In 3 sorsi – Con la sconfitta di Mauricio Macri per un margine di 8 punti, Alberto Fernandez diventa il nuovo Presidente dell’Argentina, dando una seconda chance al peronismo moderato. Il percorso, però, sarĂ tutt’altro che in discesa.
1. LA VITTORIA
L’aria di cambiamento si respirava già dalle primarie federali – in gergo PASO – dell’11 agosto, con il Frente de Todos di Alberto Fernandez e Cristina Fernandez de Kirchner uscito vincitore assoluto della competizione con il 47,35% dei voti, seguito a debita distanza da Juntos por el Cambio di Mauricio Macri al 32,33%. Ora, però, è ufficiale: l’Argentina ha un nuovo Presidente. Il candidato peronista moderato Fernandez ha infatti ottenuto la vittoria al primo turno con il 48,04%, senza necessità di ballottaggio, nei confronti del presidente uscente nonostante quest’ultimo abbia ottenuto il 40,44% – molto più che al PASO – e abbia migliorato la propria performance anche nelle zone rurali, dove era stato fortemente penalizzato ad agosto.
Le misure economiche promosse da Macri a seguito della sconfitta – come i bonus di 5000 pesos (83 dollari) per i lavoratori statali, aumento del salario minimo e congelamento del prezzo del petrolio per 3 mesi – non sono state sufficienti a ribaltare il risultato delle primarie e a cambiare sostanzialmente gli equilibri politici, mentre di concreto ci sono stati sicuramente i costi stimati in 40 miliardi di pesos (circa 730 milioni di dollari). D’altra parte, la fine della povertà promessa da Macri durante la sua campagna elettorale del 2015 non è stata raggiunta e un terzo degli argentini oggi vivrebbe sotto la soglia di povertà , con una crisi economica sempre più seria.
Il Frente de Todos può invece festeggiare la vittoria dopo aver incassato i complimenti del proprio avversario, il quale ha invitato Fernandez a una colazione alla Casa Rosada per discutere la transizione. Il test elettorale di domenica, brillantemente superato, certifica un modello di rinnovamento del populismo latinoamericano che potrebbe essere preso ad esempio dai Paesi limitrofi: un modello in cui i leader storici lasciano il posto a nuovi volti ed utilizzano la propria popolarità per sostenere questi ultimi.
Fig. 1 – Il candidato alla Presidenza Fernandez tiene un comizio durante la notte elettorale.
2. LA RISPOSTA INTERNAZIONALE
Un aspetto ricorrente nella narrativa estera è la rappresentazione del macrismo come fenomeno politico “pro-business” –  come nell’articolo del Guardian dedicato alle elezioni argentine – elemento che delinea, almeno indirettamente, il peronismo rappresentato da Fernandez come un fenomeno “anti-business”. Tale descrizione viene adoperata esplicitamente da Bloomberg che evidenzia come l’ambigua influenza di Cristina de Kirchner all’interno della squadra di Governo sia malvista dagli investitori dal momento che, nei suoi otto anni di Presidenza, ha implementato misure come il controllo dei prelievi ed isolato l’Argentina dai mercati mondiali anche tramite la falsificazione dei dati economici, fatto a cui Macri cercò di porre rimedio nel 2015, poco dopo la sua vittoria, ristabilendo l’indipendenza dell’istituto nazionale di statistica INDEC. La preoccupazione principale, dunque, è capire che ruolo avrò l’ex Presidenta nella nomina dei ministri, per la quale una fonte citata dallo stesso Bloomberg afferma che non ci sia stata alcuna richiesta dalla candidata a Vicepresidente, e nella direzione del Governo. Considerando l’esperienza di Alberto Fernandez come capo di Gabinetto di Nestor Kirchner, bisogna tenere a mente che si tratti di una persona con conoscenza degli equilibri di potere nel Governo federale e questo potrebbe giocare a suo vantaggio. Per il momento, si tratta comunque di ipotesi che attendono di essere confermate.
Fig. 2 – Cristina de Kirchner ringrazia i sostenitori per il risultato elettorale.
3. COSA ATTENDE L’ARGENTINA
Mauricio Macri ha impostato un percorso di riallineamento dell’Argentina agli Stati Uniti e, in generale, all’Occidente in modo da distaccarsi dalla precedente esperienza peronista. Al nuovo Governo sarĂ dunque richiesto di elaborare una politica estera conforme tanto al cambiamento ideologico appena avvenuto quanto al rinnovato contesto regionale: se prima il kirchnerismo era un’ideologia che faceva parte di un movimento, quello dell’onda rosa o del Socialismo del XXI secolo, diffuso in tutta la regione e capace di esprimere una solidarietĂ e un supporto fra i Governi confinanti, adesso il contesto è profondamente cambiato ed oltre a Messico, Bolivia e Venezuela nessun altro Paese latinoamericano può richiamarsi a quell’ereditĂ socialista. L’avvento nel 2019 dell’organizzazione regionale Prosur, su iniziativa dei governi conservatori di Colombia e Cile, ha seppellito di fatto l’Unasur fondata nel 2008 sotto la spinta di Kirchner, Correa e Chavez e ha visto in questo processo la partecipazione della stessa Argentina di Macri. Per Fernandez sarĂ dunque complesso gestire questa ereditĂ ingombrante ed assicurare al proprio Paese un ruolo nelle dinamiche economico-politiche del Cono Sur.
Il confronto principale che l’Argentina dovrà intraprendere è dunque con se stessa, con la tensione fra la sua anima filo-occidentale e filo-statunitense da un lato ed il suo revanchismo economico – incarnato dalla battaglia del kirchnerismo per la ristrutturazione del debito pubblico – dall’altro. Due anime che nel corso della Storia hanno prodotto assetti internazionali diversi e che ora si trovano a dover conciliare un’eredità in decadenza lasciata dalla passata onda rosa ed un percorso diametralmente opposto intrapreso negli ultimi anni.
Riccardo Antonucci