In 3 sorsi – Le manifestazioni in Algeria che hanno portato alle dimissioni di Bouteflika aprono alcuni interrogativi sul futuro del Paese. Molto dipenderà da come si comporteranno i militari e la società civile.
1. COSA HA PORTATO ALLE DIMISSIONI DI BOUTEFLIKA?
Martedì 2 aprile ha rappresentato un momento di svolta per la storia recente dell’Algeria: il Presidente Abdelaziz Bouteflika, 80 anni e al potere da venti, si è infatti dimesso. La decisione è arrivata dopo oltre sei settimane di proteste, che hanno mobilitato un’ampia porzione della società civile, dagli studenti agli intellettuali fino ai professionisti in tutto il Paese, eccezion fatta per le aree più rurali, tradizionali roccaforti islamiste.
Le manifestazioni hanno portato alcuni osservatori a parlare di «Primavere arabe 2.0», dopo che l’Algeria non aveva vissuto le rivoluzioni di 8 anni fa, anche a causa del ricordo vivo delle violenze della guerra civile degli anni Novanta. E in effetti vi sono delle somiglianze con i cosiddetti demo-movements del 2011, come l’ideologia di base, fondata su un’utopia modesta radicata nei concetti di libertà individuali, dignità, rifiuto dell’autoritarismo. La pluralità e la trasversalità degli attori coinvolti sono inoltre simili a quelle delle prime “Primavere”. E ancora, le tecnologie come strumento per veicolare un messaggio dinamico e mobilizzante hanno di nuovo giocato un ruolo importante. Infine bisogna ricordare la convergenza, ora come nel 2011, di due diversi fattori: lo sfinimento provocato da un sistema politico rigido, immutabile e chiuso – il famigerato pouvoir – e il deterioramento delle condizioni socio-economiche, a causa di corruzione, disoccupazione (quella giovanile è al 29%) e mancata redistribuzione degli indotti del settore energetico.
Oltre alla disillusione della società civile, possono essere fatte altre due ipotesi sull’origine delle proteste. In primo luogo sarebbe stata una parte del sistema stesso a minare la stabilità dell’apparato statale, percepito come inadeguato, e a supportare più o meno implicitamente i moti popolari. Una seconda ipotesi vede invece le Monarchie del Golfo e alcune potenze della NATO dietro alle manifestazioni. L’obiettivo sarebbe un cambiamento dei vertici del potere algerino, accusato di non aver tagliato i rapporti con certi Stati (Turchia, Qatar e Iran su tutti) e di non essere intervenuto in Siria, Libia e Yemen.
Fig. 1 – Proteste nella capitale algerina per chiedere la dimissione di tutti gli ufficiali legati all’ex Presidente Abdelaziz Bouteflika. Algeri, 3 maggio 2019
2. NUOVI E VECCHI ATTORI NELLA FASE DI TRANSIZIONE
Le dimissioni di Bouteflika e la nomina a Presidente ad interim di Abdelkader Bensalah aprono così una delicata fase di transizione, che si concluderà con le nuove elezioni indette per il 4 luglio. In questo scenario, l’esito dipenderà molto dalle mosse di alcuni attori chiave.
Le potenze regionali guardano con interesse a quanto accade in Algeria, ma per il momento non sembrano pronte a intervenire direttamente. Il clan presidenziale risulta altresì parecchio indebolito e non pare essere in grado di guidare la transizione. Allo stesso modo, le forze islamiste, che si sono schierate solo alla fine con i manifestanti, non sembrano godere di supporto da parte della popolazione. I rappresentanti del Fronte di Giustizia e Sviluppo e del Movimento per la Società e la Pace, due gruppi islamisti moderati, sono infatti stati marginalizzati o addirittura criticati da chi è sceso in strada.
Gli attori che potranno così dare forma a questa fase sono principalmente due: il popolo e l’esercito. La società civile, memore degli eventi di otto anni fa, è stata in grado di mantenere pacifiche le dimostrazioni. D’altra parte, l’eterogeneità dei manifestanti, l’assenza di un leader identificabile e l’incertezza circa l’atteggiamento della popolazione in un momento di vuoto di potere rischiano di compromettere questa fase.
Si è invece notato un riallineamento dell’esercito, attraverso le dichiarazioni del Generale Ahmed Gaïd Salah, che è passato dall’ammonire la popolazione sui possibili rischi al condividere la richiesta di destituzione di Bouteflika.
Fig. 2- Proteste anti-governative in Algeria. Algeri, 10 maggio 2019
3. QUALE FUTURO PER L’ALGERIA?
Presumibilmente le prossime settimane chiariranno in che direzione si muove l’Algeria, soprattutto prestando attenzione a come interagiranno i militari – colonna portante dello Stato come in Egitto – e la società civile – attiva come quella tunisina.
La rimozione di Bouteflika, probabilmente irrealizzabile senza il supporto dell’esercito, segna così solo una parziale realizzazione della domanda di libertà del popolo algerino. È difficile d’altra parte immaginare che i militari cederanno a cuor leggero il potere accumulato negli anni, potendo contare sempre e comunque sull’uso esclusivo della forza.
Senza dimenticare gli interessi delle potenze straniere e la minaccia jihadista, il futuro del Paese dipenderà dall’esito delle prossime elezioni e da come reagirà l’esercito qualora non riuscisse ad assicurarsi un ruolo chiave nell’apparato statale.
Francesco Teruggi
Immagine di copertina: Abdelaziz Bouteflika painted portrait _DDC3108 by Abode of Chaos is licensed under CC BY