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Non più unici decisori

Il Giro del mondo in 30 Caffè – Con un’intervista a Mattia Toaldo, esperto di politica estera americana, facciamo il punto su come Washington sta guardando agli eventi del Maghreb di inizio 2011. Tra gli altri spunti, il tema wikileaks e il rapporto con l’Europa, da cui emerge un quadro che conferma la nostra cartina “al rovescio”: i rapporti sono tutt’altro che solidi, e – ci piaccia o no – una rappresentazione del mondo “atlanticocentrica”, con l’Europa in mezzo, appare quanto mai obsoleta

 

Mattia Toaldo ha preso un dottorato di ricerca a Roma Tre in Storia delle Relazioni Internazionali, studiando la politica di Reagan in Medio Oriente. Dal 2003 al 2006 ha scritto di economia per il Messaggero. Attualmente insegna politica italiana agli studenti americani dell’IES di Roma, svolge ricerche sul Medio Oriente e gli Usa presso il Geopec-CRS, scrive per Limes, Affari Internazionali, Quale Stato ed Aspenia. È uno dei fondatori di America 2012 ed è uno dei curatori del blog italia2013. Ha vissuto per vari periodi negli Stati Uniti tra la California, il Texas e Washington. A lui rivolgiamo qualche domanda relativa agli eventi delle ultime settimane, al polverone Wikileaks e al rapporto con l’Europa, da dove emerge che questa relazione non sta certo vivendo i momenti di maggiore solidità e unità.

 

Accantonata la dottrina della guerra preventiva voluta da Bush, l’amministrazione Obama si è da sempre orientata nel considerare l’uso della forza come ultima ratio.La politica estera statunitense è ancora ferma su questo indirizzo o sta cambiando qualcosa?

 

Ritengo che Washington non si muoverà da questo indirizzo.

Ciò di cui si discute oggi non è certamente il ritorno ad una politica di attacchi preventivi bensì all’attuazione di una no-fly zone più simile alle politiche applicate negli Stati Uniti negli anni 90.

La dottrina dell’attacco preventivo presupponeva una superiorità militare non più ipotizzabile oggi, con gli Stati Uniti impegnati attivamente in operazioni di presidio in Iraq e Afghanistan.

 

A margine del caos nordafricano generatosi dalla caduta di alcuni decennali regimi autoritari (ed in particolare nel rapido evolversi degli eventi in Libia) quale dovrebbe essere e quale sarà il ruolo di Washington nella gestione e risoluzione di tale crisi?

 

Prima di tutto va detto che queste crisi evidenziano come gli Stati Uniti non siano più l’unica potenza ad avere l’esclusività decisionale in quella regione, il loro ruolo deve svolgersi necessariamente con l’appoggio di altri soggetti.

Ad esempio nell’attuazione dell’eventuale no-fly zone in Libia gli Stati Uniti necessitano del via libera della Lega Araba da una parte e della cooperazione con l’Unione Europea dall’altra.

Certamente, in alcuni scenari Washington continua a ricoprire un ruolo chiave; in Egitto, gli USA forniscono importanti aiuti militari e dunque hanno un potenziale di pressione elevato come anche in Israele, dove gestisce la partita importante del processo di pace con la Palestina.

 

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Qual è stata l’effettiva ripercussione generata dalle pubblicazioni di Wikileaks sui rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti ed il resto mondo?

 

Sin da principio l’approccio alla politica estera dell’amministrazione Obama è stato orientato nel favorire le relazioni diplomatiche, dopo che queste negli ultimi anni di presidenza Bush hanno subito alcune sostanziali battute d’arresto.

La diplomazia da sempre si è basata su un certo grado di segretezza e fiducia tra gli interlocutori, è ovvio che la divulgazione di questi rapporti abbia minato la base fiduciaria.

Sicuramente però l’impatto è stato inferiore rispetto a quello che ci si sarebbe potuto attendere. Tuttavia Wikileaks ha contribuito a diffondere il parere della diplomazia americana su alcuni regimi, come quello tunisino di Ben Ali e dunque può aver influenzato l’accelerazione degli eventi che hanno portato al colpo di stato.

 

Europa e Stati Uniti, alleati nella difesa dello stato democratico ma in competizione su diversi fronti, primo tra tutti quello economico. Che grado di cooperazione esiste in realtà tra Washington e Bruxelles?

 

In realtà non vi è una grande cooperazione. Un luogo comune vuole che l’Europa non abbia una effettiva strategia univoca in tema di politica estera, in realtà non è esattamente così.

Pur essendo differente da quella degli Stati Uniti, la politica estera dell’Ue è basata sullo stanziamento di aiuti economici e sull’inclusione nei mercati interni europei.

Anche in Medio Oriente l’Ue è presente con alcuni finanziamenti autonomi rispetto agli stanziamenti americani.

Una maggiore cooperazione sicuramente potrebbe essere utile nell’accelerare i tempi del processo di pace mediorientale, ma come tutti sappiamo la vicenda è molto delicata e richiede purtroppo tempi molto dilatati.

 

Intervista a cura di Andrea Ambrosino

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