Analisi – Si è consumata in Malesia una delle più insolite crisi politiche della sua storia, risoltasi nelle scorse settimane con la composizione di un nuovo Governo presieduto da Muhyiddin Yassin. Dopo poco più di un anno termina l’esperienza della coalizione progressista del Pakatan Harapan e, così, la speranza di Anwar Ibrahim di ricoprire la carica che fu di Mahathir Mohamad.
LA FINE DI OGNI (VANA) SPERANZA
Sullo sfondo di un contesto caotico contrassegnato da congiure, capovolgimenti di fronte e ripensamenti, nelle ultime due settimane la Malesia ha vissuto una crisi politica, tanto improvvisa quanto amara, dalle proporzioni paragonabili alla sconfitta elettorale di Dato’ Sri Najib Razak e del suo blocco conservatore alle elezioni del 2018, che aveva sancito la fine di un dominio durato sessant’anni. Il 21 febbraio era previsto un incontro tra i partiti della coalizione al Governo del Pakatan Harapan (PH), il Patto della Speranza, che avrebbe dovuto delineare le prossime mosse dell’esecutivo e, come previsto da accordi pre-elettorali, tracciare un percorso “controllato, pacifico e ordinato” che avrebbe condotto al passaggio di consegne tra il premier Mahathir bin Mohamad e il “Primo Ministro in attesa” (Perdana Menteri Menanti), Anwar Ibrahim. Quest’ultimo, leader e deputato del Parti Keadilan Rakyat (PKR), il secondo partito con più seggi all’Assemblea del Popolo (Dewan Rakyat), la Camera Bassa del Parlamento, era convinto che la faccenda si sarebbe conclusa positivamente “in mezz’ora”, malgrado alcuni alleati non la considerassero fino a quel momento in cima alle priorità dell’agenda di Governo, e alla vigilia della riunione aveva dichiarato che non si sentiva affatto sotto pressione. Ma, contrariamente alle rassicurazioni dell’alleato, Mahathir fu avvertito dal proprio segretario politico che Anwar cercava a tutti i costi una nomina a vicepremier, nel tentativo di controllare il processo di successione fintantoché non si fosse completato. In molti davano per certe le dimissioni di Mahathir dopo il summit dell’APEC, previsto in Malesia nel novembre prossimo, ma le voci che circolavano a inizio febbraio riportavano che al suo posto sarebbe stato incoronato una figura di compromesso in grado di mettere d’accordo le varie anime del PH. Gran parte dei suoi sodali avevano garantito ad Anwar il loro appoggio al piano di successione, ma le flebili speranze di succedere a Mahathir si sono dissolte nel momento in cui Anwar si è rivelato incapace di tenere a bada la fronda costituitasi all’interno del proprio partito.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – L’ex premier malese Mahathir Mohamad, protagonista della recente crisi di Governo
IL RIBALTONE
La crisi si è aperta dopo la decisione di Muhyiddin Yassin, Ministro degli Interni e Presidente del BERSATU, il movimento nazionalista dell’etnia malay di cui Mahathir era capo politico, di ritirare l’appoggio al Governo di Mahathir. Forte dei suoi 129 seggi, il Governo sembrava poter sopravvivere fino alla scadenza naturale del proprio mandato, ma il 23 febbraio ventisei parlamentari del BERSATU e undici franchi tiratori del PKR, capeggiata dal giovane rampollo di Anwar, Azmin Ali, hanno dichiarato la volontà di abbandonare il PH per negoziare una nuova maggioranza con il blocco conservatore all’opposizione Perikatan Nasional (Alleanza Nazionale), guidato dalla United Malays National Organisation (UMNO) dell’ex premier Najib. A quel punto il premier, 94 anni e con un’esperienza politica alle spalle che affonda le sue radici fin dal 1981, ha dovuto prendere atto che una parte del PH aveva deciso di prendere una strada diversa e il 24 febbraio ha rassegnato le proprie dimissioni, malgrado avesse ventilato agli alleati l’idea di formare un Governo di unità nazionale. Tra il 25 e il 26 febbraio, il sovrano della Federazione malese, Yang di-Pertuan Agong Sultano Abdullah Ri’ayatuddin, ha consultato uno a uno tutti i membri del Parlamento – prima volta nella storia del Paese – per trovare un nome condiviso che potesse sostituire Mahathir, ma nel frattempo nominato premier ad interim. Il 28 febbraio il BERSATU ha proposto Muhyiddin come candidato premier di una coalizione formata, oltre al BERSATU e ai transfughi del PKR – dal Barisan Nasional (che include l’UMNO e due movimenti etnici conservatori, la Malaysian Chinese Association