Il Golfo Persico, snodo fondamentale per gli equilibri energetici mondiali, vede fronteggiarsi, da sponda a sponda, una quantità incredibile di attori, da Qatar e Arabia Saudita, appoggiati dagli Stati Uniti, all’Iran che sfrutta la sponda di Russia e Cina, in una battaglia che potrebbe ridefinire gli equilibri di potere globali.
SVILUPPI SIRIANI – L’attacco con armi chimiche perpetrato il 21 di agosto in un sobborgo di Damasco ha suscitato forti reazioni, anche discordanti, in tutto il mondo, con le Monarchie del Golfo (l’Arabia Saudita in prima fila) ad avallare le dichiarazioni americane su come la cosiddetta “linea rossa” fosse stata varcata. A fronte della cautela americana, l’Arabia Saudita e il Qatar hanno anzi colto l’occasione per ribadire quella che era la propria posizione già dall’inizio del conflitto, ovvero l’appoggio concreto a un intervento più incisivo sul suolo siriano.
I RETROSCENA – Nel novembre 2011 la Lega Araba, con il sostegno delle Monarchie sunnite del Golfo e l’opposizione dell’Iran, ha sospeso la membership della Siria a causa della violenta repressione delle proteste di piazza, inviando degli ispettori a monitorare la situazione da vicino. La missione si rivelò infruttuosa e la delegazione fu addirittura costretta ad abbandonare il terreno a causa sia della scarsa collaborazione delle Autorità, sia della situazione interna ormai sfuggita di mano. I rapporti tra il blocco sciita del nord e le Monarchie sunnite del Golfo, già tesi, si deteriorarono sempre più, con la Siria, da una parte, a rivendicare indipendenza e mano libera nella repressione interna, sfruttando la sponda di Russia e Cina, e il Qatar e l’Arabia Saudita dall’altra a condurre lo schieramento opposto, invocando un intervento più deciso nella crisi in corso.
SUNNITI E SCIITI – La guerra in Siria, però, come spesso succede nelle relazioni internazionali, non riguarda solamente il territorio in cui fisicamente avviene, ma comprende uno scacchiere più vasto e composito. Alcuni tra gli attori coinvolti più importanti sono, infatti, i gruppi sciiti del nord (Iran e Siria soprattutto) e i sunniti del sud, in contrasto tra loro per ragioni sia ideologiche che politiche, le cui mosse passano anche attraverso i campi di battaglia di Damasco e Homs. Non bisogna infatti dimenticare che al centro del mondo sciita si trova proprio l’Iran, legato a doppio filo alle élites alawite siriane da un sistema di mutuo sostegno e comunanza di interessi. Si può intravedere inoltre la mano di Teheran dietro l’appoggio ad associazioni e gruppi sciiti più o meno legali, dagli Hezbollah libanesi alle minoranze sciite in Iraq, Bahrain e Arabia Saudita. Teheran può contare su pochi alleati regionali, quantomeno a livello statale, e la Siria diventa quindi fondamentale per i suoi interessi: in questa logica va infatti letto l’incondizionato appoggio di Teheran al regime di Damasco, con aiuti sia in denaro che in uomini e tecnologia, nonché la decisa opposizione all’intervento occidentale nel conflitto. Dal canto loro, invece, Paesi sunniti come Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi mal vedono questi tentativi di espansione e cercano di limitarne il più possibile l’influenza, per isolare il regime degli Ayatollah sfruttando anche il supporto di Gran Bretagna e USA, che possiedono numerose basi nel Golfo. Questi Stati, a favore di un intervento diretto nel conflitto, si sono distinti anche per forti azioni di lobbying presso enti nazionali e internazionali: sono i casi del Qatar con il Congresso statunitense e le Camere inglesi (si mormorò anche di “premi” in denaro messi in palio da Doha in caso di voto favorevole all’intervento), o dell’Arabia Saudita, che ha cercato infruttuosamente di assicurarsi una benevola neutralità di Mosca nel conflitto.
IL NEMICO DEL MIO NEMICO È MIO AMICO – Nei precedenti paragrafi abbiamo spesso accostato l’azione dell’Arabia Saudita a quella del Qatar e degli Emirati Arabi, come se agissero di concerto. Va però detto che, tra questi, non mancano certo gli attriti. Nel mondo delle relazioni internazionali è spesso difficile tracciare una linea netta tra due campi e le alleanze sono in molte occasioni di scopo, limitandosi di volta in volta alla questione trattata. Per esempio Arabia Saudita e Qatar sono Paesi dal peso non indifferente nella regione in termini economici, energetici, politici e religiosi, e spesso si trovano in contrasto su vicende sia di politica interna che estera. Tuttavia la crisi siriana riesce, almeno momentaneamente, a favorire una “comunanza d’intenti”. Nell’interesse di entrambi, infatti, non c’è solo limitare la sfera d’influenza sciita e iraniana: questi Stati sono anche grandi produttori di gas e greggio ai quali serve il Golfo Persico per le esportazioni, ossia la sicurezza del passaggio obbligato dello Stretto di Hormuz, controllato da Teheran. Il Qatar, inoltre, condivide con l’Iran l’importantissimo giacimento di gas del South Pars Field, da cui entrambi attingono risorse.
Non sorprendono quindi le pesanti attività di lobbying presso le cancellerie occidentali e il supporto, in armi e denaro, alle forze dell’opposizione siriana. Pertanto, benché Doha e Rihad continueranno certamente a scontrarsi sulla penisola arabica, l’intesa proseguirà riguardo alla Siria, nonostante la reciproca diffidenza.
Marco Lucchin