Hassan Rohani, Presidente iraniano dallo scorso giugno, ha ispirato in parte della comunità internazionale la speranza di una svolta riformista a Teheran, che consenta di riaprire il dialogo su molti temi fondamentali, dal nucleare, alla questione siriana. Le sfide, tuttavia, sono molte e complesse, a partire dai delicati equilibri politici in Iran.
IL CONTESTO – L’elezione di Hassan Rohani con il 50,71% delle preferenze lo scorso 14 giugno ha colpito le cancellerie occidentali e non solo. Rohani ha avuto la meglio sul candidato conservatore Mohammad Bager Ghalibaf, attuale sindaco di Teheran con un passato accademico, nonchĂ© nell’Aereonautica militare e nelle Forze dell’Ordine. La pressione sul Paese e le sanzioni per le ambizioni nucleari (sempre presentate a scopo energetico) avevano creato un contesto che faceva immaginare l’ascesa di un nuovo leader conservatore sulla scia di Mahmoud Ahmadinejad, caduto in disgrazia a causa dello scontro con la guida suprema Ali Khamenei. La telefonata della scorsa settimana tra Obama e il nuovo Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran è stata ripresa da numerosi media e rappresenta il primo colloquio diretto tra le due nazioni dalla Rivoluzione del 1979. A questo punto, prima di addentrarci nella complessa partita diplomatica di Rohani, è il caso di presentare la figura in questione.
LA NUOVA SPERANZA DEI RIFORMISTI IRANIANI – Hassan Rohani è un giurista e accademico, ex membro di gruppi di rilievo nella complessa piramide di potere iraniana quali l’Assemblea degli Esperti e il Supremo Consiglio per la Sicurezza Nazionale e negoziatore capo con i Paesi dell’AIEA per il programma nucleare di Teheran. Una delle caratteristiche fondamentali del nuovo Presidente è proprio quella di avere un approccio diplomatico e pragmatico, mosso dall’intenzione di dare buon esito alle ambizioni del Paese, ma allo stesso tempo di rompere l’isolamento nel quale attualmente esso si trova. Sul piano interno, la candidatura di Rohani ha dato uno spazio ai riformisti, vista l’esclusione dalla corsa elettorale di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani (attuale presidente del Consiglio per il Discernimento dell’Iran) e la rinuncia di Reza Aref. Una delle parole d’ordine del religioso giurista continua a essere “moderazione” ed è su questo che fanno affidamento i riformisti, ormai privi di rappresentanza dopo la presidenza di Mohammad Khatami. L’auspicio dell’attuale minoranza politica è di vedere una maggiore apertura verso l’Occidente e la realizzazione di riforme in campo economico e dei diritti civili. In ogni caso, la guida suprema Khamenei è la figura alla quale il neo-Presidente dovrĂ fare riferimento, con conseguenti limitati margini di manovra.
TEHERAN E WASHINGTON – Quando si discute di dialogare con l’Occidente, Rohani fa soprattutto riferimento a Washington, maggior promotore dell’isolamento e delle sanzioni contro l’Iran. Nel Congresso statunitense molti si dicono favorevoli a ulteriori sanzioni, non vedendo particolari cambiamenti nella nuova Presidenza. Nonostante ciò, l’Amministrazione Obama si sta mostrando possibilista verso l’idea di un diverso approccio e la telefonata della scorsa settimana potrebbe aprire nuovi scenari. Di certo, relazioni sinceramente amichevoli tra entrambi i Paesi sono difficili da prevedere nel prossimo futuro, in quanto finirebbero per incontrare una radicale critica politico-sociale. Inoltre, seppure la prospettiva di un arsenale nucleare iraniano venga considerata come una strada da non percorrere, la prospettiva dell’utilizzo civile resta nettamente in campo, e questo di certo renderĂ difficile qualunque forma di trattativa tra Teheran e Washington. Per Israele uno scenario simile apparirebbe come una minaccia inaccettabile e anche i Paesi del Golfo, specialmente l’Arabia Saudita, restano fortemente a favore di una repressione delle ambizioni iraniane, in quanto queste favorirebbero una incredibile ascesa del Paese come potenza regionale. La Turchia di Erdogan, non di meno, guarda con disturbo le aspirazioni iraniane, in quanto minerebbero gravemente il progetto “neo ottomano“.  Inoltre appare chiaro che per quanto riguarda la prospettiva di un attacco occidentale a Damasco, una delle motivazioni principali resterebbe quella di dare un segnale a Teheran, che dalla caduta di Assad perderebbe molto in termine di assetti geopolitici e strategici. Per quanto rivoluzionario, il possibile dialogo tra Stati Uniti e Iran ha una lunga strada da percorrere e numerose insidie sul proprio cammino.
SFIDE INTERNE ED ESTERE – Il vocabolario finora esibito dal pragmatico nuovo leader appare molto affine a quello di Khatami e crea alte aspettative interne ed esterne, ma non di meno anche una certa confusione. I conservatori non sono di certo scomparsi e la rovina di Ahmadinejad appare come un monito. Rohani potrĂ muoversi nel campo della nuova Carta dei diritti civili nei limiti consentiti dall’AutoritĂ suprema e dal resto della complessa struttura di potere del Paese degli Ayatollah. In ogni caso, un miglioramento su questo fronte potrebbe rappresentare una leva importante per promuovere una diversa immagine di Teheran e quindi favorire un approccio diplomatico. All’estero le sfide sono numerose e difficilmente la sola figura del giurista religioso riformista basterĂ ad avviare tavoli di conciliazione. Rohani ha davanti a sĂ© una difficilissima serie di sfide, ma resta da vedere se saprĂ davvero percorrerle e se gli sarĂ permesso.
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Angelo Boccato