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Il Ruanda ricomincia dalle donne

In 3 sorsi – Fino agli anni Novanta in Ruanda vigevano usanze prettamente patriarcali, tranne rare eccezioni. Nel 1994 il Paese venne travolto dalla guerra etnica tra Hutu e Tutsi, che lasciò molti orfani e vedove. Anche le donne parteciparono, sebbene con compiti minori. La vera svolta per il loro ruolo nella societĂ  si ebbe alla fine dei 100 giorni di genocidio, quando le donne iniziarono a lavorare per la rinascita del Paese dalle mille colline.

1. L’UNICO BENE DELLA DONNA ERA L’UOMO

“In una casa dove parla una donna c’è discordia”, “la gallina non cresce con i galli”, “l’unico bene di una donna è l’uomo”. Fino agli anni Novanta questi erano i modi di dire piĂą frequenti che stigmatizzavano le donne. Persino le capanne avevano un’entrata secondaria solo per le donne che portava direttamente alla cucina, simbolo della loro funzione in una societĂ  tradizionalmente patriarcale.
Le donne rappresentavano fertilitĂ  e debolezza, pertanto erano tenute a sottostare al volere degli uomini, a occuparsi della casa, dei figli, ma anche di pesanti lavori nei campi.
A questa regola tuttavia ci furono alcune eccezioni. Infatti alcuni recenti studi hanno sottolineato come spesso le donne si rivelavano utili consigliere per i mariti e, a volte, svolgevano persino alcune cariche locali.
Nel 1992 si contavano 12 donne al Parlamento e tre nel ruolo di Ministri, ma l’ultimo Primo Ministro, prima del genocidio, fu una donna. Si chiamava Agathe Uwilingiyimana ed era soprannominata “la ribelle”, poiché dava spesso del filo da torcere al Presidente, combattendo per la promozione della parità di genere e dei diritti delle donne. Fu una delle prime vittime del genocidio: il 7 aprile 1994 fu violentata e uccisa da soldati ruandesi che appartenevano alla sua stessa etnia hutu.

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Fig. 1 – Agathe Uwilingiyimana, Primo Ministro del Ruanda, uccisa all’inizio del genocidio del 1994

2. MOSTRI E VITTIME DEL GENOCIDIO?

Il giorno prima, il 6 aprile 1994, l’aereo del Presidente Habyarimana, che trasportava anche il Presidente del Burundi Ntaryamira, venne abbattuto da un missile a Kigali. Il genocidio dei Tutsi e degli Hutu più moderati da parte degli Hutu estremisti ebbe inizio.
In 100 giorni 800mila persone vennero uccise, 400mila bambini rimasero orfani e 250mila donne vennero stuprate. Non furono usate armi sofisticate, ma macheti, mazze chiodate e armi da fuoco semplici.
I media si schierarono e svolsero un ruolo fondamentale nel veicolare e strumentalizzare idee estremiste, come denunciò la giudice Navanathem Pilay durante la sentenza del cosiddetto “Media Trial“, il processo contro gli operatori dell’informazione che fomentarono il massacro.
E le donne? Anche loro presero parte a questa tragedia, sebbene in misura minore rispetto agli uomini. Come testimoniano molte detenute, la partecipazione delle donne fu diffusa, ma di vario tipo. Raramente uccidevano, di solito passavano informazioni, denunciavano conoscenti tutsi e assistevano i soldati. Le sopravvissute affermarono che agirono per la paura, ma anche perché erano certe di compiere la cosa giusta, in quanto dovevano supportare i loro uomini.
Dopo 100 giorni di strage, secondo un rapporto dell’ONU, il 65% della popolazione sopravvissuta in Ruanda era composta da donne: dagli stupri perpetrati sarebbero nati circa 20mila bambini.

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Fig. 2 – Una cittadina al voto per il rinnovo del Parlamento del Ruanda nel 2018

3. IL NUOVO RUANDA SIMBOLO DELLA PARITĂ€ DI GENERE

A guerra conclusa le donne presero in mano le sorti del Paese.
Davanti alla Corte del Tribunale Internazionale denunciarono i soprusi subiti e ottennero che lo stupro fosse riconosciuto come arma di guerra e crimine contro l’umanità.
Le bambine vennero iscritte a scuola, le madri iniziarono a lavorare, alcune donne assunsero anche compiti nell’esercito e nel Governo.
Finalmente nel 2003 fu sancita nella Costituzione la paritĂ  dei diritti tra uomini e donne.
Nel 2008 il Ruanda fu il primo Paese al mondo ad avere un Parlamento a maggioranza femminile, con il 61,3% delle elette.
Secondo il rapporto del Global Gender Gap Index 2018 stilato dal World Economy Forum il Ruanda è uno dei primi dieci paesi al mondo in cui la donna ha le stesse possibilitĂ  di un uomo di lavorare fuori casa. A titolo d’esempio, in questa classifica l’Italia occupava solo il 70° posto.
Un cambiamento di mentalitĂ  così rapido e radicale a favore delle donne è stato possibile anche grazie ai politici al Governo, gli stessi che qualche anno prima avevano visto le loro madri rimboccarsi le maniche e lavorare per la nascita di un nuovo Paese.  
Purtroppo non tutte le ingiustizie sono state debellate. Secondo alcune organizzazioni non governative, in Ruanda la violenza sulle donne è ancora una pratica comune. Per combattere questa piaga nel 2011 è entrata in vigore una legge per la costruzione di una struttura di tutela e promozione dei diritti delle donne formata da centri, gli Isange-One Stop Centre, dotati di personale medico, giudiziario e di polizia che offrono servizi alle vittime di violenze sessuali in modo rapido.
A partire da quest’anno il Paese ha chiuso oltre l’80% del divario di genere, eppure la legge non è ancora uguale per tutti, come lo dimostra la vicenda di 50 donne liberate a maggio dopo essere state incarcerate con l’accusa di aver violato la legge sull’aborto del 2009.
Il popolo ruandese però sta raggiungendo molti obiettivi e sta imparando a collaborare per la ricostruzione in nome della pace, del lavoro e della prosperità, i tre principi rappresentati dalla bandiera nazionale.

Alessandra De Martini

Embassy of Rwanda” by angela n. is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • Fino a tempi recenti in Ruanda la disuguaglianza di genere era un fattore culturale accettato e riconosciuto nella societĂ .
  • Il genocidio del 1994 segna un momento di svolta per le donne del Paese: parteciparono agli scontri, ma soprattutto alla ricostruzione del Paese.
  • Con un Parlamento a maggioranza femminile, oggi il Ruanda è ai vertici del Global Gender Gap Index.

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Alessandra De Martini
Alessandra De Martini

Classe 1996, mi sono laureata in Investigazione, CriminalitĂ  e Sicurezza internazionale presso l’UniversitĂ  degli Studi Internazionali di Roma. Sono appassionata di geopolitica, ma amo anche imparare nuove lingue e viaggiare. Durante il percorso universitario, ho cercato di combinare le mie passioni partecipando all’Erasmus, ad alcuni programmi di studio all’estero e ad un progetto di volontariato in Colombia. Nel tempo libero mi piace leggere thriller, fare jogging ma soprattutto giocare con il mio cagnolino!

 

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