martedì, 23 Aprile 2024

APS | Rivista di politica internazionale

martedì, 23 Aprile 2024

"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

Associazione di Promozione Sociale | Rivista di politica internazionale

I perchè del Maghreb in rivolta – II

Seconda puntata del focus speciale del Gen. Cascone sugli storici eventi di queste settimane. Si torna in Egitto: in un'unica analisi, ripercorriamo le prime scintille di rivolta, i dietro le quinte, le motivazioni delle decisioni più rilevanti della piazza e di Mubarak, le ultime disperate mosse del Faraone e i primi provvedimenti del post-Mubarak.

(segue da I perchè del Maghreb in rivolta – I)

L'EGITTO E LA RIVOLTA DEL WEB

UNA PIAZZA, DICIOTTO GIORNI – La rivolta del Cairo, nella sua fase più significativa per l’attività mediatica, è durata 18 giorni, dal 25 gennaio al 12 febbraio 2011; questa fase, secondo la possibile schematizzazione già indicata, si è conclusa con l’uscita dalla Capitale del Presidente Hozni Mubarak, rifugiatosi nella residenza di Sharm el Sheikh e che attualmente verserebbe in condizioni di salute gravi, secondo i mass-media.

La rivolta “non violenta”, secondo gli intendimenti dei giovani organizzatori, si è estesa in breve tempo a tutto il Paese (oltre alla Capitale, a Suez e ad Alessandria, in particolare), ha avuto come teatro la piazza Tahir (in arabo vuol dire “libertà”) del Cairo; ha fatto registrare più di 300 morti e 500 feriti. Anche quì, come a Tunisi, preponderante la presenza di giovani.

SEI APRILE E DEMOCRATURA – Tra i più attivi per l’aspetto organizzativo e per la gestione delle comunicazioni (internet, social network ecc.), i giovani del movimento di protesta antiregime “6 aprile” di Ahmed Maher e di altri giovani esponenti, studenti soprattutto, dopo anni di studio senza aspettative per il futuro e delusi dalla gestione del potere ingiusta e clientelare. Il movimento “6 aprile” prende il nome dal 6 aprile 2008 la data di uno sciopero dei lavoratori nella città industriale di El Mahalla El Kubra; per l’occasione, i giovani del movimento in questione, fornirono il proprio supporto in fase organizzativa e nel corso dello sciopero.

L’attività del movimento è proseguita nei mesi successivi attraverso l’approfondimento e lo studio delle tecniche utilizzate in recenti rivolte, specie di quelle non violente, ispirandosi agli scritti di Gene Sharp, professore dell’Università di Harvard classe 1928, già in contatto con i giovani serbi del “Movimento Otpor” che rovesciò Milosevic. Il giovane Ahmed Maher ha trascorso due settimane a Belgrado, prima degli avvenimenti egiziani del 2011, per approfondire gli aspetti organizzativi della rivolta serba.

In sintesi, i criteri di base e le fasi di una rivolta, secondo Gene Sharp, si possono così sintetizzare:

  • individuazione dell’essenza del potere che costituisce “obiettivo della rivolta”, ovvero le fonti d’ispirazione e le cause a fattor comune delle varie rivolte, prima fra tutte la legittimità del regime;

  • in secondo luogo, la prevedibile reazione del regime, tenendo presente che la rivolta con carattere violento giustifica una reazione altrettanto violenta da parte del regime attraverso i suoi apparati di difesa (Polizia, F.A. ecc.);

  • la perdita di legittimità porta alla disobbedienza, molto contagiosa in entrambi i campi: quello del potere (Forze dell’Ordine e F.A.) e quello della “piazza”;

  • l’esempio della rivolta in un Paese è trascinante per gli altri Paesi (confinanti e/o accomunati dalle stesse radici storiche, religiose, di lingua ecc.), come sta avvenendo nel mondo arabo, dove, alla fine del periodo coloniale, sono state istituite forme di governo che, all’apparenza democratiche (elezioni discutibili ai fini del risultato, libertà “controllate” ecc.), in sostanza si concretizzano in autoritarismi vari, che possono essere sintetizzati in neologismi vari, ad esempio “democratura” (democrazia più dittatura).

