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Sudamerica: fine della corsa per i populismi?

Il prossimo biennio sarà cruciale per il futuro del Sudamerica: si è cominciato domenica con le elezioni in Cile, l’anno prossimo tocca al Brasile e nel 2015 all’Argentina. Quali sono gli scenari per i modelli economici attualmente in vigore?

 

DIECI ANNI DI SUCCESSI- Il primo decennio degli anni Duemila ha portato alla ribalta della scena globale la regione sudamericana. Dopo anni di incertezza in campo economico e politico, il Sudamerica ha finalmente intrapreso una nuova stagione basata su una crescita stabile e sostenuta, favorita da una generale diffusione della democrazia e da un progresso sociale caratterizzato dalla diminuzione della povertà e delle disuguaglianze. Queste favorevoli condizioni interne, accompagnate da un contesto esterno altrettanto positivo (crescita generalizzata dei prezzi delle materie prime di cui i Paesi sudamericani sono esportatori) hanno fatto sì che la regione prendesse maggiore coscienza di sé e giocasse un ruolo più attivo a livello internazionale, complice anche il progressivo disimpegno da parte degli Stati Uniti nel resto del continente americano. A livello politico, i Paesi sudamericani hanno vissuto la diffusione di regimi “di sinistra”, caratterizzati da una certa dose di populismo e dall’adozione di politiche economiche altamente protezioniste e assistenzialiste. Ridurre la regione al minimo comun denominatore del “socialismo del XXI secolo” di matrice chavista sarebbe tuttavia una banalizzazione errata. È possibile infatti suddividere gli Stati sudamericani secondo almeno tre differenti categorie di politiche economiche: i populismi veri e propri (Venezuela, Bolivia, in misura minore Argentina ed Ecuador), le economie liberali (Cile e Colombia) e quelle caratterizzate dal rispetto del libero mercato, ma con un deciso interventismo statale (Brasile in primis). Quali sono le prospettive per questi tre modelli all’inizio di un periodo che sarà cruciale per il futuro del Sudamerica, considerate le elezioni presidenziali in Cile, quelle dell’anno prossimo in Brasile e quelle del 2015 in Argentina?

 

BRASILE: UNA MACCHINA DA RIMETTERE IN MOTO – Nel 2014 gli occhi del mondo saranno puntati sul Brasile in quanto organizzatore dei Mondiali di Calcio. Sarà un anno cruciale per la presidente Dilma Rousseff, che a ottobre prossimo dovrà anche passare al vaglio delle urne cercando la conferma per il secondo mandato. A oggi, le intenzioni di voto dei brasiliani sembrano premiarla (il 40% si dice disposto a votare ancora per lei), ma per la Rousseff sarà fondamentale riuscire a sfruttare l’occasione del grande evento per far ripartire l’economia locale, il cui PIL crescerà quest’anno solamente del 2,5%. Anche in questo caso, come per il Cile, c’è una continuità dell’impostazione economica: il “capitalismo di Stato” basato su alcune aziende fondamentali come Petrobras e sul Banco de Desenvolvimento Social (BNDES), una grande banca pubblica di sviluppo, si è dimostrato efficace specialmente in combinazione con vasti programmi di sussidi condizionati che hanno aiutato milioni di brasiliani a uscire dalla povertà. Ora, però, il Brasile ha bisogno di aprirsi maggiormente all’esterno e di migliorare il proprio business environment riducendo la burocrazia e la corruzione. Inoltre, il Paese è stato vittima della politica monetaria espansiva statunitense subendo un apprezzamento della propria valuta che ne ha penalizzato la competitività. È dunque lecito immaginare che il Brasile proseguirà sulla rotta tracciata, ma alcuni importanti cambiamenti saranno necessari per evitare che il colosso sudamericano rimanga impigliato in un periodo di stagnazione che ne precluderebbe l’ascesa a pieno titolo tra le potenze globali.

 

CILE: CAMBIARE NELLA CONTINUITÀ – Il 17 novembre si sono tenute in Cile le elezioni per decretare il successore di Sebastián Piñera, primo Presidente di centro-destra dell’era post-Pinochet. In nome di una sana e democratica alternanza, la candidata più accreditata per la vittoria finale sembra Michelle Bachelet, della Concertación, la coalizione di centro-sinistra, e già alla guida del Paese dal 2006 al 2010. Bachelet avrà bisogno del ballottaggio per conquistare la vittoria finale. Nonostante il possibile cambio di colore politico, però, un mutamento radicale delle politiche economiche appare altamente improbabile. Il Cile ha dimostrato coerenza con il neo-liberalismo adottato inizialmente dal regime di Augusto Pinochet, senza mai cambiare rotta neppure dopo il ripristino della democrazia. Tale modello è infatti stato in grado di garantire al Paese una crescita economica continua e stabile e di attrarre una notevole quantità di investimenti stranieri (il Cile ha la più alta quota di IDE rispetto al PIL di tutta l’America Latina, il 12%), seppur a discapito di marcate diseguaglianze sociali. Ridurle sarà la sfida principale del nuovo Presidente, con particolare riferimento al settore dell’educazione: il Cile è uno dei Paesi OCSE dove l’accesso all’istruzione universitaria è più difficile in quanto gli atenei pubblici sono sostanzialmente assenti.

 

Tra Mondiali ed elezioni, il 2014 sarà un banco di prova fondamentale per Rousseff

ARGENTINA E VENEZUELA – Atto finale per i populismi? Le recenti elezioni di medio termine in Argentina hanno messo a nudo le difficoltà di Cristina Kirchner che, a causa di un ridotto successo elettorale, non potrà godere in Parlamento della maggioranza necessaria per riformare la Costituzione e ottenere la possibilità di candidarsi per un terzo mandato presidenziale. Nel 2015 la sfida potrebbe dunque essere tra Daniel Scioli, governatore di Buenos Aires ed esponente del peronismo “oficialista” (ovvero governativo) e Sergio Massa, peronista dissidente che ha però vinto la sfida nel collegio della capitale. In ogni caso, se il kirchnerismo vuole sopravvivere, dovrà cambiare le proprie politiche caratterizzate da un esasperato nazionalismo economico che sta portando l’Argentina a una condizione di progressivo isolamento regionale e internazionale. Le pressioni da qui fino al 2015 attorno al Governo dunque non faranno che aumentare. In Venezuela, invece, sembra che il successore di Chávez, Nicolas Maduro, sia deciso a proseguire nel solco di un modello economico che potrebbe portare il Paese al collasso in un orizzonte temporale non troppo lontano. Lo Stato sta cercando di disincentivare in ogni modo la presenza di investitori stranieri e applica restrizioni all’uso di valuta straniera che hanno portato a far crescere a dismisura il mercato valutario illegale.

 

CONCLUSIONI – Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il Sudamerica è una regione eterogenea dal punto di vista dei regimi politici ed economici attualmente in vigore. Tutti hanno però avuto successo nel decennio scorso a causa di una congiuntura favorevole. Alcuni di questi modelli stanno ora mostrando segnali di esaurimento: i rischi principali sono rappresentati dall’Argentina e dal Venezuela. Anche il Brasile sta per affrontare un periodo molto complesso soprattutto a causa del suo elevato peso economico e dell’elevata interdipendenza con il resto del mondo. Il Cile invece è posizionato su binari saldi e diritti, che dovranno però essere rafforzati da politiche più inclusive ed egualitarie. In estrema sintesi, dopo aver basato la propria crescita sulla domanda esterna, è ora il momento per le economie sudamericane di stimolare i consumi interni con politiche volte ad ampliare i propri mercati.

 

Davide Tentori

 

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’Università “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualità di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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