In 3 Sorsi – Da un mese la Spagna è entrata nello stato di quarantena, essendo il Paese europeo con il più alto numero di contagi. Intanto tra parziali riaperture e proposta di reddito vitale di base, il Governo di Pedro Sánchez ha adottato importanti misure economiche. Qual è la situazione nel Paese iberico?
1. L’EMERGENZA COVID19 IN SPAGNA
Il 15 marzo scorso, dopo i numerosi casi di contagi e le vittime che si sono iniziati a registrare e visto il trend sempre più negativo, anche la Spagna è entrata nello stato di “quarantena”. Il Paese iberico, infatti, ha seguito fin da subito il trend italiano, posizionandosi al primo posto per numero di contagi e al secondo in quanto a deceduti: i casi di contagio confermati al momento sono più di 177mila, di cui 18mila morti e circa 70mila pazienti guariti, anche se da sabato 11 aprile sembra che i dati siano in leggera diminuzione. La Spagna ha cercato di far fronte nel modo più rapido possibile all’emergenza sanitaria per evitare il collasso degli ospedali, in primis nella capitale Madrid, la più colpita dal virus. A poco più di una settimana dall’inizio della quarantena è stato istituito un ospedale da campo provvisorio nel centro Congressi e Fiere IFEMA, dove era già stato creato un albergo d’emergenza per i senza fissa dimora. L’ospedale, creato con l’aiuto dell’UME (Unità militari di emergenza) è il più grande ospedale da campo d’Europa: conta più di 5.500 posti letto e un’unità di terapia intensiva. Solo pochi mesi fa si era tenuta presso l’Ifema la COP25, il vertice mondiale dell’ONU per il clima.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – L’interno dell’ospedale da campo costruito nel polo fieristico IFEMA, Madrid
2. LE MISURE ECONOMICHE ADOTTATE DAL GOVERNO SANCHEZ
Il 29 marzo il Governo di Pedro Sánchez ha approvato il cosiddetto “Decreto di ibernazione dell’economia” (Decreto de ibernación de la economía), con la chiusura di quasi tutte le attività ritenute non-essenziali a fronte della grave emergenza sanitaria dovuta al COVID-19. Ciò nonostante numerose imprese che forniscono servizi non essenziali, ma che non hanno possibilità di lavorare in smart working, sono tornate in attività a partire da lunedì 13 aprile, in particolare imprese edili, cantieri e alcuni settori industriali. Il ministero della Sanità ha fornito delle direttive in tal senso, soprattutto per la circolazione dei lavoratori: è stato chiesto alle imprese di scaglionarne l’entrata e di evitare assembramenti nei trasporti pubblici e all’ingresso degli stabilimenti.
“Chediamo che le imprese siano flessibili negli orari di entrata e uscita per ridurre il numero di viaggiatori nel trasporto pubblico”, queste le parole della segretaria generale ai Trasporti, María José Rallo del Olmo. Questa decisione ha generato moltissime critiche, soprattutto perchè il Primo Ministro Sánchez non ha consultato il comitato scientifico, che, al contrario, suggeriva di mantenere lo stato di lockdown. Critiche alle quali Sánchez ha risposto prontamente, assicurando che il lockdown continua per tutti quei settori in cui sia possibile lavorare tramite il telelavoro o teletrabajo, come è chiamato in spagnolo.
Continuano invece a restare chiuse fino a data da destinarsi le attività di ristorazione (tranne che per il comparto di consegne a domicilio), le imprese del settore tessile e moda e le attività commerciali. Riguardo ai lavoratori, il Governo spagnolo ha adottato il cosiddetto ERTE, espediente di regolazione temporanea di lavoro, già utilizzato durante la grande recessione del 2008-2013. Secondo l’ERTE i lavoratori passano in modo automatico in stato di disoccupazione, percependo un sussidio corrispondente al 70% del proprio salario nei primi sei mesi, finchè non terminerà lo stato di emergenza da coronavirus. Nota importante è che questa misura può durare esclusivamente finché non si riprenderà la normale attività delle imprese e il Governo ha voluto rassicurare i lavoratori su questo aspetto. Particolarmente delicata è poi la situazione dei lavoratori autonomi: è stato chiesto al governo già dal 15 marzo di sospendere il pagamento di tributi come IVA e IRPEF nei settori e per le imprese maggiormente colpiti dal fermo delle attività. È stato inoltre chiesto di aumentare i prestiti e le garanzie approvate dal Governo da 20 miliardi di euro a 50 miliardi, per cercare di aiutare maggiormente autonomi e piccole e medie imprese.
Fig. 2 – Pedro Sanchez in Parlamento per riferire sulla situazione Covid-19
3. REDDITO DI BASE UNIVERSALE?
Negli ultimi giorni su numerosi quotidiani stranieri si è diffusa la notizia che la Spagna ha intenzione di approvare un “reddito di base universale“. Occorre però fare una precisazione: l’IMV, ingreso mínimo vital (reddito vitale minimo) che il Governo spagnolo ha proposto è una misura già esistente nel programma politico dei partiti progressisti spagnoli da vari anni: cinque anni fa infatti il PSOE lo inserì nel suo programma politico e anche Podemos aveva proposto un “reddito di base garantito” che andava dai 600 fino a un massimo di 1.200 euro per famiglia, raggiungendo circa 10 milioni di persone.
Ma cos’è l’IMV? Si tratta di un reddito di base, o reddito di “inserimento”, diverso da quello che alcuni giornali della stampa anglosassone hanno definito “universal basic income“. Quest’ultimo è una misura economica che coinvolge (come dice la parola) tutta la popolazione, senza fare differenze riguardo a reddito o componenti del nucleo familiare, avendo come principale obiettivo quello di alleviare i problemi che derivano dai processi di digitalizzazione e robotizzazione dell’economia.
Il reddito vitale minimo, invece, è un sussidio che riguarda solo i ceti sociali più poveri. In particolare i primi beneficiari saranno i collaboratori domestici (per questa categoria non è infatti prevista un’indennità di disoccupazione in caso di licenziamento), i lavoratori autonomi e i disoccupati. Possiede le stesse garanzie del sussidio di disoccupazione, in modo tale che, terminato il periodo di ricezione di quest’ultimo, ci sia il passaggio “automatico” all’ingresso minimo vitale, garantendo la copertura della prestazione.
Un elemento importante è che la Spagna è divisa in comunità autonome e questo fa sì che ognuna abbia diversi criteri e tipologie di sussidi, notevolmente diversi da una regione all’altra: con l’introduzione di una misura statale si eliminerebbe questa differenza di accesso e di condizioni, rendendo il processo universale. È stato sottolineato che questa misura sarà strutturale e indefinita nel tempo, rispetto a tutte le altre che sono limitate a un determinato periodo di tempo.
“Sarà una rete di solidarietà permanente”, così l’ha definita il ministro dell’Inclusione e Previdenza Sociale, José Luis Escrivà. Questo sussidio non sarà solo una misura di tipo assistenzialistico, ma sarà complementare a un inserimento nel mercato del lavoro: si cercherà dunque di associarla a percorsi di inclusione sia lavorativa che sociale. In attesa di ulteriori sviluppi, arriva dunque dalla Spagna una ventata di speranza e, perchè no, anche di ottimismo.
Rachele Renno
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