Analisi – I giudici tedeschi sembrano attaccare Banca centrale europea e Corte di giustizia dell’Unione europea. È davvero così?
KARLSRUHE CONTRO IL QUANTITATIVE EASING
Con la decisione del 5 maggio scorso la Corte costituzionale federale tedesca, esprimendosi su un ricorso introdotto da alcuni cittadini (tra cui noti simpatizzanti di movimenti di estrema destra) convinti che l’operato della Banca centrale europea e della Corte di giustizia dell’Unione Europea avesse leso i diritti dei risparmiatori tedeschi, ha contribuito non poco ad agitare le acque di un’Europa già abbondantemente perturbata da altri fattori.
Cerchiamo con questo primo articolo di comprendere esattamente quale sia l’oggetto del contendere e l’ambito del conflitto giurisdizionale.
Semplificando, oggetto del ricorso erano le decisioni prese dalla BCE a partire dal 2015 in materia di Quantitative Easing. Con tale espressione ci si riferisce alla politica non convenzionale con la quale una banca centrale acquista titoli sul mercato con lo scopo di incrementare l’offerta di denaro in circolazione. Come sappiamo, il QE è stato un importantissimo elemento nel quadro dell’intervento massiccio a sostegno dell’economia della zona euro portato avanti dalla Banca centrale europea guidata fino a poco tempo fa da Mario Draghi (il cui “whatever it takes” ha probabilmente salvato l’euro negli anni della crisi del debito).
Fig. 1 – Mario Draghi, ex Presidente della BCE, con Angela Merkel
I CONTENUTI DELLA DECISIONE
I giudici di Karlsruhe, con riferimento agli articoli 5 del Trattato sull’Unione europea (principio di proporzionalità nell’esercizio delle competenze) e 123 (proibizione del finanziamento monetario della pubblica amministrazione) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ritengono sostanzialmente che la BCE non abbia adeguatamente spiegato la proporzionalità delle decisioni prese nell’ambito del programma PSPP (Public Sector Purchase Programme) di investimento (nonché reinvestimento dei titoli in scadenza) in titoli di Stato, pur riconoscendo che non ha aggirato il divieto di finanziamento monetario dei debiti pubblici, visti i limiti al programma fissati dalla stessa Banca centrale.
La questione appare tecnicamente complessa per chi è digiuno di economia, ma con rozza approssimazione possiamo dire che il nocciolo della questione è che la BCE, che è un’Istituzione europea, è investita del potere di gestire la politica monetaria della zona euro (ossia mantenere la stabilità dei prezzi), non anche di gestire la politica fiscale (o economica), che rappresenta invece prerogativa esclusiva degli Stati membri. Nel momento in cui la BCE avesse acquistato titoli di Stato dei Paesi della zona euro in maniera non proporzionata all’espletamento del proprio mandato (cioè acquistandone più di quanto necessario esclusivamente al mantenimento della stabilità dei prezzi), avrebbe esorbitato dalle proprie funzioni, espandendo le competenze dell’UE ultra vires (al di là dei poteri) a scapito delle competenze nazionali.
La Corte tedesca contesta inoltre alla Corte di giustizia dell’Ue, che ha confermato nel dicembre 2018 la validità del QE, di aver escluso dal suo giudizio la questione appunto delle conseguenze macroeconomiche del programma di acquisto titoli, elemento che sarebbe invece stato necessario per valutarne la proporzionalità rispetto agli obiettivi.
Di conseguenza i giudici stabiliscono che Governo e Parlamento tedesco devono richiedere alla BCE di provare in maniera convincente, entro tre mesi, la proporzionalità degli acquisti di titoli rispetto agli obiettivi di politica monetaria indicati al momento del lancio del programma di acquisto. In mancanza di spiegazione, la Bundesbank non potrebbe più seguire le istruzioni della Banca centrale europea e dovrebbe quindi ridurre gli acquisti effettuati.
Fig. 2 – La sentenza della Corte Costituzionale contro la BCE
LA PROBLEMATICA GIURIDICA E IL TEMA DELLA RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE
Non è la prima volta, ovviamente, che i giudici costituzionali di un Paese membro dell’Unione intervengono in materia di diritto comunitario. I giudici tedeschi non disconoscono la legittimità della Corte UE, riconoscono non ammissibile che ogni Stato interpreti il diritto europeo secondo i propri tribunali, perché ciò polverizzerebbe l’esistenza stessa di un diritto europeo, ma affermano allo stesso tempo il proprio diritto a intervenire nel merito delle pronunce della Corte di Giustizia Europea, in quanto la sorveglianza sul fatto che l’UE agisca nei limiti delle competenze attribuite non può essere lasciata agli organi dell’Unione stessa.
Il problema è reale perché l’Unione Europea non è uno Stato federale. Ma i giudici di Karlsruhe sembrano andare oltre nel momento in cui, contestando il modo in cui la Corte di giustizia UE ha preso la propria decisione (non pretendendo dalla BCE la documentazione della proporzionalità dell’azione), parlano di “limitata capacità di controllo giudiziario” (“Begrenzung der gerichtlichen Kontrolldichte”) esercitata da Lussemburgo. Come dire che i giudici europei abbiano esaminato il caso in maniera incompleta o superficiale…
Il paradosso (o la vera e propria incongruenza giuridica, secondo alcuni commentatori) è ravvisabile nel fatto che il principio di proporzionalità invocato dai giudici di Karlsruhe non è principio della Costituzione tedesca, bensì… dell’ordinamento UE.
[Nella seconda parte dell’articolo esamineremo l’impatto politico della sentenza, le reazioni delle Istituzioni europee e le possibili soluzioni]
Paolo Pellegrini
“Mündliche Verhandlung in Karlsruhe” by Mehr Demokratie e.V. is licensed under CC BY-SA