Analisi – La Banca centrale europea ha annunciato la fine del programma straordinario di acquisto titoli istituito per far fronte alla crisi causata dalla pandemia. Tuttavia, Francoforte non ha intenzione di ritoccare al rialzo i tassi di interesse, nonostante le preoccupazioni per il ritorno dell’inflazione.
FINE DEL PEPP NEL PRIMO TRIMESTRE 2022
Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha annunciato il 16 dicembre scorso le decisioni relative agli orientamenti di politica monetaria che saranno tenuti nel corso del 2022.
La notizia principale è che gli acquisti di titoli del Pandemic emergency purchase programme (PEPP) saranno ridimensionati, fino a porvi termine alla fine del primo trimestre 2022, anche se Francoforte rinnoverà quelli in scadenza già in suo possesso almeno fino al 2024.
Ricordiamo che il programma PEPP è uno strumento d’emergenza che è stato lanciato a seguito della pandemia da Covid-19, per un totale di ben 1.850 miliardi di euro, e uno dei cardini dell’azione della BCE a sostegno dell’economia europea in crisi a causa del coronavirus. Assieme alle altre iniziative delle istituzioni UE (basti citare Next Generation EU), sta permettendo il tamponamento del collasso economico del 2020 e il ritorno alle condizioni pre-crisi.
Fig. 1 – La Presidente della BCE Christine Lagarde
QUALI CONSEGUENZE PER L’ECONOMIA E LA SOSTENIBILITA’ DEI CONTI PUBBLICI?
L’annuncio della conclusione del programma è una buona o una cattiva notizia? Vuol dire che le economie dei Paesi della zona euro non hanno più bisogno del sostegno di Francoforte, oppure si tratta di una mossa suscettibile di mettere a rischio la ripresa o la stabilità dei conti pubblici di quegli stessi Paesi? Che cosa comporta questa decisione di politica monetaria per l’Italia in particolare? E come si inquadra nel contesto di impennata dei prezzi che lascia intravedere, secondo alcuni, possibili scenari di alta inflazione duratura?
Dal punto di vista italiano, si potrebbe pensare ad una decisione sfavorevole per la stabilità del nostro debito pubblico, fortemente dipendente dalla rete di salvaguardia costituita dal fatto che sia Francoforte a detenere una grande fetta dei nostri titoli pubblici.
Bisogna però mettere le cose nella giusta prospettiva.
Innanzitutto, pur ridimensionando il programma PEPP, la BCE non tocca i tassi di interesse, confermando in tal modo un approccio diverso rispetto a quello della Federal Reserve statunitense, che invece ha cominciato ad attuare una politica anti-inflazionistica di rialzo progressivo dei tassi. Indubbiamente, in effetti, le condizioni dell’economia USA sono diverse rispetto a quelle dell’Europa, sia per quanto riguarda l’inflazione, più alta e meno dipendente rispetto alla UE da un eccesso temporaneo di domanda, che dal lato del mercato del lavoro, più dinamico anche se non ancora a livelli ottimali.
Inoltre, a bilanciare la chiusura degli acquisti “pandemici” del PEPP, verranno incrementati gli investimenti “normali” del PSPP (Public Sector Purchase Programme): da 20 miliardi al mese a 30 (nel secondo trimestre 2022) e 40 (nel terzo trimestre) per ritornare a 20 negli ultimi mesi dell’anno. È deciso anche che gli acquisti netti dell’Asset purchase programm, di cui il PSPP riservato ai titoli pubblici è l’elemento principale, continueranno finché necessario a sostenere la direzione espansiva della politica monetaria europea – soltanto dopo eventualmente si decideranno aumenti dei tassi di interesse.
Fig. 2 – La sede della BCE a Francoforte
LA ‘CASSETTA DEGLI ATTREZZI’ DELLA BCE E UN DIFFICILE EQUILIBRIO
Le due leve dell’acquisto titoli e dei tassi fanno parte della “cassetta degli attrezzi” delle Banche centrali e in linea generale si fa ricorso al primo strumento, nell’ambito della politica monetaria, quando i tassi ufficiali di rendimento non possono essere abbassati ulteriormente in periodi di bassa crescita (deflazione); logico quindi che, all’inverso, in un momento di risalita dell’inflazione si limitino dapprima gli acquisti e solo in un secondo momento si agisca sui tassi.
L’evoluzione possibile dell’inflazione rappresenta peraltro un interrogativo al quale al momento è molto difficile dare una risposta, i prossimi sei mesi forse potranno indicare con maggiore precisione il trend possibile.
Tornando ai titoli di stato italiani, secondo i calcoli dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, la BCE (tramite la Banca d’Italia in primis) ha acquistato l’anno scorso circa 155 miliardi di debito pubblico italiano, finanziando in tal modo circa il 92% del nostro deficit.
A fine 2022 si stima che la BCE e le altre istituzioni UE deterranno, nonostante il previsto calo di acquisti, il 30% del debito complessivo (corrispondente al 44% del PIL).
Si tratta di cifre notevoli, che aiutano l’Italia non soltanto a non avere problemi nella collocazione dei titoli, ma anche a mantenere bassi i tassi di rendimento, dunque a non spendere molto in interessi. L’alta percentuale di quota di debito italiano detenuta dalla BCE ha infatti il duplice effetto di garantire la tenuta dei conti pubblici e di calmierare in qualche modo il prezzo, limitando le quote in possesso di investitori privati interessati esclusivamente a finalità speculative.
Allargando lo sguardo all’Europa nel suo insieme, la decisione della BCE porre termine agli acquisti PEPP va nel senso di un inizio di prudenziale ridimensionamento della politica fortemente espansiva dei due anni passati, il che incontra sicuramente il favore delle economie “forti” (leggi Germania), da dove provengono da tempo richieste di una stretta creditizia. Tuttavia, Francoforte dimostra di voler mantenere un approccio estremamente prudente e di non voler mettere a rischio la ripresa in corso con rialzi precipitosi dei tassi, continuando in tal modo a garantire la copertura della propria politica monetaria ai Paesi gravati dai debiti pubblici più alti e maggiormente colpiti dalla crisi pandemica.
Paolo Pellegrini
Photo by frycyk01 is licensed under CC BY-NC-SA