In 3 sorsi – Al Consiglio Europeo del 16 novembre i leader di Polonia e Ungheria non avevano approvato il piano di ripresa europea, dichiarandosi contrari al meccanismo sullo Stato di diritto. Nell’ultimo Consiglio Europeo del 10 dicembre la situazione è cambiata.
1. I FATTI
Il 16 novembre, durante una riunione del Consiglio Europeo, Polonia e Ungheria avevano esercitato il veto sulla votazione riguardante i fondi per il prossimo budget pluriennale dell’UE 2021-2027. A questi fondi si lega il piano Next generation EU per la ripresa europea nel post pandemia dalla Covid-19. Il veto, esercitato per la prima volta da questi Paesi, blocca l’approvazione dell’accordo, che sarebbe dovuta avvenire all’unanimità. I due Paesi non si trovavano d’accordo con il principio dello Stato di dritto sancito all’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea, principio che è stato inserito nel meccanismo di concessione dei fondi ai singoli Stati. Questo prevede che nel caso in cui un Paese membro violi lo Stato di diritto i pagamenti in suo favore vengano sospesi.
Embed from Getty ImagesFig.1- Il Presidente francese Emmanuel Macron e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen a sinistra, a destra il Primo Ministro ungherese Viktor Orban parla con il Primo Ministro polacco Mateusz Morawiecki durante un vertice europeo.
2. LE RAGIONI DI POLONIA E UNGHERIA
I due Paesi, dati i precedenti con l’Unione, ritengono che il meccanismo sullo Stato di diritto possa andare a bloccare i finanziamenti in loro favore. Spesso, infatti, l’Unione Europea ha sollecitato Varsavia e Budapest a conformare le loro politiche nazionali al rispetto dei diritti umani, della democrazia e delle libertà. In particolare una delle questioni poste recentemente dall’UE a questi Stati è risolvere il deficit di imparzialità e indipendenza della loro magistratura. Nell’Ungheria di Orbán prima e nella Polonia poi, si è diffusa l’idea che l’Europa dovrebbe restare fuori dalle vicende interne, limitandosi a gestire il funzionamento del mercato comune e della cooperazione. Alla base di questo rifiuto c’è una componente ideologica: è rinata, infatti, la credenza che l’Unione Europea stia ledendo la sovranità dei singoli Paesi in favore di un approccio troppo sovranazionale. Orbán ha dichiarato che il meccanismo sullo Stato di diritto “trasformerebbe l’Unione Europea in una nuova Unione Sovietica”.
Già con le prime discussioni sull’adozione del “Recovery Fund” e nel vertice di luglio i Paesi dell’Est Europa si erano mostrasti restii all’approvazione di questi strumenti. Alla fine però il piano di ripresa europea che si sostanzia nei 750 miliardi di aiuti del Next Generation EU si era dimostrato – e lo è tuttora – conveniente anche per questi Paesi. Nel caso di Ungheria e Polonia, infatti, il blocco degli aiuti inciderebbe anche sulle proprie casse. Secondo i dati del 2018 l’UE ha concesso alla Polonia 16,350 miliardi di euro (pari al 3,43% dell’economia polacca) e all’Ungheria 6,298 miliardi di euro (pari al 4,97% dell’economia ungherese), fondi che hanno contribuito alla spesa pubblica polacca e ungherese.
Fig. 2- La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e la Cancelliera tedesca Angela Merkel alla fine del secondo giorno del Consiglio Europeo, l’11 dicembre 2020 a Bruxelles.
3. LA SOLUZIONE EUROPEA
Rispetto all’approvazione del futuro budget quinquennale europeo, i Trattati sul funzionamento dell’UE parlano chiaro: è necessaria l’unanimità, quindi l’Unione si è dovuta attivare per persuadere i premier a ritirare il veto. L’azione intrapresa dal Consiglio Europeo è stata quella di convincere i due leader, Orbán e Morawiecki, a cambiare posizione. Per far questo si è dimostrata necessaria una soluzione diplomatica contando sulla mediazione tedesca. La Germania, cui è affidata la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, ha intrapreso i dialoghi con i due leader e grazie ad Angela Merkel si è trovato il compromesso con Polonia e Ungheria. È stato annunciato il 9 dicembre dal vicepremier polacco e prevede che nel caso in cui uno dei 27 non rispetti le clausole riguardanti lo Stato di diritto, prima dell’applicazione delle sanzioni, la vicenda dovrà essere giudicata dalla Corte di Giustizia Europea. In sostanza nel compromesso è stata concessa una maggiore garanzia di giustizia. Al Consiglio Europeo del 10 dicembre si è avuta la conferma: i 27 Stati membri hanno raggiunto l’accordo sull’approvazione del bilancio pluriennale e del piano di rilancio “Next Generation EU”. Per il via libera definitivo manca soltanto l’approvazione del Parlamento Europeo, nel frattempo dalle loro prime dichiarazioni sia il Presidente del Consiglio, Charles Michel, sia la Presidente Ursula Von der Leyen si mostrano fiduciosi sulla ripresa europea.
Alessandra Fiorani
“The European Union flag in the European Parliament in Strasbourg” by European Parliament is licensed under CC BY-NC-ND