In 3 sorsi – Un mese fa il Kazakistan si è aggiunto alla lunga lista dei Paesi che hanno abolito la pena di morte sottoscrivendo il Secondo Protocollo al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, allineandosi con molti Paesi, soprattutto occidentali. Ma la mossa sembra tutt’altro che spontanea.
1. DECISIONE STORICA
Lo scorso 24 settembre il Kazakistan ha aderito al Secondo Protocollo Aggiuntivo del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, diventando così il 107esimo Paese al mondo ad abolire la pena di morte nel suo ordinamento. Questa decisione è stata annunciata dal Presidente Tokayev nel suo intervento a margine della 75esima Assemblea delle Nazioni Unite. La decisione rappresenta l’ultimo passo di un percorso iniziato quasi 20 anni fa dal Presidente Nazarbayev, il quale nel 2003 decise di attuare una moratoria e di sospendere le esecuzioni nel Paese, tranne che per i casi di terrorismo e crimini commessi in tempi di guerra. La moratoria si era successivamente trasformata nel 2007 in un emendamento alla Costituzione, e da allora non si erano avuti altri sviluppi. Nel corso di questi anni il Governo kazako ha cercato di coinvolgere il più possibile la popolazione: prima con una consultazione online tenutasi nel 2002, poi nel 2003 l’abolizione della pena di morte fu uno dei temi del Forum Civico organizzato con le ONG. Ora l’adesione al Secondo Protocollo deve essere ratificata dal Parlamento kazako.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Discorso del Presidente kazako Tokayev all’Assemblea delle Nazioni Unite dell’anno scorso
2. IL SECONDO PROTOCOLLO
Il Patto sui Diritti Politici e Sociali fu approvato nel 1966 ed è una derivazione della Carta dei Diritti dell’Uomo del 1948, il primo grande documento approvato dopo la Seconda Guerra Mondiale dalle neonate Nazioni Unite. Il Patto ha due protocolli aggiuntivi: il primo è stato approvato insieme al Patto e riconosce al Comitato per i diritti dell’uomo il compito di esaminare i report giunti dai singoli Stati, mentre il secondo, relativo all’abolizione della pena di morte, è stato approvato nel 1989. Con quest’ultimo i Paesi firmatari si impegnano ad abolire la pena capitale e di fatto rappresenta un passo in avanti rispetto al documento del 1966, che all’articolo 6 solo consigliava l’abolizione. Il Patto e il Primo Protocollo sono entrati in vigore nel 2006 in Kazakistan, che era l’unico Stato dell’Asia Centrale in cui non era in vigore, mentre la pena di morte in Kirghizistan, Uzbekistan, Kazakistan e Turkmenistan è stata abolita già da tempo. Il Tagikistan è un Paese di fatto abolizionista perché la pena è prevista dalla Costituzione, ma sospesa dal Parlamento nel 2004.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Dimostranti arrestati dalla polizia durante una manifestazione anti-governativa ad Almaty, marzo 2020
3. I MOTIVI DELL’ADESIONE
Perché aderire ora? La domanda sorge spontanea: perché aspettare ben 13 anni per aderire ad un protocollo che riguarda uno dei temi più importanti e più sentiti dall’opinione pubblica internazionale? Nel periodo tra il 2002 e il 2003 il Kazakistan, come tutti i Paesi dell’Asia Centrale, era a fianco dei Paesi occidentali nella lotta al terrorismo, e stava recependo alcuni principi delle loro società come il rispetto dei diritti umani e l’assenza della pena di morte nei loro ordinamenti giuridici. In questo senso la moratoria del 2003 era la misura perfetta: accontentava le organizzazioni internazionali che premevano per l’abolizione, ma allo stesso tempo dimostrava come il Kazakistan fosse ancora impegnato nella lotta al terrorismo. Nel caso dell’emendamento del 2007, confermare la moratoria sulla pena di morte rappresentava un modo di valorizzare il lavoro svolto dal Forum Civico del 2003 e di evitare che potessero sorgere dei malcontenti tra la popolazione. Il dialogo con i cittadini è secondo Kairat Umarov, Rappresentante kazako alle Nazioni Unite, la ragione per cui è stato firmato adesso il Protocollo. Secondo le ricercatrici dell’ISPI Giulia Sciorati ed Eleonora Tafuro Ambrosetti, l’adesione al Secondo Protocollo va vista come un segno di successo della transizione politica che il Paese ha intrapreso negli ultimi anni, soprattutto con l’elezione di Tokayev nel 2019. Vista in un’altra ottica, però, questa mossa può essere vista come un tentativo di prevenire eventuali malcontenti nella popolazione prima delle elezioni parlamentari che si terranno l’anno prossimo, dopo che a settembre si erano tenute delle manifestazioni ad Almaty, Shymkent e Aktobe, nelle quali i manifestanti aveva chiesto riforme politiche e criticato l’ex Presidente Nazarbayev.
Cosimo Graziani
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