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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Un mese dopo

Non solo Egitto… a quasi un mese dall'inizio della rivolta, torniamo a vedere quanto avviene in Tunisia. Cosa sta succedendo, dopo la clamorosa fuga di Ben Alì? Ripercorriamo velocemente le tappe della vicenda, e scopriamo le prime mosse del Governo di transizione, dedicate ai giovani e allo sviluppo delle zone più povere del Paese

RICAPITOLANDO – È passato quasi un mese da quando la piazza tunisina ha rigurgitato con forza anni di oppressione e sopportazione. Anni in cui la marcata crescita economica del PIL (quasi il 5% annuo) aveva reso forse un po’ più accettabili le restrizioni poste dal regime a tutte le libertà civili e politiche, in favore dell’aumento del benessere in buona parte del Paese.

Non in tutto. Ad una zona costiera sempre più competitiva e con una Tunisi in grado di reggere il confronto con le maggiori capitali europee, si contrapponeva un entroterra sempre più emarginato e impoverito. Uno scenario tipico dei tempi moderni, dove spesso all’incremento della ricchezza non corrisponde l’equa distribuzione della stessa, causando un sottobosco di insoddisfazione che quasi sempre è destinato ad incendiarsi.

La crisi economica che ha colpito il mondo intero dal 2009 in poi non ha risparmiato nemmeno la Tunisia, la quale si è trovata tutto a un tratto privata dell’unico beneficio garantito dal regime di Ben Ali: la crescita economica.

E così ecco il gesto simbolo, la classica goccia finale: giovane laureato senza occupazione, a Mohamed Bouazizi viene impedito di vendere da ambulante frutta e verdura per mantenersi; la polizia infierisce, lo umilia e il 17 dicembre 2010 al giovane non resta che darsi fuoco, innescando quella che verrà ricordata come una delle più clamorose rivoluzioni di questi decenni.

Una rivoluzione partita dal basso, senza alcuna guida né partitica né religiosa, spinta solo dall’insofferenza diffusa ed organizzata attraverso i social network, nemici giurati di ogni regime.

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E ORA? – In poco più di due settimane si perviene alla fuga di Ben Alì e all’avvio di una reale transizione democratica. I morti sono oltre 150, e il Paese ha profonde ferite, eppure oggi a distanza di un mese dall’inizio delle prime intense manifestazioni di piazza, le scuole e le università sono riaperte, il coprifuoco quasi azzerato, le fabbriche funzionano a pieno ritmo e il Paese guarda al futuro con una fiducia che non conosceva da vent’anni.

Il mondo intero ha osservato con il fiato sospeso la rivolta inaspettata di un Paese pacifico, ricordato per le spiagge da sogno e che in pochi forse credevano capace di tanto coraggio. Il Presidente americano Obama nei giorni più duri della rivolta ha voluto ricordare davanti al Congresso americano quel popolo in grado di mettere a repentaglio la propria vita per i valori tanto cari agli Stati Uniti: libertà e democrazia. Le sue parole sono state accolte con una standing ovation da parte del Congresso che ha voluto così omaggiare la tenacia del popolo tunisino, capace di sradicare in una manciata di giorni la dittatura di Ben Alì.

I PRIMI FATTI – Ed è sempre con questa rapidità decisionale, che il governo di transizione sta mettendo a punto tutta quella serie di riforme necessarie al riequilibrio delle condizioni di vita nel Paese.

Tra le tante riforme avviate, vi è stata la creazione di un Ministero per lo sviluppo regionale, interamente dedicato al sostegno delle zone più povere del Paese, che mai più devono sentirsi emarginate.

Si è passati poi a quel 44% di giovani laureati in cerca di occupazione da mesi; per loro è stato previsto l’impiego part-time in una sorta di servizio civile nostrano, con borse di studio in grado di fornire un concreto sostegno economico, in attesa che possano finalmente inserirsi in maniera stabile nel mondo del lavoro.

Non sono state tralasciate nemmeno le oltre 3000 imprese straniere che hanno impiantato i loro stabilimenti in Tunisia. Ad esse è stato garantito il massimo supporto nella prosecuzione delle loro attività produttive, con la consapevolezza di trovarsi ora in un Paese più libero, dove lotta alla corruzione, trasparenza e sicurezza economica saranno le parole d’ordine del futuro.

Chiara Maria Leveque [email protected]

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