Ieri mattina il titolo era: ore 16, l'Italia si desta? La risposta purtroppo è stata evidente, eppure il Caffè ci credeva. Ecco la scheda geopolitico-pallonara (scritta prima del disastro Slovacchia) del nostro Paese e della nostra Nazionale, che tra loro hanno diverse commistioni e moltissimi punti in comune. Sembra essere nel nostro DNA: diamo il meglio nella difficoltà e nell'emergenza. Non ieri, purtroppo
IL PAESE
Raccontare il proprio Paese in poche righe è assai più complicato che farlo per tutti gli altri Paesi…proviamoci. Come sta la nostra Italia? Si potrebbe dire che la nostra Nazionale è attualmente lo specchio del Paese reale (considerazione estendibile a tanti altri Paesi). Si arranca e si fatica, in mezzo alle polemiche. Una crisi economica che non dà tregua, anzi. Una manovra da approvare, tra tante considerazioni e una certezza comune: è necessario tagliare e fare sacrifici, certo, il momento è particolare. Basta non lo si chieda a me e alla mia categoria. Una maggioranza e un governo caratterizzati da divisioni e lotte. Una opposizione troppo spesso non pervenuta. Un controverso referendum su Pomigliano, che ancora non è chiaro se rivoluzionerà il mercato del lavoro o se lascerà tutto com’è. Uno scandalo alla settimana, che non può avvenire che trascorra qualche giorno senza che questo o quel potente di turno, beccato con le mani nella marmellata, passi dalle stelle alle stalle in un amen. Una legge sulle intercettazioni che, tra utilizzo delle stesse nelle inchieste giudiziarie, libertà di informazione e diritto alla privacy, promette di essere una delle questioni più controverse della Seconda Repubblica. Un federalismo che chissà se si potrà attuare, tra spinte di decentramento (legittime) e venticelli di divisione (un po’ meno). Un sistema di riforme che arriverà assieme a Godot, se non dopo. Una precarietà sul lavoro sempre più pesante. Un…
Stop. È il nostro mestiere: noi italiani siamo bravissimi a prendere fango, gettarlo nel ventilatore e poi parlare di noi stessi. Succede parlando del Paese quanto della Nazionale. C’è del marcio in Italia, direbbe Amleto? Forse sì, ma non c’è solo quello. Non possiamo parlare solo male dell’Italia, nonostante qualche livido e qualche cerotto. Ad esempio: parlando di Europa, non si può non segnalare che noi italiani dobbiamo ancora ringraziare la fatica fatta per entrare nella zona euro una dozzina di anni fa. Nonostante siano diversi quelli che rimpiangono la vecchia lira, e al di là del futuro incerto della moneta unica, bisogna considerare come attualmente senza euro saremmo ben oltre il livello di difficoltà del grosso grasso pandemonio greco. E sullo scacchiere globale, al di là di una politica estera che nell’ultima decade ci ha avvicinato molto tanto agli Usa quanto alla Russia, anche tramite la personalizzazione, talvolta eccessiva, della politica estera nella figura del premier Berlusconi, è da segnalare il sempre più crescente apprezzamento degli italiani nelle missioni internazionali in cui sono coinvolti, Afghanistan e Libano in primis. E poi, al di là delle notizie da prima pagina, si percepisce in Italia un grande “sommerso” di positivo: dalla voglia di emergere di giovani tutt’altro che bamboccioni (il web ne è un esempio lampante, e nel nostro piccolo, anche noi) agli imprenditori che stringono i denti nelle piccole-medie imprese di settori e distretti, la lista che sta in mezzo è davvero lunga. Insomma: forse si potrà contestare l’assenza di leader adeguati per questa Nazione (e per questa Nazionale). Ma se fossero i gregari, le vite da mediano, a migliorare il nostro Paese? In fondo, anche nel calcio, non abbiamo vinto il Mondiale con i campionissimi, ma con i Grosso e i Gattuso…
I NOSTRI AZZURRI
