“Neshastan, goftan wa barkhastan”, cioè “si sono seduti, hanno parlato e se ne sono andati”. Così commenta un anziano alla fine della Conferenza dei donatori appena conclusasi a Kabul. È davvero tutto così banale ed inutile? Circa 70 delegati da istituzioni e Paesi donatori si sono riuniti intorno a un tavolo, per la prima volta in terra afghana, per cercare di dare un indirizzo concreto alle tante necessità di cambiamento che tutti sembrano evidenziare ma nessuno mettere in pratica.
QUALE SEGNALE? – Si inizia con i “fuochi d'artificio”: una nottata di razzi lanciati sulla città dagli insorti (gruppi combattenti talebani ma non solo, che avversano il Governo centrale e la presenza straniera), per mettere in difficoltà gli atterraggi dei leader stranieri. Qualche disagio, ma tutti arrivano comodamente al tavolo di Kabul.
Una grande conferenza internazionale sull'Afghanistan si è infatti svolta oggi, per la prima volta, in Afghanistan. Un segnale incoraggiante? Se dopo 9 anni di interventi militari e civili e 9 conferenze internazionali non si è ancora giunti a strategie e programmi condivisi (nel Paese e nella comunità internazionale) e ad una governance del Paese accettabile, non è detto che questa sia la volta buona.
Karzai si è presentato con un programma di 23 priorità e ha ammesso che il Paese, da lui guidato sin dal 2001, non ha avuto un buon livello di governo.
La corruzione, oramai spauracchio di tutti i partner internazionali, è stata messa in evidenza ancora una volta: questa è di certo un grande male per il Paese ma non tutto si riduce a ciò.
Mancano le basi, e le azioni per costruirle sono state confuse: poco lavoro, poca protezione per la gente, poca considerazione delle realtà locali. Un disastro quindi? Non del tutto. Se oggi il Paese discute di Istituzioni, Costituzione, elezioni e rappresentanza è già segno che qualcosa è stato cambiato. Ma concetti tanto “occidentali” possono essere calati dall'alto solo in un prima fase, quella più dura, quella dove qualcuno deve imporsi; poi c'è però bisogno di discutere, di aggiustare, di affinare il tiro. Questo è mancato, sinora.
QUALI PRIORITÀ? – Sicurezza… ma va? Però questa volta Karzai ha una richiesta precisa, una scadenza: entro il 2014 le forze di sicurezza afghane dovranno prendere la totale responsabilità per il controllo del Paese. In questo caso il contributo straniero è chiaro, ma difficile: addestramento, tanto addestramento. ANA e ANP (le forze di sicurezza afghane) hanno inoltre bisogno di combattere la corruzione interna assicurandosi la fedeltà dei propri agenti, e quindi hanno necessità di assistenza costante e di fondi.
Coordinamento per la ricostruzione. Stando ai report ufficiali e non, gran parte dei fondi destinati allo sviluppo del Paese sono stati gestiti autonomamente dai donatori, senza che ci fosse una regia centrale, da parte del Governo o di un organo preposto, e senza che le attività portate avanti fossero reciprocamente conosciute. Il risultato: tante opere incompiute o impossibilitate a funzionare.
Omar Zakhilwal, Ministro delle Finanze afghano, ha quindi chiesto che il 50% dei fondi venga gestito a livello ministeriale. Richiesta in teoria ragionevole, ma non accompagnata da programmi o strategie pratiche. Il dilemma non è da poco: come fidarsi di una gestione centrale vista sinora come un “buco nero”? Altrettanto sensata la richiesta di Karzai alle ONG: creare un “common framework” e lavorare quindi all'interno di un programma. Non sembra certo un'idea irrealizzabile, non lo sarebbe stato neanche parecchi anni fa. Meglio tardi che mai?
Riconciliazione. Oramai il termine va di moda: ci sono i talebani buoni e quelli cattivi, con quelli buoni si fa la pace, con quelli cattivi si continua la guerra. Facile no? La pace si fa con il nemico, certo, ma prima di tutto con se stessi: se il Governo attuale non sarà chiaro su chi, nella lavagna, sta dal lato dei buoni e chi dei cattivi, non ci sarà riconciliazione accettabile, soprattutto dalla popolazione. Qui il problema è anzitutto di leadership: Karzai deve rischiare la propria posizione politica per avviare un processo di pace interna affidabile e tracciabile, evitando di barcamenarsi alla meno peggio tra signorotti locali, convenienze politiche e necessità reali. La popolazione non ha sinora accettato i rappresentanti locali scelti dal Governo, spesso personaggi ambigui e da sempre legati agli interessi criminali nel Paese. Un primo passo sarebbe incentivare la nomina dal basso, con elezioni, dei governatori e di altre cariche chiave, anzitutto attraverso una revisione costituzionale. Il cambiamento deve passare dalla legge, dalle regole, che sono l'unico vero strumento per rafforzare le istituzioni e per garantire quei meccanismi di “checks and balances”, controlli e contrappesi, tra i poteri del Paese.
DA DOVE PARTIRE – Qualunque misura verrà adottata avrà degli elementi di ambiguità: non ci sono soluzioni univoche e certamente esatte. Il fattore decisivo sarà anzitutto l'assunzione di responsabilità da parte di chi deciderà come convogliare e gestire i fondi ingenti dei donatori.
Sinora infatti la pioggia di denaro ha arricchito solo i bacini di chi è riuscito a “spremere” i finanziatori, grazie a meccanismi di corruzione e di gestione di piccoli feudi, lasciando a secco i reali destinatari iniziali dei fondi.
Se questa conferenza volesse portare dei risultati, avrebbe già due recenti progetti da utilizzare come banchi di prova: da una parte la Campagna per l'accesso all'informazione, iniziativa della società civile, che offre ottimi spunti per sviluppare meccanismi di trasparenza nelle decisioni degli organi pubblici. Dall'altra, il progetto del Gen. Petraeus sulla costituzione di forze di sicurezza locali, che potrebbe rappresentare un mezzo importante per la costruzione della fiducia tra istituzioni e dei rapporti centro-periferia (la conclusione negativa di questo processo sarebbe d'altra parte un disastro, con piccole milizie locali sotto il giogo dei “soliti feudatari”).
Il Governo di Kabul, gli Stati Uniti e la coalizione internazionale hanno da oggi, ancora una volta, un ennesimo punto di (ri)partenza. Senza dimenticare che, oltre a questo importante appuntamento appena passato, a settembre ci saranno le elezioni per la Camera bassa del Parlamento.
Pietro Costanzo
20 luglio 2010