Analisi – L’Asia Centrale riveste un ruolo cruciale nell’agenda geopolitica di molti Paesi, compresi quelli dell’UE. La regione è infatti ricca di risorse minerarie e di combustibili fossili, oltre ad essere un crocevia per le rotte commerciali con il resto dell’Asia.
I RAPPORTI TRA L’UE E L’ASIA CENTRALE
L’Asia Centrale comprende un gruppo di cinque stati, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, tutti nati in seguito della caduta dell’Unione Sovietica e accomunati dal suffisso “-stan”, termine che in lingua sanscrita significa terra, nazione, luogo. Grande interesse per questa area geografica è stato dimostrato dalla Francia, come suggeriscono le due visite in loco del presidente della Repubblica Macron avvenute a inizio novembre 2023 con l’obiettivo di stringere alleanze strategiche per sfruttare le risorse energetiche di cui la regione è ricca. Questo interesse non si riduce alla sola Francia, ma si estende all’intera Unione. È infatti la stessa Commissione UE a ritenere che la regione rappresenti un ponte verso la Cina, l’Afghanistan e il Medio Oriente oltre che una fonte di importazioni energetiche significative per l’Unione Europea.
Negli anni l’Unione ha mantenuto aperto il dialogo con i Paesi dell’area, inaugurando nel 2019 una nuova strategia per la regione che pone l’accento sulla promozione della resilienza, della prosperità e della cooperazione regionale in Asia centrale.
Il Kazakistan, Paese più esteso della regione e primo tra gli altri per PIL, è un partner commerciale molto importante per l’Unione Europea. La bilancia dei pagamenti protende nettamente a favore del Kazakistan: nel solo 2022 ha esportato un totale di 26 miliardi di euro di prodotti minerali verso il vecchio continente e nel 2021 ha diretto il 39% delle sue esportazioni totali verso il mercato comunitario. Dal canto suo, l’UE è il più grande investitore estero in Kazakistan, fornendo un totale di €61,5 miliardi in stock di investimenti diretti esteri (FDI) nel 2021.
Anche con l’Uzbekistan, l’Unione mantiene solidi scambi commerciali. Primo del quintetto per pil pro-capite, dal 10 aprile 2021 è il 9° Paese che entra a far parte del Sistema di preferenze generalizzate Plus (SPG+), status che gli permette di usufruire di tariffe doganali preferenziali sulle merci in entrata nel mercato comunitario. Anche il Kirghizistan ha aderito allo stesso accordo, mentre il Tagikistan si è associato al solo sistema SPG standard.
Nonostante il Turkmenistan sia prevalentemente chiuso nei confronti del mondo esterno e il suo status di “neutralità permanente” sia persino riconosciuto dalle Nazioni Unite, la delegazione turkmena ha comunque deciso di rafforzare le relazioni con l’UE nell’ambito della strategia per la regione insieme agli altri Paesi dell’area.
Fig. 1 – Summit tra l’alto rappresentante della politica estera dell’unione e i ministri degli esteri dei paesi “-stan”
I RISVOLTI GEOPOLITICI DELL’URANIO
Per capire l’importanza dell’Asia centrale nello scacchiere internazionale è bene menzionare la presenza di significativi giacimenti di uranio nel sottosuolo e le sue implicazioni geopolitiche. Tale aspetto è quanto mai cruciale, soprattutto se considerato in relazione al recente colpo di stato in Niger. Lo Stato saheliano nel 2022 è stato il secondo fornitore di uranio dell’Unione Europea, contribuendo per il 25,4% e posizionandosi appena al di sotto del Kazakistan, che ha invece raggiunto il 26,8% delle importazioni totali di uranio a livello europeo. In seguito al golpe non è da escludere che il Kazakistan diventi un player ancor più presente nei piani di politica estera dell’Unione, dato che il Paese dispone di una delle più grandi riserve di uranio al mondo stimata in 957.220 tonnellate.
Oltre al Kazakistan, anche l’Uzbekistan possiede significativi giacimenti di uranio, in particolare 49.200 tonnellate di uranio nelle risorse recuperabili ragionevolmente garantite e 49.220 tU nelle risorse recuperabili in arenarie, oltre a 32.900 tU nelle argille nere. Nonostante i giacimenti siano di minori dimensioni, la produzione è comunque notevole, contando questa 3.500 tonnellate di uranio estratte annualmente dal 2020, fattore che porta il Paese a classificarsi come quinto al mondo per esportazione del minerale. Anche Kirghizistan e Tagikistan dispongono di giacimenti di uranio, ampiamente sfruttati in epoca sovietica. In entrambi i Paesi, però, l’odierna gestione della risorsa è fortemente influenzata dal contesto politico: in Kirghizistan, il Jogorku Kenesh, ovvero il Consiglio Supremo kirghiso, nel maggio 2019 ha votato per vietare l’estrazione e l’esplorazione dell’uranio, mentre in Tajikistan la filiera dell’uranio è ancora oggi attiva, ma avere dati recenti ed accurati risulta essere complesso dopo che il regime ha stabilito che le dimensioni delle risorse di uranio del Tagikistan sono considerate segrete.
