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La Catalogna in piazza: ancora lontana una soluzione tra Barcellona e Madrid

In 3 SorsiDa Tbilisi a Teheran passando per Hong Kong, attraversando l’Italia delle “sardine” fino a Barcellona, negli ultimi mesi le piazze sono tornate protagoniste. Un tempo erano le “Primavere Arabe”, oggi potremmo mai immaginare un nuovo “autunno caldo”?

1. ALLE ORIGINI DELLA QUESTIONE CATALANA

Dopo la condanna al carcere emessa il 14 ottobre 2019 dalla Corte Suprema spagnola nei confronti dei leader catalani che indissero il referendum indipendentista nell’autunno del 2017, a due giorni di distanza, il 16 ottobre circa 500mila mila persone si sono riversate nelle piazze di Barcellona protestando violentemente. La fase iniziale della mobilitazione era cominciata pacificamente nel 2012, (infatti venne chiamata la “rivoluzione dei sorrisi”), oggi ha mutato natura a causa del fallito referendum del 2017. I catalani, frustrati per i mancati progressi del processo, e stizziti dalla sentenza della Suprema Corte, hanno dato vita a manifestazioni dal carattere a tratti violento. Contestato anche il Re Felipe VI durante l’ultima visita a Barcellona prima delle elezioni generali di novembre. Le ragioni degli indipendentisti catalani affondano le loro radici in tempi antichi addirittura intorno al VII secolo, ma a questo si aggiungono questioni più recenti e stringenti di natura culturale e soprattutto economica.

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Fig. 1 – Manifestazioni di piazza dei sostenitori unionisti

2. CALCOLI ELETTORALI E MAGGIORANZE (IM)POSSIBILI

Madrid è stata spesso insensibile alle richieste dei catalani che reclamavano più infrastrutture e un “patto” finanziario migliore, accrescendo così il diffuso malessere generato dalla crisi del 2008. La redistribuzione del gettito fiscale, al di là delle pulsioni separatiste, è di primaria importanza per la Catalogna, che trasferisce annualmente allo Stato centrale in media circa 15 miliardi di euro, più o meno al 6% del suo PIL. Ciò significa che ogni cittadino catalano versa in media allo Stato centrale di Madrid una somma di 1.600 euro circa all’anno. L’insofferenza dei catalani si sarebbe anche rafforzata a causa della decisione del Tribunal Costitucional spagnolo del 2010, che aveva ridotto i poteri statuali di autonomia della Catalogna. L’indipendentismo è stato percepito come l’espressione di un disagio per un modello economico che all’epoca della mondializzazione non appaga più le aspettative dei giovani, sempre più insicuri per il loro futuro e il loro lavoro. La Spagna, dopo quattro elezioni in quattro anni, sta vivendo una profonda crisi identitaria che ha fatto saltare i vecchi equilibri che si erano consolidati con il passaggio dal franchismo alla democrazia. Questa è una sconfitta per la politica che sta provocando una crescente insoddisfazione nei cittadini e la conseguente sfiducia nelle Istituzioni. I socialisti dello PSOE, dopo il voto del 10 novembre, sono ancora il partito di maggioranza relativa con il 28%, non abbastanza però per permettersi di non fare alleanze con le altre forze politiche. Per la composizione del nuovo Governo la situazione è abbastanza complessa, la polarizzazione del Parlamento difficilmente potrebbe vedere la nascita di coalizioni di centro-destra o centro-sinistra, mentre sembrerebbe più plausibile la realizzazione di una compagine governativa trasversale. La classe politica spagnola e catalana non si è ancora adattata alla dissoluzione del bipolarismo a favore di un sistema pluripartitico, che per formare Governi stabili ha bisogno della mediazione e di alleanze asimmetriche.  

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Fig. 2 – Una manifestazione di indipendentisti catalani

3. BARCELLONA CHIAMA MA BRUXELLES NON RISPONDE

Il conflitto catalano non è altro che la declinazione territoriale di questa crisi multilivello. L’unica soluzione sarebbe, oltre al dialogo, una profonda riforma di tutto il sistema politico spagnolo. Probabilmente gli indipendentisti catalani cercheranno con le mobilitazioni di piazza una sponda nelle Istituzioni Europee, che, nonostante gli sforzi fatti e la mediaticità raggiunta, sarà arduo ottenere. L’Unione Europea si è già espressa al riguardo, ritenendo che la questione catalana deve essere affrontata all’interno dell’arco costituzionale spagnolo, ribadendo il pieno rispetto per la sentenza della Suprema Corte. Succeda quel che succeda, appare molto difficile che ci possa essere una mediazione internazionale, nonostante l’indipendentismo la invochi a gran voce. L’Unione Europea ha già abbastanza fronti aperti che vanno dalla guerra dei dazi americani e cinesi alla Brexit, perciò l’ultima cosa che Bruxelles auspica è un ulteriore problema causato dalla questione catalana. In ogni caso, e al di là delle intense proteste, la Catalogna non si trova in un clima pre-rivoluzionario e l’indipendenza della regione non è uno scenario possibile, né praticabile. Ciò non toglie che la crisi potrebbe continuare ancora a lungo: sarà dunque necessario che la politica si impegni per trovare una soluzione di lungo periodo.

Maurizio Petrocchi

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Maurizio Petrocchi
Maurizio Petrocchi

Sono nato in un piccolo comune delle Marche, che ho sempre nel cuore, laureato all’UniversitĂ  di Macerata in Giurisprudenza prima e Scienze Politiche poi, dove sono Cultore della Materia in Storia Contemporanea, ho un Master in Intelligence and Security e dottorando in Storia contemporanea sempre all’UniversitĂ  di Macerata dove mi occupo di violenza politica, conflitti e terrorismo. Ultimamente sono stato visiting student researcher alla Queen’s University of Belfast. Sono membro del Security Institute di Londra e mi occupo di geopolitica, terrorismo ed intelligence, le mie grandi passioni sono i viaggi, i libri, l’arte la corsa il tè e il caffè.

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