Analisi – Nuove tensioni tra gli Stati Uniti e il Nicaragua: quali sono gli impatti della nuova applicazione della Dottrina Monroe sul Paese guidato dal vecchio rivale Ortega?
USA-NICARAGUA, RIVALI DI VECCHIA DATA
Sono passati più di quarant’anni dal trionfo della rivoluzione sandinista sul pluridecennale Governo della famiglia Somoza, uno degli sconvolgimenti geopolitici che segnarono il passaggio tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del Novecento. L’avvento di un’ulteriore entità statale di stampo filo-marxista nell’emisfero occidentale ebbe una profonda influenza sugli sviluppi della politica estera americana dell’Amministrazione Reagan, che cercò in tutti i modi di destituire il Governo rivoluzionario capeggiato da Daniel Ortega, ex leader della guerriglia ritornato alla guida del Paese nel 2006. Oggi come allora il Nicaragua non trova spazio nella visione del mondo degli Stati Uniti: il Paese mesoamericano è stato infatti designato dagli USA di Donald Trump quale terzo polo della “Troika della Tirannia”, responsabile dell’instabilità politica e sociale in una regione che da sempre è percepita come competenza esclusiva di Washington.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Un motociclista supera una clinica mobile con la foto del Presidente Ortega e della sua consorte
IL “NICA ACT” E LE CONSEGUENZE DELLE SANZIONI
I rapporti americano-nicaraguensi si sono inaspriti nel corso del terzo mandato consecutivo del Presidente Ortega, che nelle controverse elezioni del 2016 era stato riconfermato al potere con un netto distacco sul candidato dell’opposizione, destando però sospetti sulla regolarità del processo elettorale. Già all’epoca il Congresso statunitense aveva avviato l’iter per l’approvazione di una legge – il cosiddetto “Nica Act” – per impedire la concessione di nuovi prestiti dalle Istituzioni internazionali al Governo nicaraguense, con l’obiettivo di spingere il regime di Ortega a concedere elezioni democratiche e trasparenti. La proposta di legge, temporaneamente accantonata durante le presidenziali USA del 2016, fu successivamente recuperata e approvata nel dicembre del 2018, in risposta alla violenta repressione dei tumulti sociali scatenatisi in Nicaragua a seguito della riforma pensionistica annunciata da Ortega. Nel corso degli ultimi due anni al blocco dei prestiti sono seguite altre sanzioni di tipo economico applicate ai soggetti giudicati responsabili di violazione dei diritti umani, tra i quali figurano la vicepresidente (e moglie di Ortega) Rosaria Murillo e altri funzionari del Governo e delle Forze Armate. L’economia del Paese ha inevitabilmente accusato le conseguenze dell’instabilità politica e della pressione internazionale. La crescita del PIL, crollato ai minimi storici nel quarto trimestre del 2018 (-7,7% rispetto al 2017), rimane tuttora paralizzata dall’apparente impossibilità di raggiungere una soluzione negoziata alla crisi, aggravando le condizioni di povertà della popolazione nicaraguense. Dall’inizio delle proteste, circa 60mila persone sono fuggite dal Paese in cerca di un futuro migliore nella confinante Costa Rica.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il Presidente Ortega con Zarif, ministro degli Esteri iraniano
I RAPPORTI INTERNAZIONALI
