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Quel venerdì 28, tra paure e speranze

Dal Cairo – Focus Egitto –  Prosegue il racconto di S.A., ragazza egiziana che ha vissuto in prima persona gli eventi di questi giorni. La seconda puntata ci racconta di venerdì 28 gennaio, un giorno cruciale, in cui la rabbia dei manifestanti è letteralmente esplosa. Il Museo egizio in fiamme, i trentamila prigionieri usciti dalle carceri, il discorso notturno di Mubarak, che scarica il governo e ne fa un capro espiatorio.

(segue da “Le cronache dal Cairo”)

QUARTO GIORNO, VENERDI' 28 GENNAIO IL VENERDI' DELLA RABBIA, IL CULMINE DELLA CRISI

POMERIGGIO DI FUOCO – Il 28 le dimostrazioni sono ricominciate verso mezzogiorno, ma solo dopo la tradizionale e importante preghiera del venerdì, e non solo a piazza El Tahrir ma in ogni singolo angolo dell’Egitto. Una lunga marcia è passata sotto casa nostra portando una lunga bandiera dell’Egitto, e abbiamo sentito che c’erano marce attraverso tutto Il Cairo, in ogni area residenziale, ricca o povera, così come in ogni altra città egiziana, accomunate dalla richiesta di lasciare il potere rivolta a Mubarak. Verso le 15.00 abbiamo iniziato a percepire che gli scontri tra i dimostranti e la polizia diventavano più feroci e ho avvertito la sensazione che la polizia avesse perso il controllo della situazione, specialmente ad Alessandria e Suez; ci è giunta la voce che se la polizia non fosse riuscita a mantenere l’ordine presto sarebbe stato schierato l’esercito. Poi le cose sono degenerate repentinamente e il numero di dimostranti a piazza El Tahrir si diceva avesse raggiunto cifre enormi, probabilmente attorno ai 400.000 dimostranti. Verso le 16.00 la situazione era totalmente fuori controllo per le forze di polizia e quello è il momento in cui ho visto le immagini delle sedi del Partito Nazionale Democratico, il partito principale del regime, date alle fiamme, e abbiamo sentito che un certo numero di stazioni di polizia erano state attaccate e incendiate. Verso le 17.00 si è visto in televisione l’esercito entrare in piazza El Tahrir e sapevamo che gli edifici del governatorato di Alessandria erano stati completamente bruciati e distrutti. Verso le 17.15 le forze armate hanno ordinato il coprifuoco dalle 18.00 alle 7.00. Ora immaginate una situazione come questa: far rientrare a casa 20 milioni di persone in 45 minuti in una metropoli come Il Cairo dove mediamente il rientro a casa richiede almeno un’ora e mezza! E in circostanze come queste! Con mezzo milione di persone che manifestavano pubblicamente, e che occupavano il più grande nodo del traffico nel cuore del Cairo?!

Ad ogni modo, fino alle 20.00 le televisioni trasmettevano le immagini di auto ancora incastrate nel traffico nel tentativo di raggiungere casa, e i leader mondiali erano invischiati in una posizione che definirei di “tiepida cautela”, cioè cercavano di prodursi in dichiarazioni a sostegno dei diritti dei popoli all’autodeterminazione, alla libertà di espressione, di parola, di informazione, di riunione, denunciavano la violenta repressione contro i manifestanti e così via, ma allo stesso tempo non esprimevano alcuna opinione decisa a proposito della sopravvivenza del regime di Mubarak stesso. E a mio modo di vedere questo atteggiamento ha messo i leader internazionali in una posizione imbarazzante, il regime si trovava in un punto di non ritorno ma nessuna delle maggiori potenze mondiali aveva il coraggio di dichiararsi favorevole alla sua sostituzione, perché temeva per la stabilità e la sicurezza della regione.

FUOCO AL MUSEO, 30MILA IN LIBERTA' – Quella che si è verificata in seguito è stata la totale distruzione di ogni simbolo del potere statale, dalle stazioni di polizia al Cairo, Alessandria e altre città, agli incendi degli edifici delle corti di giustizia, includendo con ciò la distruzione indiscriminata di molti atti giudiziari. Poi il mio cuore si è letteralmente fermato quando ho letto su Al Jazeera news che le fiamme minacciavano il Museo Egizio e che qualcuno stava tentando di rubare la sua collezione. Questo è il Museo dei tesori dell’Egitto faraonico, che non solo rappresenta il bene di ogni egiziano in termini d’identità e cultura ma anche la fonte di sostentamento di milioni di egiziani che lavorano nel settore del turismo. Poi le distruzioni hanno raggiunto un livello inimmaginabile, ogni minuto la televisione trasmetteva nuove immagini di edifici bruciati, distrutti e derubati, incluso il Ministero degli Affari Esteri, la torre della televisione (entrambi collocati in un punto privilegiato, con una magnifica vista sul Nilo), hotel a cinque stelle, ipermercati e molti centri commerciali, negozi, altri palazzi storici, ed ero totalmente confusa sulle ragioni per le quali i miei amici, i miei colleghi e la mia generazione fossero legittimati a fare tutti questi danni per lanciare un messaggio al governo. Non capisco perché alcuni egiziani volessero distruggere i tesori nazionali e la loro storia con le loro stesse mani.

