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La “March West” strategy cinese e l’UE

Il 2013 è stato un anno di profondi cambiamenti per la Repubblica Popolare Cinese: a partire dal cambio al vertice dello Stato fino alle riforme economiche del Terzo Plenum, la Terra di mezzo ha mostrato di voler cambiare ritmo, pur lasciando il potere ben saldo nelle mani del Partito comunista cinese. Anche a livello geopolitico molto si è mosso. Il tentativo di spostare il proprio baricentro strategico verso Ovest è un esempio di questa trasformazione. Il disegno cinese punta anche all’Europa centrale e orientale, con importanti implicazioni per l’intera Unione Europea, che dovrà affrontare un 2014 dalle molte incognite.

IL PRAGMATISMO CINESE NELL’ARENA POLITICA INTERNAZIONALE – Gli ultimi mesi del 2013 sono stati fitti di appuntamenti internazionali per i leader cinesi, che si sono mossi in tandem (Xi Jingping e Li Keqiang) in diverse parti del globo dimostrando di essere compatibili, nonostante appartengano a “due correnti interne diverse del Partito comunista cinese”. Se da un lato, infatti, Xi è un principe rosso, un taizi, dall’altro Li appartiene al gruppo dell’ex presidente Hu Jintao, la “Lega dei giovani comunisti”. Queste due anime del partito a livello di politica estera collaborano e dimostrano il loro pragmatismo.

IL VIAGGIO DI XI JINPING  IN ASIA CENTRALE: la nuova via della seta. Il presidente Xi si è recato in visita in Asia Centrale dal 3 al 13 settembre 2013, partendo dal primo partner cinese nella regione per investimenti diretti, il Kazakistan. All’Università di Astana Xi ha parlato di “cintura economica della Via della Seta”: l’obiettivo è che in quella zona rinasca una via economica, e che politiche come il libero transito di merci, l’abbattimento di barriere doganali, la piena convertibilità delle valute e la modernizzazione delle infrastrutture logistiche possano implementarla. Negli ultimi cinque anni la Cina è diventata un player economico di primo livello nella regione. Dal 2010 la Terra di mezzo è stata il più grande partner commerciale dell’Asia centrale, con uno scambio bilaterale che ha raggiunto nel 2012 i 46 miliardi di dollari. I Paesi della regione sono fondamentali anche per la politica energetica cinese. Per questo motivo il presidente Xi ha accelerato nelle trattative ed è riuscito a strappare degli accordi vantaggiosi in ambito di fornitura di metri cubi di gas da parte del Turkmenistan, ha lanciato il nuovo gasdotto Beineu-Bozoy-Shymkent ed ha ottenuto la concessione dell’8% dei diritti di estrazione nelle aree di Kashagan (Kazakistan) alla China national petroleum corporation (Cnpc).

VERTICE DELLA SCO: i possibili attriti con Putin e il nodo della sicurezza. Xi ha partecipato anche al vertice della SCO (Shanghai Cooperation Organisation), tenutosi in Kirghizistan, durante il quale ha incontrato il presidente Putin, il cui progetto  di Unione doganale euroasiatica che connetta gli Stati dell’Asia Centrale alla Russia senza la Cina può entrare in contrasto con quella del Presidente cinese. I due leader hanno affermato che lavoreranno per migliorare le relazioni sino-russe, ma il problema rimane, e non c’è al momento una soluzione concordata tra i due giganti asiatici.

Xi ha avuto modo anche di incontrare Rohani, il neo presidente di un Iran che può giocare un ruolo chiave per la sicurezza della regione. Alla Cina stanno molto a cuore i temi della lotta contro il terrorismo, il traffico di armi e di droga: la nuova cintura economica avrà il suo centro nevralgico nello Xinjiang, provincia cinese che negli ultimi anni ha visto il susseguirsi di scontri tra i separatisti uighuri e il governo cinese. Allo stesso tempo il ritiro dall’Afghanistan delle truppe statunitensi potrebbe portare alla diffusione di violenza nella regione,  rappresentando una spina nel fianco per la dirigenza cinese.

