Inaugurata ufficialmente il 29 settembre scorso, la Shanghai Free Trade Zone, prima zona di libero mercato in Cina, continua a far parlare di sĂ©, mentre restano ancora dubbi e incertezze sulle reali potenzialitĂ di quella che si prefigura come la Mecca degli investimenti stranieri nella PRC. Tutte le aspettative caricate sul centro economico-finanziario del Regno di mezzo non fanno che alzare l’attenzione degli osservatori sulle sorti di quanto resta la piĂą rampante delle tigri d’Oriente, con Hong Kong pronta a difendere il titolo di hub per l’Asia-Pacific region.
Da Shanghai
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UN COLPO AL CERCHIO… – Dopo la riforma del controllo sull’immigrazione straniera introdotta il luglio scorso, il Governo cinese getta una nuova incognita nell’arena dell’investimento straniero sul mercato piĂą promettente dell’Asia Pacific, almeno in quanto a numero di consumatori. Inizia a farsi un po’ di luce tra le nubi dell’ammissione della Cina al WTO nel dicembre 2001, quando ancora la ComunitĂ Internazionale sperava di poter aver voce in capitolo nella crescita del colosso orientale. Sin da allora ogni progetto economico proveniente dall’estero sul suolo cinese ha dovuto scontrarsi con il benestare del monolitico MOC (Ministry of Commerce) e il famoso catalogo di investimenti approvati, permessi e vietati.
…E UNO ALLA BOTTE – Grazie alla volontĂ del premier Li Keqiang e del ministro del Commercio Gao Hucheng, la via socialista al capitalismo tenta ora un approccio in negativo, ovvero, invece di stabilire in che campo è ben accetto capitale straniero, lasciando off-limits tutto il resto, il Governo ha individuato una serie di attivitĂ economiche tipiche del settore primario, secondario e terziario in cui l’interesse nazionale in gioco appare così chiaro da dover rimanere totalmente estranee o parzialmente protette da influenze straniere. E allora spazio alla possibilitĂ di cooperazione e lancio di joint venture nella maggior parte dei settori in cui l’economia cinese necessita di quel “knowledge-exchange“ che rimane l’unico asso nella manica di un giocatore straniero ormai a secco di capitali inesauribili da investire.
LA CUCCAGNA DEI SERVIZI – Con una superficie di circa 29 chilometri quadrati distribuiti in 4 diversi distretti dell’area geografica di Pudong, quartiere sviluppato a fine anni Novanta per far spazio alla crescita esuberante dell’antica Puxi (la porzione di cittĂ situata a ovest del fiume Huangpu), la Shanghai Free Trade Zone (FTZ) promette di ospitare investimenti massicci nel campo della logistica, nel settore bancario-finanziario-assicurativo e in quello dei servizi alla popolazione. Rivoluzionaria la possibilitĂ per le banche straniere di aprire sportelli per il servizio diretto alla clientela (Citibank e Development Bank of Singapore le prime a non farsi sfuggire una tanto ghiotta opportunitĂ ). Inoltre i circa 210mila stranieri registrati a Shanghai potranno a breve farsi curare in un ospedale totalmente detenuto da capitale straniero, visto che anche il protezionismo sulla sanitĂ non prevede piĂą l’obbligo di joint venture.
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IN CODA COME IN URSS – Chi ha avuto la possibilitĂ di far visita al distretto di Waigaoqiao racconta di code presso gli uffici pubblici per la registrazione di WFOE (Wholly Foreign Owned Enterprise), ovvero le aziende a capitale totalmente straniero, e di tempistiche per l’ottenimento di una Business License (l’autorizzazione a svolgere attivitĂ commerciali) mai viste prima. Sembra quindi giĂ iniziato il nuovo capitolo della corsa all’oro made in PRC, e c’è giĂ chi incassa i primi benefici della FTZ, come i gruppi immobiliari che hanno investito nell’area, dove in poco piĂą di 2 settimane i prezzi al metro quadro sono aumentati del 20%. In Cina, a differenza della meno burocratica Hong Kong, per avviare un’attivitĂ a investimento straniero occorre un indirizzo registrato presso un edificio commerciale, ovvero destinato a ospitare uffici. Se tutto dovesse andare secondo i piani, la zona di Puxi (la downtown di Shanghai) dovrebbe subire un lieve calo di prezzi per le proprietĂ immobiliari in vista dell’aumento drammatico di richieste per la registrazione nella FTZ di Pudong. Non solo, visti i benefici garantiti a diversi settori, un numero consistente di aziende provvederĂ in tempi rapidi a spostare i propri sigilli presso il nuovo paradiso dell’investimento straniero in Cina, influendo direttamente sul mercato delle proprietĂ commerciali.
