Cina e, soprattutto, Russia si oppongono a un intervento militare occidentale in Siria contro Bashar Assad. Ma perché? Oltre a motivazioni di carattere generale, entrambe hanno motivazioni economiche e geopolitiche proprie che le spingono a consigliare cautela. Vediamo quali.
NON SE NE PARLA PROPRIO – La Russia è la nazione che piĂą si oppone a un intervento militare occidentale contro la Siria di Bashar Assad, come espresso piĂą volte in questi giorni dal suo ministro degli esteri Sergej Lavrov. La posizione russa è così netta da porre pochi dubbi riguardo a un suo veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU su un’eventuale mozione che chieda l’intervento armato. La Cina, piĂą defilata, ha assunto anch’essa la stessa posizione. PerchĂ©?
Il punto non è tanto che le truppe di Assad abbiano utilizzato o meno armi chimiche – entrambe le nazioni, come praticamente tutti, ragionano soprattutto in termini di proprio interesse geopolitico ed economico. Innanzi tutto va detto che entrambe si sono sempre mostrate contrarie a interventi occidentali a favore di opposizioni interne in regimi non liberali –  per entrambe esiste sempre il timore che prima o poi il resto del mondo possa sentirsi autorizzato ad agire analogamente contro di loro, per quanto improbabile questa soluzione appaia in realtĂ .
Inoltre, ciascuno ha propri interessi particolari nell’area.
PETROLIO E GAS – Per Beijing l’interesse è indiretto. La Cina ha da tempo soppiantato USA ed Europa negli import di petrolio e gas naturale dal Medio Oriente: è ora al primo posto per importazione di idrocarburi dal Golfo Persico. Un conflitto in Siria non mette necessariamente a rischio le produzioni nei paesi limitrofi, ma esiste la possibilitĂ che lo scontro si allarghi ai vicini, magari intaccando proprio l’export – o anche solo che le tensioni facciano alzare il prezzo del petrolio a livelli troppo alti: in quel caso soffrirebbe anche piĂą dell’Europa. Non stupisce quindi che i leader cinesi siano estremamente interessati a che la regione non veda destabilizzazioni o nuove guerre: per la Cina gli idrocarburi devono continuare a fluire, e a prezzi non troppo alti.
ARMI E BASI – Per la Russia invece, la Siria è un forte compratore di armi ed equipaggiamenti militari. Secondo il New York Times e il Moscow Times, dal 2000 al 2010 la Siria ha comprato 1.5 miliardi di dollari di materiale militare dalla Russia (e ha contratti per altri 4 miliardi), settimo miglior compratore. La cosa non deve stupire, tutti i paesi principali produttori di armi, come anche gli USA, periodicamente aggiornano le proprie forze armate con nuovi armamenti ed equipaggiamenti. A questo punto che fare del materiale vecchio? Se si può lo si vende per recuperare denaro, per prima cosa proprio ai propri alleati ai quali può ancora andare bene – soprattutto chi non può spendere troppo per mezzi piĂą moderni.
In quest’ottica, per la Russia la Siria è un compratore ideale.
Inoltre, la Russia ha la sua più grande base navale nel Mediterraneo a Tartus, sulla costa siriana, da dove la Flotta del Mar Nero può operare senza bisogno di compiere lunghi percorsi da Sebastopoli, in Crimea (la Russia tiene ancora i diritti per quella base, nonostante sia in territorio ucraino).
Per Mosca non esiste alcuna sicurezza che tali vantaggiose condizioni (economiche e militari) rimangano intatte in caso di resa del regime di Assad, soprattutto visto che un nuovo governo potrebbe essere ostile a tutti (in caso di islamisti) o comunque più amico dell’Occidente (in caso di moderati).
Come tutti, anche Russia e Cina giocano le loro carte nel calderone siriano e i loro interessi appaiono forti abbastanza da resistere a pressioni diplomatiche o moniti internazionali; difficilmente cambieranno idea, anche se qualcuno ci sta provando. L’Arabia Saudita ha infatti offerto alla Russia un maxi-accordo di acquisto di armi (si parla di 15 miliardi) per abbandonare Assad: per ora non sembra avere avuto successo, perchĂ© per Mosca la questione è anche “di facciata” davanti all’Occidente e Tartus rimane ad oggi preziosissima, ma non si può escludere che, alla fine, Vladimir Putin decida che l’interesse russo non stia piĂą a Damasco.
Lorenzo Nannetti