In seguito il più grande shock è venuto quando abbiamo saputo che alcune prigioni erano state abbattute e che i fuggitivi (trentamila circa) erano lasciati in libertà! Si trattava di prigionieri di tutti i tipi, dai prigionieri politici legati alla Fratellanza Musulmana, a Hamas o a Hezbollah, ai normali assassini e ladri. A quel punto ho capito che c’erano forze esterne dietro alla crisi e alla distruzione e che le dimostrazioni non erano più controllate dalla rispettabile gioventù che conosco.

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IL DILEMMA DELLA COMUNITA' INTERNAZIONALE – Tenterò ora una breve analisi delle reazioni politiche registratesi all’apice della crisi. In quel momento la comunità internazionale, cioè i leader degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Francia, della Germania, della Turchia e di Israele, ma anche delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, erano incapaci di mostrare una qualsiasi opinione decisa rispetto a quello che stava accadendo sulla scena egiziana, dove l’esercito si stava schierando dalla parte del presidente, ma allo stesso tempo fungeva da difensore dell’incolumità dei cittadini. La crisi ha mostrato il peso dell’Egitto in Medio Oriente e nel mondo sotto due aspetti: innanzitutto, va rilevato che concretamente non è intervenuto nessun agente esterno all’Egitto, considerate la forza e la complessità del sistema politico e sociale egiziano, difficile da penetrare; in seconda istanza, si è osservato il chiaro fallimento dell’azione degli Stati Uniti tesa a risolvere la crisi a loro favore, insuccesso manifesto se si guarda alla paralisi dell’intera comunità internazionale, se si considera che nemmeno una singola riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza è stata convocata per risolvere la crisi e non è stata elaborata nemmeno una risoluzione. Tali impressioni sono confermate dalla debolezza e dalla mancanza di decisione riscontrabili nel discorso di Hilary Clinton.

UNA NOTTE DI TERRORE E I GRUPPI LOCALI DI DIFESA – Quello che abbiamo vissuto durante la serata di venerdì è stato una sensazione di mera insicurezza e paura, dopo la fuga dei prigionieri e l’inizio dei loro attacchi in tutto il paese, specialmente nei ricchi quartieri dei sobborghi del Cairo, dove famiglie appartenenti a classi medio alte vivono in ville sprovviste di servizi di sicurezza e circondate da ampi viali cui è facile accedere. Abbiamo sentito che i criminali hanno rubato ambulanze, moto, e anche macchine della polizia, usandole per camuffarsi e accedere indisturbati in questi quartieri nonostante il coprifuoco, che effettivamente concede solo ad ambulanze, militari e giornalisti di guidare attraverso la città. Poi la gente ha iniziato a raccogliere qualsiasi oggetto che potesse fungere da arma per proteggere le strade, e a costruire le barricate per prevenire gli attacchi da parte dei fuggitivi. Gli uomini del mio quartiere hanno iniziato a controllare ogni mezzo che passava in zona, e sono riusciti a catturare dei ladri che si aggiravano nelle vicinanze. Mai come quella notte ho provato la sensazione della paura. Gli amici, che ci chiamavano sul telefono fisso perché internet e cellulari erano bloccati, ci consigliavano di prendere ogni precauzione, avvertendoci che molte aree erano già state attaccate e derubate. Ho visto giovani e anziani della nostra strada raccogliersi sotto il nostro condominio con bastoni di legno, oggetti metallici di ogni sorta improvvisati come strumenti di difesa; pattugliavano le strade per osservare ogni persona o movimento sospetti, accendevano fuochi per illuminare la strada, e alzavano barricate per proteggere le loro case, e anche la mia.

IL DISCORSO DEL PRESIDENTE – Alle 16.00 il canale nazionale aveva annunciato che il presidente avrebbe tenuto un discorso alla nazione; alla fine questo è arrivato con notevole e comprensibile ritardo visto il caos e le distruzioni che hanno caratterizzato le ultime ore. Solo alle 00.30 Hosni Mubarak ha parlato al popolo egiziano, tenendo un discorso troppo debole rispetto alla rilevanza degli eventi. Si è detto rammaricato per quello che stava succedendo e ha rivelato che ci sono attori esterni che giocano un ruolo importante nei disordini; alla fine ha chiesto al governo di dimettersi, a dispetto delle attese del pubblico che credeva che avrebbe alternativamente accettato di lasciare la presidenza o deciso di sciogliere il parlamento. Dopo un lungo silenzio ha dunque reso noto che il governo sarebbe stato il suo capro espiatorio. La reazione della strada, com’è ovvio, è stata negativa, nessuno era soddisfatto. La rabbia è scoppiata anche per la fuga dei 30.000 prigionieri verificatasi a causa del ritiro della polizia.

(2. continua)

S.A. Traduzione a cura di Mattia Corbetta [email protected]

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