LA PROVA DEL NOVE – A prescindere dal numero di titoli in prima pagina conquistati sulle testate specialistiche di tutto il pianeta, la Shanghai Free Trade Zone rappresenta un nuovo test di riflessi per l’economia cinese. Non a caso il governo di Pechino ha scelto proprio la realtĂ piĂą dinamica, Shanghai, come banco di prova per misure piĂą lassiste nei confronti dell’investimento straniero. L’egalitarismo economico lanciato nel campo delle riforme da Deng Xiaoping sembra ormai imporre il test su scala provinciale (le Province cinesi equivalgono alle Regioni italiane) di norme che andranno poi implementate a livello nazionale. Tale politica ha ovviamente risultati ambivalenti: se da una parte si evita di portare la nazione all’orlo del disastro come ai tempi del “Grande Balzo in Avanti” coniato da Mao Zedong, dall’altra si rischia di cadere in una delle patologie della globalizzazione, ovvero “l’indifferenza alle differenze”. Infatti, nonostante un progetto di apertura nei confronti del capitale straniero possa risultare ampiamente benefico e di successo in una realtĂ economica matura come la municipalitĂ di Shanghai, qualora l’entusiasmo della FTZ spingesse il Consiglio di Stato ad ampliarne immediatamente l’estensione geografica, si rischierebbe di tornare agli errori commessi nel passato.
IL BURATTINAIO – Se Adam Smith potesse assistere alla gestione in salsa cinese di quella che apostrofava come “economia di libero mercato”, probabilmente invece della “mano invisibile” avrebbe coniato la teoria del burattinaio, dato che quello implementato dai burocrati dello Stato cinese è ormai a tutti gli effetti un capitalismo protezionistico verniciato di un rosso che rischia di diventare sempre piĂą tenue. Il controllo centrale sul settore economico resta ovviamente ben saldo, ma sempre piĂą politiche top-down imposte in aree geografiche sottosviluppate hanno confermato quanto un intervento statale a ogni costo sia dannoso. Monumenti di tale approccio sono le innumerevoli “ghost-towns” disseminate in tutta la Cina dell’ovest (la nuova frontiera del “GO WEST”) figlie di progetti di lancio di nuovi centri di produzione manifatturiera con annesse cittĂ dormitorio in cui nessuno ha avuto il fegato di migrare.
IL “NEMICO” IN CASA – Guardando oltreconfine, Hong Kong resta da parte sua fedele al suo ruolo di “valvola di sfogo del protezionismo cinese” e al titolo di “Asia World City” che si è meritato nel corso di decenni di apertura al libero mercato e di riforme per la minimizzazione della burocrazia e dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione. Se la Shanghai Free Trade Zone potrĂ rappresentare un’opzione in piĂą sul tavolo degli investitori indecisi sulla scelta per l’una o l’altra destinazione, le misure finora annunciate non sono in grado di scalfire lo status e il primato di Hong Kong come meta di punta per i capitali di tutto il mondo. GiĂ prima del lancio della FTZ, economisti di primo livello della Cina che fa capo a Pechino, avevano giĂ dato per scontato l’impossibilitĂ di contrapporsi alla HKSAR anche con le misure di parziale liberalizzazione del tasso di cambio del renminbi messo a punto a Shanghai. Forte di una serie di trattati sulla doppia imposizione siglati con Stati membri dell’Unione Europea, Hong Kong scalda i motori per prepararsi a un’ormai scontata uscita dalla blacklist dei paradisi fiscali, misura che aumenterĂ se possibile la concorrenza “domestica” tra Hong Kong e Shanghai come mete d’investimento eterodiretto.
Fabio Stella
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