e il Malaysian Indian Congress), dal Parti Islam Se-Malaysia – PSA (che torna al Governo con l’UMNO dopo 43 anni e con il quale aveva vinto insieme importanti appuntamenti elettorali a livello locale nel gennaio 2019) e dalla coalizione dei partiti dello Stato orientale del Sarawak, riuscendo a raccattare, almeno sulla carta, circa 112 voti (su 222 seggi) necessari alla maggioranza della Camera Bassa. In un contesto in rapida evoluzione la lite tra i due leader del PH era progressivamente rientrata, mentre a Kuala Lumpur e in altre città della Federazione si moltiplicavano le proteste di alcuni manifestanti, represse dalla polizia. Il Governo di Muhyiddin ha giurato il 1° marzo, ma dovrà superare lo scoglio della fiducia in Parlamento, che dovrebbe riunirsi non prima della metà di maggio. Nel perverso sistema federalista malese, il ribaltone a cui si è assistito a Putrajaya ha avuto effetti anche sulle amministrazioni di alcuni Stati federati, come Johor (da cui proviene lo stesso Muhyiddin) e Melaka. Il nuovo gabinetto vede la presenza di otto donne e, in assenza di un vicepremier, Muhyiddin si affiderà a quattro Senior Minister, che dovranno rilanciare l’azione di Governo e rimettere in moto una crescita economica che procede a rilento, minacciata dal COVID-19, dal ribasso significativo delle esportazioni di olio di palma, greggio e gas naturale causato dalla guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina e dalla corruzione.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Conferenza stampa del nuovo premier Muhyiddin Yassin, 9 marzo 2020
SUPREMAZIA MALAY
La velocità con cui il BERSATU e la fronda interna del PKR hanno abbandonato i vecchi alleati per costruire una nuova alleanza in Parlamento lascia pensare che Muhyiddin covasse da molto tempo l’idea di prendere il controllo dell’esecutivo. Esattamente come il suo predecessore, il nuovo premier aveva in passato militato nell’UMNO e, seppur con qualche differenza sostanziale nei toni e nella retorica utilizzati rispetto a Mahathir, non ha mai nascosto la volontà di rappresentare le istanze dell’etnia malay e del resto dei Bumiputeras (le popolazioni indigene della penisola e del Borneo settentrionale) a spese delle minoranze etniche cinese e tamil. In virtù di una supposta supremazia storica (Ketuana Melayu) che si avvale di una retorica che fa perno sul primato dell’etnia malay e sulla difesa dell’Islam, il BERSATU e altri movimenti politici vorrebbero progressivamente spogliare dei diritti essenziali le minoranze e scardinarne le posizioni dominanti acquisite in ambito economico e finanziario, rischiando così di riaprire un vecchio vulnus della politica malese. Se sotto certi aspetti la democrazia malese può essere considerata un esperimento di successo nel Sud-Est asiatico, negli ultimi due decenni in particolare si è assistito a un incremento della discriminazione su base etnica e religiosa, dovuto al ritorno di una cultura della contrapposizione che trae origine fin dall’indipendenza del Paese e che sembrava essere stata domata dalla “Nuova politica economica” (Dasar Ekonomi Baru – DEB), un programma di misure economiche e sociali messe in atto dall’UMNO tra il 1969 e il 1990 per correggere le diseguaglianze etniche. Eppure, fino all’anno scorso i movimenti islamici all’interno del PH accusavano Mahathir di mostrare un’eccessiva debolezza nei confronti del movimento socialdemocratico e secolarista formato in prevalenza da rappresentati di etnia cinese e tamil, il Parti Tindakan Demokratik (Partito democratico d’Azione – PTD), in merito alle politiche religiose e di integrazione in Malesia, come nel caso del disegno di legge governativo che intendeva introdurre l’alfabeto Jawi nelle scuole vernacolari, respinto proprio per l’opposizione del PTD. Per questi motivi, la coesione etnica di un Paese politicamente frammentato, non aiutato nemmeno da sistema elettorale uninominale che incrementa le differenze tra la penisola malay e il Borneo malese (Sarawak e Sabah), sarà uno degli ardui compiti cui il nuovo premier dovrà far fronte. Cavalcare la retorica primatista dell’identità malay e islamica rischierebbe, infatti, di far perdere a Muhyiddin il decisivo appoggio dei partiti etnici in Parlamento.
Raimondo Neironi
“The Petronas Towers, the tallest twin towers of the world (HDR)” by Jorge Lascar is licensed under CC BY