineerà il cosiddetto “accordo del secolo” per una pace duratura tra Israele e Palestinesi, in cui, secondo lui, entrambe le parti dovranno essere pronte a fare qualche passo indietro. Tuttavia, le iniziative di Trump riguardo a Gerusalemme e le Alture del Golan, sembrano confermare l’assenza di un arbitro super partes nel conflitto.

Emanuele Mainetti

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Emanuele Mainetti
Emanuele Mainetti

Nato ad Angera nel 1994, ho conseguito una laurea triennale in Lingue e Relazioni Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e un Master in Middle Eastern Studies al King’s College London. Durante i miei studi triennali ho maturato una profonda passione per il mondo arabo, la politica, la cultura e (ahimè) la lingua. Prima di cominciare il Master, ho trascorso cinque mesi in Giordania seguendo un corso intensivo di dialetto levantino e arabo standard. Sono particolarmente interessato alle dinamiche socio-politiche e alle relazioni internazionali nel Levante Arabo, con un occhio di riguardo per il Libano. Ho scritto la mia tesi magistrale sul processo di democratizzazione nel Libano post-Ta’if, per la quale ho condotto circa 20 interviste con membri della società civile libanese. Progetti per il futuro? Vorrei riuscire ad iscrivermi ad un corso di dottorato, Inshallah.

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