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Afghanistan: comunque vada potrebbe essere un fallimento!

Analisi – I talebani sanno che Trump vuole lasciare l’Afghanistan per fini elettorali e vogliono approfittarne, aumentando la regolarità degli attentati, anche per forzare la mano con il negoziatore Khalilzad. L’attuale insuccesso dei colloqui di pace non cambia i rischi futuri: sia un accordo che un “no deal” potrebbero, infatti, comunque favorire il gruppo islamista e avere conseguenze nefaste per il Paese.

I FALLIMENTI DI TRUMP E KHALILZAD

L’accordo base che l’inviato speciale americano Zalmay Khalilzad ha messo a punto in nove turni di colloqui con i rappresentanti dei talebani in Qatar, prevede il ritiro di circa 5.400 soldati statunitensi e la chiusura di cinque basi entro 135 giorni dalla firma di un’eventuale intesa, con il ritiro dei restanti 14mila militari in circa 16 mesi. I talebani, in cambio, dovrebbero rispettare tre richieste: avviare negoziati con il Governo afghano, ridurre la violenza vicino alle aree di controllo delle forze statunitensi e prendere le distanze da al-Qāʿida e altri gruppi jihadisti operanti nel Paese, evitando di dar loro rifugio e sostegno. I fallimenti riscontrabili nei colloqui di Khalilzad sono relativi ad almeno due elementi importanti. Il primo è attinente al fatto che l’inviato speciale non ha mai incluso concretamente il Governo afghano nel processo di pace, di fatto quindi delegittimandolo e piegandosi alle imposizioni talebane. Il secondo è che Khalilzad ha condotto le trattative sempre in una posizione di svantaggio, riuscendo esclusivamente a ottenere promesse da parte dei talebani a incontrare i vari attori politici afghani, incluso il Governo di Kabul, soltanto a ritiro USA avvenuto, senza però nessuna garanzia reale. L’accordo, inoltre, non sarebbe una pace definitiva, poiché i colloqui conclusivi tra i talebani e la componente “intra-afghana” si dovrebbero svolgere a Oslo alla presenza di “garanti internazionali”.  A complicare la situazione la volontà di Trump, nelle ultime settimane, di inserirsi nel processo politico-diplomatico, forzando la mano e scavalcando Khalilzad, per assicurarsi visibilità politica, garantendosi la paternità dell’accordo di pace, in modo da dimostrare di aver mantenuto una delle sue principali promesse elettorali prima del voto presidenziale del 2020. Trump ha quindi sospeso i negoziati con i talebani, rivelando anche via Twitter che una delegazione talebana e il Presidente afghano Ghani erano attesi separatamente a Camp David per chiudere l’accordo. L’incontro sarebbe saltato a causa dell’attentato talebano di giovedì 5 settembre a Kabul, che ha provocato la morte del sergente americano Ortiz, ovvero l’ultimo di una serie di attacchi brutali condotti dai talebani in questi mesi per ottenere rapidamente un accordo a loro favorevole. Le motivazioni della sospensione possono essere rintracciate in diverse cause, quali gli errori di Trump nel considerare un accordo così delicato quale semplice propaganda elettorale e la volontà di una parte dell’establishment statunitense di rinviare eventuali accordi oltre il 28 settembre, in modo da poter permettere le elezioni presidenziali in Afghanistan che consentirebbero, quasi certamente, a Ghani di essere confermato per un secondo mandato e quindi lasciare al Governo un Presidente filo-americano. Interrompendo i negoziati Trump ha concretamente spianato la strada a Ghani per vincere le elezioni.

Fig. 1 – I tweet con cui Trump ha annunciato la sospensione dei colloqui di pace con i talebani lo scorso 8 settembre