Fig. 2 – “Porta dell’inferno” in Turkmenistan
IL POTERE DEGLI IDROCARBURI
La rilevanza dei Paesi “–stan” deriva inoltre dalle grandi risorse di gas e petrolio di cui dispongono, motivo per cui anche la Cina è interessata ad espandere la propria influenza nell’area. Come l’UE, infatti, Pechino non possiede riserve di idrocarburi sufficienti a soddisfare la domanda interna, il che rende il Paese dipendente dalle importazioni estere. Primo fra tutti per giacimenti di idrocarburi gassosi, il Turkmenistan è detentore della quarta riserva di gas offshore e onshore più grande al mondo, dietro a Iran, Russia e Qatar. In base ai dati del 2021, la Cina è la prima ad usufruire degli 11 trilioni di metri cubi di gas turkmeni, dai quali riesce a reperire il 53,7% delle proprie importazioni totali. Il terzo e il quarto Paese fornitore della Cina sono rispettivamente il Kazakistan con il 12,3%, poco al di sotto della Birmania, e l’Uzbekistan che con le sue riserve da 1,84 trilioni di m3 risponde al 6,58% del totale delle importazioni. Il Kirghizistan e il Tagikistan dispongono di riserve di gas e petrolio irrisorie, non sufficienti a soddisfare la domanda interna. Di conseguenza, sono costretti a importare le risorse energetiche dagli altri Paesi dell’area e dalla Russia
Grande protagonista rimane il Kazakistan. Il Paese possiede significative riserve di gas, stimate in 2.300 miliardi di metri cubi nel 2020, ma è il petrolio la risorsa su cui il Paese si basa per soddisfare il 50% della domanda interna di energia (2020) e consolidare la propria influenza a livello internazionale grazie alle sue riserve stimate in 4,77 miliardi di metri cubi. Quantità elevate di petrolio kazako sono dirette verso i paesi dell’UE. Delle 70 milioni di tonnellate estratte nel 2021, il 20% è stato esportato in Grecia, il 16% in Germania, l’8,7% in Francia, il 7% in Spagna, il 6,4% in Austria, il 5% in Lituania e il 4,3% in Italia. Insieme, l’uranio e il petrolio, permettono al Kazakistan di emergere non solo come una potenza regionale nel cuore dell’Asia, ma anche come un attore strategico di rilievo nel panorama geopolitico attuale. La stima delle riserve petrolifere degli altri due Paesi dell’area, invece, è da considerarsi marginale rispetto a quella kazaka: Uzbekistan e Turkmenistan, infatti, possiedono poco al di sotto di 100 milioni di metri cubi, mentre Kirghizistan e Tagikistan, insieme, non raggiungono 9 milioni di metri cubi.
Fig. 3 – Scomparsa del lago d’Aral
TRAIETTORIE FUTURE
In futuro è plausibile immaginare un ulteriore avvicinamento dei paesi “–stan” all’orbita di influenza dell’Unione Europea. Come avvenuto per i paesi del Sud America e dei Caraibi a seguito del terzo allargamento dell’Unione il potenziale ingresso di altri candidati ex URSS come Georgia, Moldavia e soprattutto Ucraina dovrebbe portare a una maggiore vicinanza culturale tra l’Unione e i Paesi dell’area, base sulla quale poter intavolare nuovi e proficui dialoghi.
Il dialogo con questi Paesi, nel tempo, dovrà poi necessariamente estendersi a temi importantissimi come il rispetto dei diritti umani e sociali, nonché il progressivo affermarsi dei principi democratici. In base ai dati del 2023 forniti da Freedom House, i cinque Paesi in analisi si caratterizzano per essere luoghi con un regime autoritario ben affermato, dove le libertà e i diritti politici risultano essere del tutto assenti.
Contestualmente, sul versante della diplomazia climatica e ambientale, l’UE dovrà esercitare pressione sui Paesi dell’Asia centrale affinché applichino norme più stringenti per la tutela dell’ambiente e la mitigazione del cambiamento climatico. Le conseguenze dello sfruttamento delle risorse in modo non sostenibile sono già visibili nell’area. Il prelievo massivo di acqua con l’intento di sostenere la produzione agricola di cotone sovietica negli anni cinquanta ha causato la drastica riduzione della grandezza del lago d’Aral, situato alla frontiera tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, in passato quarto lago più grande al mondo. L’impatto ambientale della perdita del lago d’Aral non è ancora completamente noto. Quello che sappiamo è che il cotone che ha contribuito alla sua distruzione è raccolto attraverso il lavoro forzato ed è destinato ai negozi europei.
In conclusione, i rapporti tra l’Unione Europea e l’Asia Centrale delineano un quadro eterogeneo di interessi politici, economici e geostrategici. La regione merita l’attenzione dell’UE non solo per le sue risorse energetiche, ma anche per le connessioni che si potrebbero sviluppare con il resto del continente asiatico.
Luca Sinagra Brisca
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