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Gilad Shalit era un soldato

…lo era fino al 25 giugno 2006, giorno del suo rapimento da parte di Hamas vicino al confine tra Israele e la striscia di Gaza. Da quel momento è iniziato il processo che lo ha trasformato in molte altre cose. Gilad shalit era un soldato; ora è un simbolo, uno strumento politico, una moneta di scambio, una giustificazione, un fenomeno mediatico, un intero esercito che in termini israeliani è anche un’intera società.

PERCHÉ PROPRIO ORA? – L’argomento Shalit segue un andamento ondulatorio con picchi d’interesse che si alternano a periodi in cui l’ostaggio viene messo in fondo alla lista degli impegni dei politici. Da domenica 17 Ottobre assistiamo ad una crescita di attenzione grazie al rinnovato appello del Primo Ministro Benjamin Netanyahu alla radio (non a caso) dell’esercito israeliano che domenica 17 ottobre ha assicurato un’attiva partecipazione delle trattative per il rilascio di Gilad. Cosa determina l’andamento di interesse per l’ex soldato? Secondo alcuni una casualità, secondo altri meno; fatto sta che il governo sembra usare la “carta Gilad” nei momenti di crisi. A pochi giorni dal rischio di mandare a rotoli le ormai già stagnanti e alquanto discutibili trattative di pace per mezzo di una moratoria che autorizza la costruzione di 238 abitazioni in zone di Gerusalemme oltre la Linea Verde (che anche se “legali” per alcuni, sono pur sempre provocatorie in un momento delicato), il Primo Ministro sembra interessarsi nuovamente e improvvisamente alle sorti del giovane nelle mani di Hamas dopo un lungo periodo di oblio; l’atmosfera politica si scalda, c’è bisogno di un punto a favore di Israele verso cui dirigere l’attenzione, di mostrare alla società Israeliana che si agisce nel suo interesse, e di ricordare al mondo che c’è un “buono” nelle mani dei “cattivi”. Ed ecco che Gilad diventa ancora un simbolo in questo gioco di legittimazione e delegittimazione, un modo di spiegare un conflitto complesso e difficile da capire scomponendolo in semplici fattori: bene e male. Questa tecnica politica è molto efficace come si è già visto in passato nella realtà Americana di George W. Bush (che sembra essere lo specchio di quella israeliana), dove è servita a giustificare l’entrata in guerra quando non c’erano abbastanza motivi per farlo (intervento in Iraq contro le armi di distruzione di massa mai trovate).

PARANOIA COSPIRATRICE O REALTÀ POLITICA? – Preso come singolo fatto può sembrare un paranoico intento di mostrare come il governo usi l’interesse verso il giovane Gilad per raggiungere altri obiettivi che vanno oltre a quelli morali, ma osservando più a fondo la situazione israeliana ritroviamo un pattern che si ripete non solo nelle manovre politiche ma anche nel modo di pensare della società. Un esempio è l’operazione Piombo Fuso a Gaza, dove il motivo per l’intervento, ribadito continuamente dai media durante il conflitto, oltre al fermare la pioggia di missili che raggiungevano il territorio israeliano era quello di liberare il soldato-simbolo. Allo stesso modo il jolly Shalit è usato spesso durante discussioni politiche popolari, e quando messo in gioco da cittadini di destra sembra bastare a giustificare qualsiasi azione politica contro gli argomenti dei sostenitori della sinistra. La forza di questo simbolo è dovuta al fatto che ogni cittadino Israeliano è anche un soldato, e non sostenere un soldato in pericolo è come ripudiare tutta la società. Ma cosa ha fatto effettivamente Israele in 4 anni per supportare il suo jolly?

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ATTIRARE L’ATTENZIONE – Questo è stato fatto. Gilad è stato trasformato in un fenomeno mediatico e la sua storia e quella della sua famiglia sono ormai presentate come una sorta di reality show che ha raccolto un grande audience. La marcia che Noam Shalit (padre di Gilad) ha intrapreso quest’estate insieme a migliaia di Israeliani per la liberazione del soldato ha attirato un’enorme attenzione mediatica che altro non fa che mostrare quanto importante sia il soldato per Israele. E qui l’errore. Più qualcosa è importante, più alto diventa il suo costo. Una semplice legge del mercato: all’aumentare della domanda aumenta anche il prezzo; solo che in questo caso non si parla di moneta e beni di consumo, ma di persone.

QUANTI PALESTINESI VALE UN ISRAELIANO? – Gilad ne vale circa 1000 secondo l’offerta Israeliana per un eventuale scambio di detenuti; 450 criminali definiti “pesanti” (per gravi atti commessi contro la popolazione) secondo Hamas (cifre risalenti al 2009). Una registrazione video del soldato invece è più economica e bastano 20 prigionieri palestinesi donne per averla (scambio avvenuto nell’ottobre 2009); un costo più abbordabile per le tasche del governo, ma non per le famiglie che hanno perso qualcuno in un attentato e che si oppongono al rilascio del soldato in cambio di libertà per i terroristi. In questo vero e proprio mercato umano pieno di paradossi sguazza Hamas, che sempre più consapevole di avere una gallina dalle uova d’oro tra le mani sa di poter dettare condizioni più pesanti nel momento del bisogno. E anche il gruppo islamico fondamentalista utilizza l’immagine dell’ostaggio facendone un cartone animato che nell’aprile 2010 diventa in breve tempo il più scaricato dal sito internet del braccio armato di Hamas, Al-Qassam.

UNA DOMANDA, TROPPE RISPOSTE – Che ne sarà di Gilad Shalit? Troppi scenari diversi si srotolano di fronte a questa domanda. Un intervento armato per salvarlo, uno scambio, una trattativa diplomatica, un altro calo d’interesse fino alla prossima crisi, un ricordo lontano, un simbolo sempre vivo e presente, un altro Ron Arad mai ritornato, un eroe che riabbraccia la sua famiglia, una pedina diplomatica da mantenere in gioco. In questo circo di politici, media e conflitto restano un giovane in pericolo e un padre distrutto che lotta ogni giorno per mantenere viva una speranza.

Ruben Salvadori

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