È sempre stato così: diamo il meglio nella fatica e nell’emergenza. Tanto nel nostro Paese, quanto nei campi di calcio. Chiunque conosca un briciolo di storia della nostra Nazionale, sa che le partite con Nuove Zelanda, Perù e Coree varie sono quelle che nascondono sempre le peggiori insidie. Ne abbiamo fatte di figuracce, ben peggiori dell'ultima, in questi 100 anni di Nazionale. Ma soprattutto, abbiamo avuto grandi trionfi: se, per dirla con i brasiliani, la mano di Ayrton Senna non avesse alzato il rigore di Baggio, nel 1994 probabilmente l’Italia sarebbe la nazione più titolata al mondo. E, come dimostrò quel mondiale (finalisti dopo aver passato il girone come ultima delle migliori terze) e come hanno dimostrato il trionfo post Calciopoli di Berlino, e il Mundial del 1982, partito tra critiche ben più aspre di quelle attuali, il nostro destino (non solo come Nazionale?) è sempre quello di soffrire e faticare. E di emergere proprio in questi momenti. È vero, manca il giocatore dal dribbling fulminante, dell’invenzione negli ultimi 20 metri, l’uomo che accende la fantasia e scalda i cuori. Vero, siamo più deboli di quattro anni fa (quando però vinse una squadra di gran lunga inferiore a quella delle quattro edizioni precedenti). Vero, i nostri due uomini migliori tra i 23 sono in infermeria. Eppure questa Nazionale nessuno la vorrebbe incontrare. Non brillerà, ma sarebbe un avversario difficile per tutti. E una volta superato il sempre ostico passaggio del girone (nella storia, più il girone era facile, più ci complicavamo la vita), potremmo essere un cliente poco raccomandabile per tutti, dall’Olanda in poi. Magari fra poche ore la Slovacchia ci manda a casa con la coda tra le gambe. Un pronostico personale? Io dico di no. Per cui, se è opinione più o meno condivisa la perplessità suscitata da alcune esclusioni eccellenti, iscriversi al partito Cassano-Balotelli ora come ora conta poco. Siamo 60 milioni di c.t., ognuno di noi la pensa diversamente. Uno di questi 60 milioni si chiama Marcello Lippi, fa davvero il c.t. (ancora per un po’, si spera una ventina di giorni), a molti ispira meno simpatia che un’operazione dentistica, eppure è il c.t. che ci ha fatto vincere un Mondiale. Un po’ di credito se lo merita. I conti, nel bene e nel male, si fanno alla fine.
GEOPALLONE
A parte alcuni ricorsi storici (la Seconda Repubblica politica post Dc-Pci si forma negli stessi anni della Seconda repubblica pallonara, in cui il calcio italiano si divide in pre e post-sacchismo), verrebbe quasi da sorridere: calcio e politica? La politica che si occupa di calcio? Ma dai… come è possibile? E invece lo sappiamo bene, non ci sono ricerche storiche da fare: basterebbe citare le dichiarazioni di vari Ministri degli ultimi giorni, o le sparate di Radio Padania con mire più o meno secessioniste. Riassumendo: i calciatori guadagnano troppo (vero, ma all’interno di un sistema di mercato con determinate cifre. Diversamente dai politici…), Lippi hai sbagliato tutto, forza Paraguay, tanto con la Slovacchia vi comprate la partita, e chi più ne ha più ne metta. Per dirla con Ringhio Gattuso: politici, ma perché parlate di calcio?
La commistione calcio e politica presenta anche dei gustosi flash storici, dallo scopone scientifico sull’aereo di ritorno da Madrid tra Zoff, Bearzot, Causio e il Presidente della Repubblica Pertini, sino alle gesta del Ministro dello Sport Giovanna Melandri nel 2006, che salutò la Nazionale in partenza per la Germania scendendo sul campo fradicio in infradito, inzuppandosi completamente. La stessa, poi, entrando negli spogliatoi col Presidente Napolitano a fine mondiale sarà protagonista di cori irripetibili promossi dagli azzurri. Al di là degli aneddoti, occorre soffermarsi sui Mondiali del 1934, giocati e vinti in casa. Strumento diplomatico, di consenso e di propaganda, il calcio in genere e il mondiale furono promossi e seguiti strenuamente dal regime fascista, che vide la vittoria del titolo come motivo di vanto e orgoglio nel mondo intero. Fu quella la commistione calcio-politica più evidente. Ma il vizietto ci è rimasto. Un esempio su tutti? Le critiche a Lippi sono bazzecole rispetto a quelle subite da Bearzot. Cassano e Balotelli sono attualmente snobbati, rispetto a quanto vennero richiesti nel 1982 Pruzzo e Beccalossi: le convocazioni, in quel caso, furono oggetto di interrogazioni parlamentari che parlavano di "lesione di interessi nazionali preminenti". Come andò a finire, poi, lo sappiamo tutti. Che sia di buon auspicio.
Alberto Rossi