I RISCHI FUTURI

L’accordo proposto da Khalilzad, nel caso vengo ripreso, presenta diverse problematiche. Non garantisce, innanzitutto, la presenza di forze anti-terrorismo nel Paese per sostenere le forze di sicurezza afghane. Al-Qāʿida è ancora fortemente operativa in Afghanistan, oltre che essere concretamente legata a numerose Shure talebane. Il leader qaedista Al-Zawahiri, in un video messaggio di alcuni giorni fa, ha elogiato i talebani per aver “inferto duri colpi all’America”, citandolo come il motivo principale “per cui gli americani hanno mostrato entusiasmo nel negoziare con loro un ritiro dall’Afghanistan”.  Lo Stato Islamico, inoltre, ha stabilito una piccola ma potente presenza nell’Afghanistan nord-orientale, ed è stato in grado di lanciare attacchi devastanti negli ultimi mesi, anche grazie al sostegno della potentissima rete Haqqani, che continua a collaborare anche con talebani e qaedisti. Un rapido ritiro delle truppe statunitensi su larga scala potrebbe rafforzare il dominio talebano e aumentare la violenza in alcuni distretti già sotto il loro controllo o limitrofi a essi, con un conseguente indebolimento dei Governi regionali e locali, il deterioramento delle forze di sicurezza, un aumento della corruzione e delle esecuzioni sommarie. Un accordo senza negoziati con il Governo afghano potrebbe portare i talebani a diventare ancora più potenti e influenti. Molti combattenti talebani, in particolare quelli delle Shure più estremiste, potrebbero, oltretutto, non accettare gli accordi di pace e unirsi allo Stato Islamico. I negoziati potrebbero risolversi in un fallimento, generando più violenza e insicurezza, senza un accordo di pace completo e definitivo che coinvolga anche Kabul. Il progetto di accordo non definisce, inoltre, come dovrebbe essere governato l’Afghanistan e in che modo possano essere, dopo il ritiro delle truppe americane, inclusi nella vita civile e politica gli “studenti coranici”, che dovrebbero anche acconsentire a essere completamente disarmati. I talebani, inoltre, non accettano l’attuale Costituzione e vedono il Governo afghano come “un regime fantoccio imposto dagli Stati Uniti”. Nelle aree sotto il loro controllo, per esempio, sono disposti ad accettare che altri partecipino al Governo locale? Tutto ciò potrebbe generare delle notevoli difficoltà e criticità che a loro volta potrebbero, alle prime schermaglie, condurre a una guerra civile. Un mancato accordo, d’altronde, porterebbe comunque alla prosecuzione del conflitto, con la sopravvivenza del Governo di Kabul che dipenderebbe in gran parte dall’assistenza finanziaria e militare degli alleati stranieri.

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Fig. 2 – Le forze di sicurezza afghane pattugliano le strade di Kabul dopo un recente attentato suicida

UNA VITTORIA TALEBANA

Un accordo con i talebani, così come studiato e condotto da Khalilzad, cioè senza l’inclusione di tutte le parti in causa, difatti ha condotto a un riconoscimento dei talebani come entità politica legittima, mentre la mancanza di colloqui intra-afgani e di una presenza governativa nei round negoziali hanno favorito i talebani e delegittimato i rappresentanti governativi e il Governo di Kabul. Comunque vadano i negoziati, se dovessero riprendere, l’attuale instabilità nel Paese consente ai talebani di continuare a gestire oltre il 60% del territorio afghano e gli ingenti introiti dovuti alla produzione e traffico di oppio. Inoltre la leadership talebana ha dimostrato di non essere costretta per forza a negoziare con gli USA, poiché ha riscontrato aperture diplomatiche in altri attori internazionali. Dopo il dietrofront di Trump, i talebani hanno trovato sostegno e contatti con Cina, Iran, India e Russia. I talebani infatti hanno in questi giorni inviato una delegazione in Russia per discutere con Mosca l’ipotesi del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan con un loro sostegno.

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Fig. 3 – Una donna legge il giornale in un locale di Kabul. Il futuro civile e politico delle donne afghane dopo un eventuale accordo USA-talebani è estremamente incerto e molti temono un ritorno all’oscurantismo pre-2001

Si tratta quindi, a prescindere dall’esito finale, di una vittoria talebana. Se i colloqui di pace dovessero fallire a pagarne le conseguenze sarà solo il Paese e la società civile e loro continuerebbero a controllare e gestire le aree occupate come fatto sino ad ora. Se invece avranno successo, i talebani eserciteranno un potere considerevole, se non addirittura un controllo assoluto, in qualsiasi Governo futuro e in diverse aree del Paese. Considerando che una pace con i talebani è purtroppo inevitabile, al momento, con gli attuali accordi e gli eventi in essere, il futuro per gli afghani, in particolare per le donne, appare oscuro e senza un possibilità di stabilità. Comunque vada, potrebbe essere un fallimento!

Daniele Garofalo

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Daniele Garofalo
Daniele Garofalohttps://independent.academia.edu/DanieleDaniele13

Sono nato a Salerno nel 1988. La storia, la geografia, la politica e i viaggi, sono da sempre le mie grandi passioni. Sono ricercatore e analista del Terrorismo Islamista e di Geopolitica. Ho collaborato con la rivista digitale Geopolitical Report dell’ASRIE, l’“Association of Studies, Research and Internationalization in Eurasia and Africa”, con il centro studi Geopolitica.info e con Notizie Geopolitiche.net. Collaboro con Babilon news & magazine e da maggio 2018 con il Desk Asia del Caffè Geopolitico. Per il Caffè Geopolitico mi sono occupato di monitoraggio del jihadismo globale con la newsletter “Gli Occhi nel Jihad“.

Sono Analista del terrorismo per il Centro Studi e ricerca Analytica for Intelligene and Security Studies.

Ad Aprile 2020 è stato pubblicato il mio primo libro: “Medio Oriente Insanguinato”(Enigma Edizioni), un’analisi geopolitica del contesto mediorientale e del terrorismo islamista.

Mi occupo principalmente della ricerca, studio e analisi del terrorismo islamista, dell’area mediorientale e saheliana, dell’Asia Centromeridionale.

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