LA “MARCH WEST STRATEGY” DEL PROFESSOR WANG JISI: la risposta cinese al “Pivot to Asia” Obamiano. Il viaggio in Asia Centrale del presidente Xi può essere visto come l’attuazione della proposta geostrategica avanzata nell’ottobre del 2012 dal professor Wang Jisi della Beijing University.

Nel saggio “Marching westwards: the rebalancing of China’s geostrategy”, il professor Wang cercava, attraverso l’individuazione di un’area geografica alternativa priva dell’influenza dominante statunitense, uno sbocco per la crescita cinese e un modo per alleviare  le tensioni sino-americane in Asia Orientale.  Allo stesso tempo  la “marcia verso Ovest” avrebbe ridato energia all’implementazione del “Grande sviluppo occidentale”, la strategia lanciata nel 2000 dal governo cinese per favorire la crescita delle province occidentali, molto meno sviluppate rispetto a quelle orientali, facilitare così l’integrazione economica tra le due parti del Paese e rafforzare i confini occidentali della Cina.

L’adozione di questa impostazione geostrategica porterebbe quindi dei benefici alle relazioni sino-americane, nei campi degli investimenti, dell’energia, della lotta al terrorismo, nella non proliferazione nucleare e nel mantenimento della stabilità regionale: un confronto tra le due nazioni in Asia orientale porterebbe invece allo scontro.  Lo spostamento del baricentro cinese in Asia centrale aumenterebbe la percezione della Cina come “grande potenza responsabile”,  la proietterebbe in una regione in cui non è mai entrata in conflitto con gli altri attori, diversificherebbe i suoi mercati e le porterebbe vantaggi in termini di approvvigionamento di risorse energetiche.

Non mancano tuttavia, secondo il professor Wang, rischi che potrebbero minare  il cammino cinese, come la possibilità per la Terra di mezzo di essere vista come un Paese neo colonizzatore, o l’instabilità politica della regione. La Repubblica popolare inoltre non dovrebbe sottovalutare i conflitti presenti tra i diversi attori, la povertà di alcuni di essi e le tensioni crescenti tra diversi gruppi etnici.

Marciare verso Ovest quindi può essere la strategia vincente, ma per Wang  non deve sostituire l’impegno cinese in Asia Orientale, che rimane e rimarrà fondamentale per il peso degli attori in campo e per l’importanza delle tensioni presenti: Taiwan, le dispute nel Mare Cinese orientale e meridionale, la relazione con la Nord Corea e gli attriti con il Giappone.

LA MARCIA ARRIVA IN EUROPA: l’incontro di  Bucarest. La marcia cinese non si è fermata all’Asia centrale: il premier Li Keqiang si è recato il 25 novembre scorso in visita in Romania, dove è stato accolto con grandi onori e ha partecipato al secondo meeting annuale con 16 Paesi dell’Europa centrale e orientale. Durante l’incontro di Bucarest il premier cinese ha posto come obiettivo il raddoppio dell’attuale volume del commercio tra la Cina e i 16 entro il 2018 (che nei primi 10 mesi del 2013 ha pesato per 52 miliardi di dollari), ed  ha firmato contratti commerciali e di investimenti per un valore stimato complessivo di 8 miliardi di euro, nei settori energetico, delle infrastrutture e della rete ferroviaria.

Gli accordi precedenti con Polonia e Ucraina. Durante la visita  in Polonia dell’aprile 2012, l’allora primo ministro Wen Jiabao dichiarò di voler stabilire una linea di credito di 10 miliardi di dollari per supportare gli investimenti cinesi nell’Europa centrale e orientale, e di creare un segretariato per la cooperazione tra la Cina e i Paesi della regione europea. Anche con l’Ucraina vennero stipulati accordi commerciali all’inizio del 2013, e lo scorso settembre è stato reso noto che l’organizzazione governativa cinese XCPP ha firmato un accordo con la principale azienda agricola ucraina, per ottenere un totale di 3 milioni di ettari da destinare a coltivazioni e allevamento di maiali in cambio di circa 3 miliardi di dollari.