WEB E GUERRIGLIA – La “rivolta del web”, così etichettata per il ruolo avuto dai mezzi di comunicazione, i “social network”, a partire dal 25 gennaio scorso, si è estesa a tutto il Paese, mobilitando il dispositivo di Polizia e tenendo l’Esercito in prossimità dei rivoltosi, pronto a intervenire. Con la manifestazione del 25 gennaio, gli scontri tra Forze dell’Ordine e “piazza” hanno assunto la configurazione di guerriglia urbana: lancio di sassi, idranti e bastoni, i primi feriti.

Le scene di guerriglia urbana convincono il Dipartimento di Stato USA a intervenire: le Autorità egiziane sono state invitate a non bloccare le manifestazioni pacifiche e a consentire le comunicazioni dei manifestanti, anche quelle dei social network (Facebook, Twitter ecc.); tutto questo per l’autorevolezza che deriva agli USA dallo stanziamento di fondi (30-35 miliardi di dollari l’anno) per il controllo dei movimenti islamici estremisti tra l’altro. Sul piano interno, Mubarak ha potuto riscontrare il “non gradimento” delle Istituzioni alla sua successione da parte del “delfino” predesignato, il figlio Gamal.

content_685_2

SPUNTA IL NOBEL – Mentre dilagano gli scontri e cresce il numero dei morti (impiego delle armi da parte delle Forze dell’Ordine), la “piazza” individua e incontra un possibile leader a seguito

del suo ritorno in patria il 18 gennaio, di Mohamed El Baradei, già capo dell’Agenzia Atomica (AIEA) di Vienna, 68enne, premio Nobel per la pace, curriculum adeguato per assumere la guida della “transizione del Paese”, ma inizialmente poco propenso all’incarico, in relazione alla situazione non ancora definita :

  • la “piazza”, sempre più decisa ad allontanare Mubarak dal potere, non dispone di altri leader autorevoli, oltre El Baradei;

  • i militari, graditi alla piazza, come risulta dagli applausi loro tributati, quando alcuni reparti sono andati in concorso alle Forze di Polizia, su ordine del Presidente Mubarak;

  • i Fratelli Musulmani, un’Associazione islamica fondata nel 1928 da Hassan al Banna, per finalità non politiche (istruzione religiosa, assistenza sociale e circoli ricreativi), con alterne vicende nei confronti delle istituzioni e dei vari regimi succedutisi in Egitto (ovvero collaborazione con il potere alternata a messa al bando dell’Associazione, ecc.); l’Associazione nel 1981, dopo l’attentato ad opera di estremisti islamici che assassinarono Sadat, è rientrata nella legalità, affermandosi nelle elezioni politiche del 2005 (88 seggi ai Fratelli Musulmani seppure con una formazione politica indipendente).

I Fratelli Musulmani, tornando alla “rivolta del web”, sono “della partita”, ma ancora non manifestano intendimenti per il futuro del Paese; probabilmente non abbandoneranno i criteri contenuti nello statuto dell’Associazione (la legge islamica, la realizzazione di uno stato islamico in Egitto, la tolleranza delle minoranze religiose, considerate “dhimmi” cioè protette, in nessun caso, per contro, quali rappresentanti del potere politico; in pratica, escluse).

GLI ULTIMI GIORNI DEL RAIS – Il 29 gennaio, altro momento cruciale per la “piazza”: assalti agli edifici del Ministero dell’Interno (esponenti dei “Fratelli Musulmani” in prima linea), spari sulla folla da parte delle Forze dell’Ordine (un centinaio di vittime tra la popolazione), fuga all’estero dei familiari di Mubarak (Londra) e di altri esponenti del regime “dalla coscienza sporca”.

E poi ancora un’altra mossa di Mubarak, forse l’ultima:

  • nomina a vice Presidente della Repubblica di Omar Suleiman, già capo dei Servizi Intelligence del Cairo, 74enne, Accademia Militare del Cairo, addestramento intelligence a Mosca, ben visto dai russi;

  • formazione di un governo di esponenti militari, per gestire la transizione.

