In 3 sorsi – Mentre l’Unione Europea approva finalmente delle sanzioni contro Lukashenko, il regime bielorusso appare isolato a livello internazionale e debole all’interno. Secondo alcuni esperti, il vero arbitro della crisi è la Russia, che avrebbe da tempo degli obiettivi molto chiari.
1. IL PREMIO SAKHAROV
L’Unione Europea finalmente fa le sue mosse nella crisi in Bielorussia. La prima è l’imposizione di sanzioni contro il regime di Lukashenko. La seconda è l’assegnazione del premio Sakharov, l’annuale riconoscimento consegnato da Bruxelles a personalità e organizzazioni che si sono distinti per la difesa dei diritti umani, a Svetlana Tikhanovskaya e ai membri del Consiglio di Coordinamento dell’opposizione. Questi due eventi sono le prime concrete mosse fatte dall’UE nella crisi che oramai va avanti da agosto e che non accenna a placarsi. Ma non sembrano colmare il vuoto con la Russia per quanto riguarda il coinvolgimento nella crisi. Dopo che nell’incontro di Sochi Putin ha offerto aiuto economici a Lukashenko, Mosca ha fatto proprie le sanzioni che il Governo bielorusso ha imposto come reazione all’UE e ha aggiungo Svetlana Tikhanovskaya nella lista delle persone ricercate dal suo Ministero degli Interni. Nel frattempo la leader dell’opposizione ha proseguito il suo giro di incontri con leader politici europei, incontrando Macron e Angela Merkel. In seguito a questo giro di colloqui ha chiesto la mediazione della Germania con la Russia per risolvere la crisi.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Svetlana Tikhanovskaya parla con i giornalisti poco dopo il suo incontro con Angela Merkel a Berlino, 6 ottobre 2020
2. LO SCIOPERO GENERALE
La situazione interna per un momento è sembrata prendere una piega distensiva, che però è durata lo spazio di pochi giorni. Dopo che all’inizio di ottobre la Tikhanovskaya ha cominciato a nominare i membri di un Governo ombra, Lukashenko ha incontrato in carcere alcuni membri del Consiglio di Coordinamento, e ha liberato alcuni dei prigionieri, tra i quali Viktor Babariko, candidato alle elezioni di agosto, ma arrestato prima del voto. Il tema più importante affrontato durante l’incontro è stato quello relativo alla riforma costituzionale. L’avvenimento ha dato ulteriore vigore all’opposizione e pochi giorni dopo Tikhanovskaya ha lanciato un ultimatum di 13 giorni domandando le dimissioni di Lukashenko, lo stop alla violenza contro i manifestanti e il rilascio dei prigionieri politici. Le richieste non hanno avuto seguito e il 26 ottobre è iniziato uno sciopero generale contro il Governo. La brutalità delle violenze e la grande quantità di arresti seguiti allo sciopero sono stati criticati dal responsabile per la crisi in Bielorussia delle Nazioni Unite Anais Marin, che ne ha domandato la cessazione.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Senza paura e senza sosta: donne bielorusse in piazza contro il regime di Lukashenko, 2 novembre 2020
3. IL VERO OBIETTIVO RUSSO
Se sul fronte interno Lukashenko sembra cedere, meglio non va su quello internazionale. Lukashenko ha richiamato i suoi ambasciatori da Polonia e Lituania e come reazione i rispettivi Governi, seguiti da alcuni Paesi della regione e dal Regno Unito hanno richiamato i loro. La reazione di Lukashenko è stata la chiusura con tutti gli Stati confinanti, tranne la Russia, ma ha tardato qualche giorno, perché nel frattempo ha dovuto affrontare una crisi con gli Stati Uniti riguardo all’arresto e al rilascio dell’analista bielorusso con passaporto americano Vitaly Shklyarov. Alcuni analisti si sono soffermati sull’incontro in carcere con l’opposizione come il possibile evento spartiacque della crisi. Per Gwendolyn Sasse di Carnegie Europe è stato infatti un palese riconoscimento della presenza di prigionieri politici nel Paese. Questa opinione è stata ripresa anche da Nigel Gould-Davies dell’International Institute for Strategic Studies, che ha aggiunto come questa mossa renda chiara la debolezza di Lukashenko e del suo regime. A rafforzare il punto di vista è l’analista Viktor Socor, che ritiene la Russia la vera parte attiva in questa crisi, perché stava programmando un cambio di regime a Minsk da molto tempo e le elezioni avevano lo scopo di indebolire Lukashenko per poi sostituirlo con un capo di Stato più malleabile e più propenso a fare della Bielorussia un Paese satellite di Mosca. Il problema, sottolinea lo stesso analista, è che nessuno aveva previsto il degenerare della crisi. Di conseguenza, Mosca ha dovuto modificare il percorso, ma non la meta, che resta quello di un cambio alla guida del Paese. La riforma costituzionale resta il mezzo per raggiungerlo, ma adesso ha il doppio obiettivo di stabilizzare la crisi a Minsk e preparare un’alternativa a Lukashenko.
Cosimo Graziani
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