Il meeting governativo di Bucarest, nel 2013.
Il meeting governativo di Bucarest, nel 2013.

Le implicazioni per l’Unione Europea. “Inventandosi” il gruppo dei 16  (cinque dei quali non fanno parte dell’Unione Europea), Wen orchestrò  un piano ben preciso, che il successore Li Keqiang ha fatto suo. I Paesi dell’Europa centrale e occidentale offrono alle aziende cinesi un facile accesso al mercato europeo, costi di lavoro piuttosto bassi e, in prospettiva, l’appoggio di Stati membri il cui peso all’interno dell’Unione Europea sta crescendo. Nel caso di Paesi non membri come la Serbia, la Cina usufruirebbe inoltre dell’appoggio di importanti regional players. Le prospettive di crescita di questi scambi commerciali sono enormi, dato che finora raggiungono “soltanto” un decimo di quello che la Cina scambia con gli altri Paesi dell’Unione Europea e non sembrano destinate a calare in futuro.

Anche se il premier Li a Bucarest ha dichiarato di non volere compromettere le relazioni con l’Unione Europea attraverso il dialogo con i 16, ma di integrare e rafforzare la cornice europea, la scelta del Primo Ministro e soprattutto le tempistiche della visita a Bucarest (avvenuta pochi giorni dopo l’importante meeting UE-Cina a Pechino) hanno fatto innervosire il Commissario europeo per il Commercio Karel De Gutch. Questi ha inviato una lettera ai membri dell’UE che hanno partecipato al summit, ricordando loro di rispettare la linea generale europea e le politiche collettive.

In pratica ciò che le aziende cinesi possono ottenere dal commercio con i 16 è l’ambito ingresso nel mercato europeo, tramite la formula della joint venture con aziende europee, e allo stesso tempo la diffusione di merce cinese tramite un accordo bilaterale senza obbligo doganale alcuno, bypassando le misure volte a tutelare la qualità dei prodotti e la protezione dell’industria europea.

Importante poi l’elemento “immagine”: Jonathan Holstag, del Centro di Bruxelles di Studi cinesi contemporanei, sostiene che l’immagine dell’Unione Europea come una singola entità può inoltre subire un grave danno: il fatto che Stati membri aumentino in modo autonomo o attraverso un meeting gli scambi con la Cina è dannoso per la credibilità dell’Unione Europea in quanto attore internazionale.

La forte presenza della Cina sul mercato, infine, potrebbe rappresentare un incentivo per i Paesi non ancora membri della UE a non proseguire nell’avvicinamento all’Unione, come sta succedendo, per esempio, nel caso dell’Ucraina. Anche la stessa Turchia, che da anni è candidata e divenire membro UE, potrebbe essere attratta più dalla SCO a guida Cinese che dalle sirene europee.

Marco Bonaglia

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Marco Bonaglia

Varesotto, 24 anni, laurea triennale in Scienze linguistiche, frequento il corso di Politiche europee e internazionali all’Università Cattolica di Milano. Al termine del liceo ho deciso di dare una svolta alla mia vita, scegliendo di studiare cinese. Da allora ho avuto modo di appassionarmi sempre di più alla Terra di mezzo, alla sua cultura e alle grandi contraddizioni che la caratterizzano, visitando Beijing e spostandomi in treno da nord a sud del paese. Ho studiato un semestre negli USA, in Nord Carolina, e quattro mesi nella capitale cinese. Mi interesso di politiche dell’Asia orientale e di relazioni tra Cina e Unione Europea.

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