Benché la filosofia e religione indiana veneri divinità femminili (Prithivi Mata, Sarasvatī, Lakshmi) la realtà sembra drammaticamente diversa: secondo i G20, l’India è il Paese dove essere donna è il più difficile e pericoloso dei ‘mestieri’. Dall’istruzione agli abusi, con Nuova Delhi capitale di violenze, in tre articoli si analizzeranno le problematiche di genere nella vita delle donne indiane.
DOVE SONO FINITE LE RAGAZZE? – Il censimento decennale svolto dal Governo indiano nel 2011 mostra come il rapporto medio nazionale tra femmine e maschi sia molto alto, 969 a 1000, e si differenzi dalla media mondiale che conta 106 maschi ogni 100 femmine. Confrontando più a fondo il censimento e prendendo in considerazione il rapporto nei diversi Stati indiani, la differenza è ancora più evidente: benché nel Kerala le donne appaiano in numero superiore rispetto agli uomini, nel Nord del Paese, come nel Punjab, la presenza femminile scende drasticamente fino a 120 contro 100. Dove sono finite le ragazze? Dove sono finite le donne che dovrebbero creare nuova vita?
Drammaticamente e banalmente non ci sono più, mai nate, uccise neonate o semplicemente abbandonate: sono le “missing girls“, un vuoto color rosa di 60 milioni di vite. Sebbene tradizionalmente la cultura indiana prediliga i figli maschi e il loro arrivo venga salutato con gioia, mentre da un lato la nascita di una figlia non sarebbe di buon auspicio a causa del costo della futura dote (illegale, però viene tuttora pretesa dalle famiglie dei mariti) e dall’altro lato le femmine hanno sempre dovuto soffrire infelici destini, è con l’introduzione dell’accertamento pre-natale del sesso attraverso l’uso dell’ecografo che le uccisioni di bambine trovano un inaspettato alleato, dando il via agli aborti selettivi. Dai primi anni Novanta a oggi, diverse sono le voci importanti che si levano ad accusare gli omicidi di bambine e la selezione di feti femminili: un premio Nobel per l’Economia, l’indiano Amartya Sen, per esempio, ha lanciato l’allarme sull’ultima delle discriminazioni di genere. Nel 2010 è “The Economist” ad allertare sulle missing girls mettendo in copertina un nuovo termine coniato apposta, il “Gendercide”, ovvero il “genocidio di genere”, l’uccisione sistematica di bambine o di feti solo perché femminili, con conseguenze devastanti per la società e per il rapporto demografico del Paese.
L’ORRORE IN HIGH TECH – In India una bambina in pancia ha il cinquanta per cento di possibilità di sopravvivere a una ecografia. Prima degli anni Ottanta, diversi erano i modi attraverso cui alle bambine indiane veniva negata la vita: fame, veleno, annegamento, sepoltura da vive o semplicemente abbandono. Esse sfuggivano alle statistiche perché mai registrate alla nascita. Poi è arrivato l’ecografo, in teoria strumento utile a controllare il buon andamento della gravidanza e la salute del feto, e oggi è possibile fare ecografie pre-natali anche nei villaggi in zone rurali prive dei più basilari sistemi igienici e sanitari. Nel 1979 lo Stato del Punjab (una delle regioni con il maggior deficit di femmine) scoprì il primo ecografo: lo stesso anno si contavano 925 femmine ogni 1.000 maschi, ma nel 2001 il numero di bambine era sceso a 793. Benché la società indiana vieti l’aborto, questo viene praticato in modo selettivo e il Governo ha dovuto prendere posizione nel 1994 con il Pre-Conception and Pre-Natal Diagnostic Techniques Act, che vieta gli esami prenatali che permettano di conoscere il sesso del nascituro e impone la registrazione degli ecografi e delle cliniche che lo posseggono, oltre all’obbligo per le future madri di identificarsi e presentare in caso di richiesta le foto ecografiche che dimostrano il buon andamento della gravidanza. Tuttavia sono molti i medici “kudi-maar” (omicidi di bambine) disposti a ignorare la legge, anche perché raramente viene comminata una pena ai trasgressori, cosicché dottori ed ecografisti fanno con le dita la “V” di vittoria se il figlio è maschio, altrimenti restano in silenzio. Ma non è solo la vita delle potenziali bambine a essere in pericolo: poiché illegali, gli aborti vengono spesso praticati in condizioni non igieniche da operatori non qualificati o professionisti che ricorrono a mezzi tradizionali e rudimentali, al punto che ogni due ore una donna indiana muore a causa di un aborto praticato in circostanze non sicure, per un totale di circa 20 milioni di donne che ogni anno rischiano la vita. Le cifre ufficiali registrano 620.472 aborti praticati nel 2012, ma il numero potrebbe arrivare addirittura a 7 milioni. Poiché tale attività è richiesta da tutte le fasce sociali, anche quelle istruite e abbienti, e coinvolge diversi specialisti e cliniche in tutto il Paese, creando un ampio mercato valutato in 244 milioni di dollari, ha fatto scalpore la condanna del medico Anil Sabhani, che ha praticato l’aborto selettivo nel 2006, a due anni di prigione e a un’ammenda di sole 5mila rupie (circa 100 dollari).
UNA GENERAZIONE D’UOMINI SENZA MOGLIE – La conseguenza più immediata si misurerà nel prossimo decennio, con il calo della fertilità della popolazione e quando intere generazioni di maschi, raggiunta l’età del matrimonio, vedranno negata la possibilità di trovare una sposa. Infatti attraverso l’aborto selettivo si sta riscrivendo l’evoluzione del Paese, facendo venir meno una delle grandi costanti biologiche della specie umana: la donna. Realtà già presente in un paese come la Cina, in India potrà accadere che chi vuole sposarsi dovrà rivolgersi a donne sempre più giovani o far cadere tabù come la vedovanza femminile e il divorzio. Poiché la cultura tradizionale è ben radicata, per non contravvenire alle sue regole ci potranno essere maggiori casi di celibato forzato o l’organizzazione di reti transnazionali con la migrazione di donne indiane a fini matrimoniali.
(Continua)
Maria Sole Zattoni