In 3 sorsi – Il Kuwait è la petromonarchia del Golfo che più di tutte ha investito in termini di riforme civili e nonostante la problematica degli expat sia un tasto dolente alle prossime elezioni in cantiere ci sono numerosi progetti per diversificare e lanciare l’economia kuwaitiana verso un futuro da protagonista, anche all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo.
1. UNA PROMETTENTE STRATEGIA PER IL FUTURO
Ci fu un tempo in cui gli abitanti dell’isola di Failaka (dal greco antico “avamposto”) furono tra i primi commercianti marittimi al mondo. Oggi gli abitanti della Monarchia costituzionale sunnita con il sistema politico più aperto delle petromonarchie del Golfo sono la sesta più grande riserva petrolifera al mondo. La famiglia dello Sceicco al-Sabah, padrona di questo territorio dai tempi dell’indipendenza dall’Impero britannico, hanno plasmato la vita politica del Kuwait nel XX secolo, dall’invasione dell’Iraq alla Primavera araba. Il Paese del Golfo, secondo il trend globale della diversificazione, non solo pianifica di partecipare attivamente alla sfida delle energie sostenibili, ma ha una serie di mega-progetti in corso, come la costruzione di Madinat al-Hareer (Città della seta), che con la propria inaugurazione darà inizio al progetto “New Kuwait 2035”. Quest’ambizioso piano, assieme alla realizzazione della “Ferrovia del Golfo”, un’imponente struttura da 15 miliardi di dollari che consentirà di collegare tutti gli Stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) entro il 2025, cercherà di far avanzare il ruolo del Kuwait come hotspot strategico della regione. E potrebbe rappresentare un’altra via con cui la Monarchia kuwaitiana cerca di ripristinare le relazioni politiche all’interno del GCC e sostenerne l’unità.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Bazaar Al-Mubarakiya nella capitale Madinat al-Kuwait durante il lockdown, aprile 2020
2. IL PROBLEMA DEGLI EXPAT
Una delle problematiche più incombenti che l’Emirato deve affrontare è quello dei cosiddetti expat, gli stranieri lavoratori residenti nel Kuwait, che provengono principalmente dalle Filippine, dall’India, dallo Sri Lanka e dal Bangladesh. La loro presenza nel Paese è notevole, essendo 3,4 dei 4,8 milioni totali di abitanti e rappresentando il 70% della popolazione kuwaitiana. Gli expat sono presenti in Kuwait per ottenere guadagni migliori in un ambiente a bassa tassazione e mensilmente rimettono una cospicua parte dei loro introiti. Tale categoria è impiegata per lo più in lavori domestici o in mansioni e professioni che i kuwaitiani sono riluttanti a svolgere. Ciò che più rileva però sono le misere e precarie condizioni in cui vivono: in ambienti sovraffollati, senza diritti né garanzie, vulnerabili al potere del Paese ospitante, in un periodo storico come quello post Covid-19 gli expat anelano alla cittadinanza senza alcuna possibilità di avere voce in capitolo, venendo anzi tacciati di aver diffuso maggiormente il virus. Come se non bastasse le Autorità kuwaitiane vogliono portare la loro popolazione al 30% del totale, più che dimezzandola. Come? Aumentando le tariffe dei servizi a loro dedicati del 150%, annunciando che nel prossimo futuro non verranno assunti espatriati nella Kuwait Petroleum Corporation e sostituendo in questo modo le loro posizioni nel settore pubblico con cittadini kuwaitiani.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – La capitale del Kuwait, Madinat al-Kuwait, giugno 2020
3. LE ELEZIONI PARLAMENTARI DEL 2020
Le elezioni parlamentari in Kuwait previste per il 2020 sono alle porte e lo spinoso argomento degli expat potrebbe attrarre molti elettori in una retorica anti-migranti, soprattutto quelli interessati alle loro mansioni. Ma perché si vota? Dopo che il 14 novembre 2019 il Primo Ministro Jaber Al-Mubarak Al-Sabah ha presentato le dimissioni allo Sceicco Sabah Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah, quest’ultimo ha ordinato al vicepremier Sabah Al-Khaled Al-Hamad Al-Sabah di fungere da custode fino alla formazione del nuovo Governo. Con le consultazioni si sceglieranno i 50 membri dell’Assemblea Nazionale, eletti da cinque collegi da 10 seggi con un voto unico non trasferibile. Nonostante nell’Emirato i partiti politici formali siano vietati, sono invece consentiti i blocchi parlamentari. Ma d’altronde gli stessi politici hanno uno spazio limitatissimo per porre critiche al Governo o all’Emiro e coloro che lo hanno fatto sono stati indagati o imprigionati, con giornalisti arrestati in violazione della legge sul cybercrime del 2016. Questo va in contraddizione con quanto affermato dall’Intelligence Unit del quotidiano Economist: secondo il suo Democracy Index, il Kuwait, primo Paese a diventare una Monarchia costituzionale, viene classificato come regime autoritario, pur sottolineando gli sforzi verso aperture democratiche (si pone al 114° posto al pari della Giordania). Sarà forse merito delle, seppur poche, riforme sui diritti civili sponsorizzate dalla famiglia regnante? Ben prima delle Primavere arabe, infatti, nel piccolo Emirato nel 2005 le donne kuwaitiane ottennero il diritto di voto ed ebbero la possibilità di candidarsi alle elezioni parlamentari e nel 2009 la Corte Costituzionale stabilì che potessero ricevere il passaporto senza il consenso del marito. Se l’affluenza degli elettori alle prossime elezioni dovesse superare il 70% (risultato del 2016), significherebbe che la strada intrapresa verso le timide riforme degli anni passati possa confermarsi un trend positivo per l’evoluzione delle “libertà” civili nell’area del Golfo.
Alessandro Manda
Immagine di copertina: “Kuwait City…” by MOHAMMAD ALATTAR is licensed under CC BY