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L’eredità del Fronte di Liberazione Nazionale: l’Algeria tra esercito ed elezioni

In 3 sorsi – L’eredità storica e culturale dell’esercito in Algeria gli garantisce un ruolo dominante nell’assetto istituzionale al quale nessun Governo è mai riuscito a sottrarsi. La sensazione è che – forte della legittimazione popolare – il paternalismo militare giocherà nuovamente un ruolo significativo nelle elezioni presidenziali del prossimo 7 settembre.

1. LA ROTTURA CON BOUTEFLIKA E IL RINNOVO DEL SOSTEGNO A TIBBOUNE

Nella storia dell’Algeria indipendente nessuna classe politica è mai salita al potere senza che non ci fosse il consenso dell’esercito. È pacifico ritenere che la democrazia algerina non si sia mai consolidata e che le redini del Paese siano riservate all’élite civile e militare uscita vincitrice dai conflitti – la guerra d’indipendenza e la guerra civile nell’ultimo decennio dello scorso secolo – che hanno insanguinato la nazione definendone l’identità.
La Presidenza di Tebboune non ha sicuramente rispettato le aspettative della piazza di Hirak, il movimento popolare che ha travolto le elezioni in Algeria portando alla non ricandidatura del Presidente uscente Bouteflika nel 2019.
Possono essere proposte diverse valutazioni sulle motivazioni per le quali l’esercito abbia risposto positivamente alla domanda popolare non opponendo resistenza alla richiesta di non sostenere il Presidente uscente, al tempo ottantaduenne. Va comunque tenuto in considerazione che la sua sostituzione era solo una questione di tempo anche per questioni anagrafiche e di salute, e che quindi non era conveniente scontrarsi con il sentimento popolare.
La candidatura di Tibboune venne percepita come una ventata d’aria fresca dalla piazza di Hirak che vedeva giungere al termine i venti anni di potere di un autocrate simbolo della corruzione dilagante. Ad ogni modo, il cambio di presidenza non è bastato per determinare il cambio di un ben più radicato paradigma. Inoltre, anche qualunque tentativo di demilitarizzazione da parte del solo Tibboune risulterebbe impossibile, data l’influenza dell’apparato di sicurezza.
La massa, oramai disillusa per non aver visto i cambiamenti auspicati, assisterà alla ricandidatura del Presidente uscente sostenuto dallo stesso apparato militare. In questo modo, la rabbia nei confronti di un solo uomo – Abdelaziz Bouteflika – si sta trasformando nella denuncia consapevole di un intero sistema.

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Fig. 1 – Karim Tabbou, la figura iconica del movimento popolare anti-regime di Hirak, circondato da sostenitori dopo il suo rilascio dalla prigione di Kolea

2. IL RADICAMENTO DEL SISTEMA MILITARE

A differenza della struttura egiziana, l’esercito in Algeria non gode dei vantaggi economici e di impresa che gli permettono di instaurare un monopolio commerciale. D’altro canto l’economia algerina – basata principalmente su rendite petrolifere – permette al sistema di sicurezza di ricevere il supporto economico di cui ha bisogno senza alcun controllo parlamentare e senza richiamare un’attenzione mediatica eccessiva.
I vantaggi militari si sostanziano poi nella forte collusione con l’apparato burocratico nazionale, regionale e locale, tramite quindi il pronto intervento di ministri, governatori, segretari, sindaci e quant’altro, nonché nelle attività illecite che l’esercito svolge nelle aree “grigie” di confine (come, ad esempio, gli accordi con i trafficanti).
Durante i venti anni di potere, Bouteflika ha comunque cercato di rimodulare le gerarchie civili-militari, principalmente procedendo con la sostituzione di ufficiali con personalità a lui più vicine e con il dissolvimento di un punto nevralgico dell’apparato militare: il Dipartimento dell’Intelligence e della Sicurezza.
Tali riforme vanno però considerate più nell’ottica di un incompiuto tentativo di personalizzazione del potere, che nell’intento di normalizzare le relazioni civili-militari e di dargli la trasparenza di cui necessitano. 

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Fig. 2 – Sostenitori di Abdelaziz Bouteflika

3. IL PRESTIGIO MILITARE E ‘HIRAK’

L’esercito, identificato con l’ex Fronte di Liberazione Nazionale, ha il duplice pregio di aver liberato l’Algeria dal colonialismo, regalandole l’indipendenza e, al contempo, di difenderla dall’estremismo religioso, così come avvenuto nella guerra civile del 1992-2002, derivata dall’opposizione militare alla vittoria elettorale del Fronte Islamico di Salvezza. Una tale eredità storica e culturale ha permesso negli anni ai militari di coltivare una narrativa e un atteggiamento paternalista – simile a ciò a cui abbiamo assistito in Turchia – foriero di una consolidata legittimità popolare.
Difatti, se si guarda all’avversione delle piazze verso il regime bisogna comunque tenere presente che secondo diversi osservatori, l’esercito è l’Istituzione che gode di maggiore fiducia da parte della società civile.
L’apparato militare quindi non è l’obiettivo delle rivendicazioni democratiche – le stesse piazze sono state riprese mentre intonavano il coro “L’esercito e i cittadini sono fratelli”, – ma rimane un attore ingombrante per l’avvio del processo di democratizzazione che in Algeria è atteso dal 1962.

Bruno Bevilacqua

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Perchè è importante

  • La storia dell’Algeria conferisce alle Forze Armate un prestigio sociale e politico che permette loro di ricoprire un ruolo centrale nell’equilibrio istituzionale del Paese.
  • Il risultato è l’accentramento del potere nelle mani della stessa casta civile-militare che si sostanzia in una corruzione diffusa e in una forte militarizzazione, privando così l’Algeria di un processo di democratizzazione mai veramente avviato.

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Bruno Bevilacqua
Bruno Bevilacqua

Classe 1998, laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna e all’Università di Parigi-Nanterre, ora sono iscritto al master in “Security and International Relations” all’Università di Genova.
Appassionato di scrittura in maniera universale, mi dedico all’analisi geopolitica specialmente per ciò che riguarda la Turchia e l’area ex ottomana, mondo che ho cominciato ad amare dopo la mia prima esperienza in Anatolia.
Amante del trekking e di un buon libro, ho evidenti difficoltà a restare fermo.

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