Nel corso degli anni le sorti del Nicaragua si sono legate sempre di più a quelle del Venezuela dell’alleato Maduro, con il quale il regime di Ortega ha stretto fitti rapporti politico-economici, entrando a far parte dell’ALBA e di Petrocaribe, l’alleanza petrolifera capeggiata da Caracas che concede forniture a tariffe agevolate per gli Stati membri. A livello sub-continentale il Nicaragua costituisce parte del cosiddetto “Asse Bolivariano”, che include i Governi di Cuba e di Caracas, caratterizzati da uno spiccato anti-americanismo. Per Managua tale allineamento di fatto si traduce in un quasi totale isolamento diplomatico ed economico da parte degli altri attori nella regione. La stretta dipendenza dal Venezuela ha reso inoltre il Nicaragua estremamente sensibile agli sconvolgimenti dettati dal prolungarsi della parallela crisi nel Paese alleato, spingendo Ortega a consolidare rapporti anche su altri fronti per assicurare la propria sopravvivenza al potere. Le relazioni russo-nicaraguensi, avviate proprio a partire dalla rivoluzione del 1979, si sono recentemente intensificate, arrivando a includere accordi di tipo militare rivelatisi poi cruciali per la gestione delle rivolte nazionali. Lo scorso luglio, in occasione del quarantesimo anniversario della rivoluzione sandinista, Vladimir Putin ha inoltre assicurato all’alleato d’oltreoceano che “il Nicaragua potrà sempre contare sull’aiuto russo per la difesa della propria sovranità nazionale”, suggellando un’alleanza di stampo strategico. Nel corso degli ultimi sette anni anche la Cina ha avuto un ruolo attivo nel Paese per la realizzazione del controverso Canale del Nicaragua, un ambizioso progetto di ingegneria civile del valore superiore a 50 miliardi di dollari che avrebbe assicurato un passaggio alternativo al Canale di Panama per i traffici marittimi tra Atlantico e Pacifico, sotto il controllo diretto di una compagnia cinese. Il protrarsi dell’instabilità nel Paese ha portato però all’abbandono del progetto da parte della Cina, che ha preferito dirottare gli investimenti proprio sul canale di Panama. Nel vuoto lasciato da Pechino si è presto inserita Taipei, che all’inizio del 2019 ha concesso al Nicaragua un prestito di 100 milioni di dollari, complicando il quadro delle alleanze internazionali strette dal regime di Ortega – che in questo senso aderisce alla linea del riconoscimento sovrano di Taiwan sostenuta da Washington. A rendere la situazione ancora più allarmante agli occhi degli USA si aggiungono infine i rapporti tra Nicaragua e Iran, recentemente blindati da ulteriori accordi di cooperazione economica e da tempo motivo di preoccupazioni per questioni legate alla presenza di campi di addestramento destinati ad Hezbollah al confine tra il Nicaragua e l’Honduras.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Il Presidente Ortega con la moglie e vicepresidente, Rosario Murillo
EMERGENZA COVID-19: IL COLPO FATALE?
Fino ai primi mesi del 2020, la permanenza al potere di Ortega è stata dunque assicurata dal supporto economico-militare di alleati esterni, che hanno contribuito a tenere a galla il Governo del leader sandinista gravato dal crescente isolamento internazionale dovuto alle accuse di sistematiche violazioni dei diritti umani nella repressione delle rivolte. L’ultimo “attore” entrato in gioco potrebbe rivelarsi decisivo per le sorti del regime: il Nicaragua è infatti l’unico Paese dell’America Latina a non aver adottato misure di distanziamento sociale per prevenire la diffusione del Coronavirus, incoraggiando anzi l’aggregazione sociale e minimizzando l’entità del contagio. Diverse sono le informazioni registrate delle Autorità sanitarie locali, che riportano un allarmante incremento dei casi di polmonite e che prevedono un possibile picco di oltre 32mila contagi in sei mesi. È quindi plausibile che il rifiuto del Governo nicaraguense di accettare l’esistenza dell’emergenza e di adottare misure di contenimento possa contribuire ai disegni di Washington: l’inevitabile peggioramento delle già precarie condizioni sociali e sanitarie nel Paese potrebbe verosimilmente innescare una nuova ondata di proteste volte a destituire Ortega, la cui autorità è oggi più che mai in uno stato di precario equilibrio.
Marco Tumiatti
“NI Lago Nicaragua 0411 003” by Archivo Murciélago Blanco is licensed under CC BY-SA