Deng Xiaoping era già vecchio, molto vecchio, quando, agli inizi degli anni Novanta, pronunciò quattro semplici parole: «Diventare ricchi è encomiabile». Deng voleva risvegliare il dragone che, negli anni successivi, era destinato ad allargare le sue ali su buone parti d’Asia, Africa e America, partendo proprio da Shanghai, uno dei maggiori porti al mondo.
LA PARIGI D’ORIENTE – Oggi il porto di Shangai sta per conoscere una nuova rivoluzione che servirà non solo a rendere la Cina ancora più aperta e appetibile agli investitori esteri, ma anche a controbilanciare certi scomodi “eccezionalismi” locali. Shanghai è sempre stata un importante snodo commerciale, primario in Asia, sin dal XIX secolo, ed è tutt’oggi la capitale economica della Cina. È quindi da Shanghai che il Partito comunista cinese ha deciso di ripartire per lanciare una nuova offensiva politica e finanziaria su più piani, sia locale che globale. Secondo le indiscrezioni, questo progetto prenderà la forma di una “Free Trade Zone” di circa 28 chilometri quadrati, comprendente una buona parte dell’intera area metropolitana, con l’obiettivo ufficiale di attirare ulteriori investimenti stranieri e trasformare la città nel perno dell’economia e del commercio asiatico. Le aziende straniere che apriranno una sede all’interno della FTZ, potranno infatti godere di diversi vantaggi, tra cui una serie di agevolazioni fiscali, la completa liberalizzazione del tasso d’interesse e la piena convertibilità dello yuan.
FRENCH CONCESSION – La FTZ non comporta però solo liberalizzazioni in campo economico: secondo diversi quotidiani cinesi, infatti, all’interno di questa “isola” sarà anche possibile accedere senza limiti a internet e contenuti vietati sul resto del continente (Facebook, Twitter, Youtube…), nonché ai più diffusi mezzi d’informazione, aggirando la censura. La soluzione non è stata vista di buon occhio dai cinesi non residenti della metropoli, tanto che si è guadagnata il nomignolo sarcastico di “Internet Concession”, in riferimento alla “French Concession”, famoso quartiere francese di Shanghai. Tuttavia questo progetto, seppur richiami echi coloniali, ha conseguenze più che attuali: sinora la funzione “libero mercato-niente censura-Cina” richiamava alla mente, e non a caso, le città di Hong Kong e Macao. L’intenzione quindi di istituire una realtà del genere, ma sotto il controllo diretto del Governo cinese, serve anche a un altro fine.
HONG KONG NEL MIRINO? – Quando, nel 1997, l’isola di Hong Kong venne restituita alla PRC dal Regno Unito, dopo 156 anni di dominazione, fu a condizione che la città conservasse importanti autonomie in campo sia politico che economico e sociale sino al 2047. Queste particolari autonomie hanno permesso alla città di mantenere il proprio sistema capitalistico e considerevoli libertà civili, rendendola al contempo la porta di accesso al sistema economico cinese in pieno boom, situazione che, se da una parte ha servito allo sviluppo, dall’altra non manca di essere causa di grattacapi alla nomenklatura comunista sulle modalità di riassorbimento dell’ex colonia britannica. La città costituisce ancora uno dei centri finanziari ed economici dell’Asia, nonché la testa di ponte per ogni impresa straniera che voglia fare affari in Cina, e ciò potrebbe essere un notevole problema politico per Pechino.
Manifestanti nelle strade di Hong Kong
TENSIONI POLITICHE NELLA BAIA – Hong Kong è consapevole di quanto il proprio ruolo sia importante per l’economia cinese e che buona parte del PIL del Dragone, almeno quello del settore finanziario, derivi dall’indotto generato proprio su quest’isola. Una posizione di forza che ha creato non pochi problemi ogniqualvolta il Governo centrale si sia apprestato a trattare il ricongiungimento alla terraferma, dando anche il “LA” a numerose manifestazioni e proteste dei cittadini della baia, come in occasione della riforma del sistema educativo scolastico, da inglese a cinese, con migliaia di persone scese in piazza. La FTZ di Shanghai non assume quindi un significato meramente economico, ma anche e soprattutto geopolitico. L’intento di Pechino è ridimensionare la città in quelle prerogative che la rendono tuttora unica, creando una valida alternativa al suo modello, depotenziandone così il peso politico e ammorbidendone la resistenza in fase di negoziazione. Il messaggio inoltre è duplice: se il progetto avrà successo, Hong Kong non sarà più unica nel suo genere e Pechino dimostrerà la propria determinazione sulle questioni di politica interna. Trattare e concedere delle aperture è possibile, ma alle condizioni della PRC.
Marco Lucchin