L’ex Repubblica sovietica potrebbe apparire soltanto come un piccolo e montuoso ‘Stato fallito’ nato dopo il crollo dell’URSS, con una popolazione ‘condannata’ alla fame, un’economia gestita da criminali e partiti corrotti. Ma il Kirghizistan è molto di più: è un tassello fondamentale nello scontro tra ‘vecchi padroni’ russi, USA e Cina. In questa prima parte impariamo a conoscere un po’ la storia recente del Paese.
Prima parte
‘UN FISICO DEMOCRATICO’ – La storia del Kirghizistan non è cominciata nel 1991, ma è nell’anno della dissoluzione dell’Unione Sovietica che il Paese centro-asiatico ha intrapreso un percorso che l’ha portato a essere, oggi sempre di più, un’importante pedina nello scacchiere geopolitico mondiale. Come primo Presidente della Repubblica fu eletto Askar Akayev: proveniente da una famiglia di agricoltori, prima di divenire accademico e uomo di nomenclatura avrebbe fatto l’operaio metalmeccanico. Laureatosi a Leningrado in Matematica e Ingegneria Informatica, dopo una parentesi come professore del Politecnico di Bischkek, ottenne un dottorato a Mosca nel 1981, e tre anni dopo venne eletto deputato del Soviet Supremo e Presidente dell’Accademia Kirghisa delle Scienze. Nel 1991, dopo aver rifiutato il ruolo di vice-presidente dell’URSS offerto da Gorbaciov, divenne Presidente del proprio Paese, ormai indipendente. Sarebbe stato rieletto nel 1995 e nel 2000.
SANGUE E TULIPANI – Nonostante il parere dell’analista Barnett R. Rubin – nel 1993 aveva definito Akayev «a prodemocratic physicist» – il Governo dell’ex funzionario sovietico non riuscì mai ad apparire diverso da un’oligarchia corrotta, orbitante intorno a una figura carismatica quanto autoritaria. Akayev, sin dall’inizio del suo lunghissimo dominio, ha tenuto il Kirghizistan con il pugno di ferro: ai casi di corruzione che lo vedevano coinvolto, il Presidente rispondeva cambiando la Costituzione (promulgata nel 1993 sarebbe poi stata emendata nel 1994 e nel 1996), concedendo sempre più poteri al Capo dello Stato (perciò a se stesso), oppure, al massimo, cambiando i membri dell’esecutivo. Nel 1992 cominciò una serie di violente proteste – un processo a un membro dell’opposizione, accusato di abuso di potere, nella città di Jalalabad diede il via a manifestazioni di piazza, – che esplose definitivamente nella “rivoluzione dei tulipani” del 2005, quando, terminati i mandati a disposizione, Akayev tentò di far eleggere uno dei suoi figli, per rimanere de facto Presidente.
RIVOLUZIONE SFOCATA – Fu una “rivoluzione colorata”, a determinare la fuga e le dimissioni di Akayev. Sulla spinta dei movimenti di protesta che in qualche modo avevano vinto la propria battaglia contro “regimi” simili a quello kirghiso in Georgia (“rivoluzione delle rose” del 2003) e in Ucraina (“rivoluzione arancione” del 2004) anche in Kirghizistan la “rivoluzione di seta” (o dei “tulipani”) ha provocato la (presunta) fine della “dittatura”. Il nuovo Presidente Kurmanbek Bakiev (eletto con l’89% dei consensi), si presentò ai kirghisi con un programma all’insegna della svolta e del rinnovamento, nel segno dell’apertura alle “libertà” dell’Occidente “democratico”. Rispetto al precedente dominio di Akayev, però, quello di Bakiev, durò molto di meno: solo 5 anni. Nel 2010 infatti – sin dal primo momento, Bakiev, ebbe a fronteggiare omicidi e attentati terroristici condotti nell’ottica di una guerra tra etnie (kirghisi e uzbeki si combattono a fasi alterne da 20 anni) – l’opposizione riuscì a compiere una “controrivoluzione”: in breve tempo la deposizione di Bakiev seguì la linea tracciata, anni prima, da quella di Akayev.
UN AMERICANO A BISHKEK – Tra il 2005 e il 2007 diversi scandali ebbero come protagonista il Capo dello Stato Bakiev, oltre che i suoi “fedelissimi” e i suoi parenti stretti: corruzione, appropriazione indebita di capitali pubblici e diversi atti intimidatori nei confronti di membri dell’opposizione – ad alcuni venivano inviate per posta dita e orecchie, al Presidente del Parlamento venne nascosta della droga in valigia e venne arrestato una volta atterrato a Varsavia. Addirittura è probabile che, durante il mandato, Bakiev e il suo fedele capo del governo Kulov abbiamo premeditato e poi messo in atto l’omicidio di alcuni parlamentari. Ma la scelta che non gli venne mai perdonata fu quella di concedere agli USA l’installazione della base di Manas – il Kirghizistan è l’unico Paese ad avere al suo interno una base americana e una russa (a Kant) – fondamentale per l’impegno statunitense in Afghanistan: naturalmente degli appalti multimilionari legati alla base approfittarono innanzitutto i figli di Bakiev e le loro società.
CONTRORIVOLUZIONE – Nel 2010 una “stretta” economica senza precedenti per il Kirghizistan obbligò Bakiev a un’impennata di tassazioni che, all’opposizione e alla maggioranza della popolazione, sembrarono un’ingiustizia palese alla luce dei casi di corruzione che avevano visto al centro l’entourage del Presidente. Inviati dell’opposizione si recarono a Mosca e lì trovarono l’appoggio di Putin – 2,8 miliardi di dollari di aiuti russi erogati nel 2009 erano finiti nelle tasche di uno dei figli di Bakiev – che smise di appoggiare il “legittimo” Presidente dei “tulipani” e lavorò per rovesciarlo (prendendosi anche una bella rivincita sui servizi occidentali coinvolti nelle “rivoluzioni colorate”). A questo giro divenne Presidente ad interim una donna, Roza Otumbayeva, già ministro degli Esteri nei precedenti Governi. Nel 2011 fu eletto come Presidente della Repubblica Almazbek Atambayev, il quale, forte dell’esperienza dei predecessori, ha operato una netta virata del Paese verso l’orbita russa, cercando così di allontanare il pericolo di essere cacciato da una delle numerose “rivolte” di piazza.
PUTIN PRENDE TUTTO? – Atambayev, innanzitutto, ha concluso il contratto di “affitto” della base di Manas – ora gli USA per spostarsi in Afghanistan potranno usufruire solo dello spazio aereo concesso da Putin – lasciando che la Russia diventi l’unica potenza a poter disporre di basi in Kirghizistan. Altro provvedimento che ha visto la Russia vincente è stato l’acquisizione, da parte di Gazprom, della compagnia del gas kirghisa per il prezzo simbolico di 1 dollaro (non è un errore di battitura). Sul modestissimo prezzo hanno pesato gli enormi debiti di Bishkek nei confronti di Mosca: adesso Gazprom si è impegnata a investire 640 milioni di dollari per ammodernamenti strutturali in 5 anni, in modo che il Kirghizistan si renda autonomo dai rifornimenti uzbeki e kazaki nel medio periodo. In più, a partire dal 2015, il Kirghizistan entrerà a far parte dell’Unione doganale messa in piedi da Mosca insieme ad Astana e Minsk. La Russia, infine, può contare anche su circa mezzo milione di lavoratori kirghisi sul proprio territorio: le loro rimesse sono un’importante voce dell’economia di Bishkek.
Continua
Guglielmo Sano