I successivi avvenimenti del 30-31 gennaio:

  • i partiti di opposizione cercano di appropriarsi dell’etichettatura della rivolta egiziana (la sinistra, i Fratelli Musulmani, il movimento “6 aprile” dei giovani non di sinistra né di destra);

  • i poliziotti abbandonano le “piazze” del Cairo (Tahir, Ramses); mentre la folla assalta i palazzi istituzionali, i carri armati e le blindo dell’Esercito assumono il controllo della piazza;

  • un bagno di folla acclama El Baradei, al quale si rivolgono anche i Fratelli Musulmani, per la loro rappresentanza, nella transizione.

La prima decade di febbraio si caratterizza per l’estremo tentativo di resistenza di Mubarak, gli scontri in piazza tra oppositori e sostenitori del Rais, l’Esercito alla ricerca di una via d’uscita tra il difficile controllo della “piazza” e il mantenimento a distanza della stessa, dagli obiettivi presidiati; in particolare:

  • Mubarak rompe il silenzio il 1° febbraio dichiarandosi disponibile a un dialogo con l’opposizione e a modifiche costituzionali; peraltro annuncia che non parteciparà a successive elezioni presidenziali per un altro mandato;

  • El Baradei si dimostra disponibile per l’incarico di Presidente della Repubblica nel “periodo di transizione”;

  • Suleiman apre una trattativa con le opposizioni, senza risultati significativi;

  • gli Stati Uniti si dimostrano favorevoli alla “transizione” (Obama è dalla parte dei giovani egiziani), mentre il Dipartimento di Stato (Hillary Clinton) esprime la propria preoccupazione per gli sconvolgimenti degli equilibri in M.O. (“una vera tempesta”).

ADDIO FARAONE – Si arriva così al 12 febbraio con la resa di Mubarak che abbandona la Capitale e si trasferisce a Sharm el Shaikh; il potere passa nelle mani di una giunta militare con a capo il Gen. Mohamed Hussain Tantawi, ex Ministro della difesa, fedele al Rais secondo un giudizio della diplomazia USA, nei cablo di WikiLeaks del 2008, “persona cortese e affidabile, resistente al cambiamento”.

Da parte del Consiglio Militare sono annunciati i seguenti provvedimenti:

  • scioglimento delle Camere;

  • libere elezioni entro sei mesi;

  • nomina di un comitato di esperti di “normativa costituzionale” per la revisione di alcuni articoli di legge da sottoporre a referendum entro due mesi.

Si giunge così agli impegni connessi con il periodo di transizione, dove un ruolo determinante è affidato al vertice militare e al suo capo, il Generale Mohammed Hussein Tantawi.

I primi passi del Consiglio Militare sembrano andare nella direzione giusta: l’apertura di un canale di colloquio con i “civili”, come puntualizza un personaggio molto noto della “rivolta”, il capo del marketing di “Google” in M.O., Wael Ghonim, scarcerato il 7 febbraio scorso, dopo 12 giorni di carcere. Ma non è tutto qui!

L’interrogativo di base è “da che parte stia l’Esercito”. Anche se, dopo gli avvenimenti del 25 gennaio, i militari non potranno più “sparare sulla folla”, occorre valutare nei prossimi giorni le loro intenzioni per la cessione del potere; sarà necessario soprattutto riscontrare (prima delle elezioni, previste nei prossimi 6 mesi) il superamento da parte dei militari dei sistemi radicati nelle istituzioni, dopo 60 anni di “dittatura”.

(2. continua. Leggi qui la prima parte: I perchè del Maghreb in rivolta – I)

Gen. Saverio Cascone (testo raccolto da Chiara Maria Leveque) [email protected]

Dove si trova

Perchè è importante

Vuoi di piĂą? Iscriviti!

Scopri che cosa puoi avere in piĂą iscrivendoti

Redazione
Redazionehttps://ilcaffegeopolitico.net

Il Caffè Geopolitico è una Associazione di Promozione Sociale. Dal 2009 parliamo di politica internazionale, per diffondere una conoscenza accessibile e aggiornata delle dinamiche geopolitiche che segnano il mondo che ci circonda.

Ti potrebbe interessare