In 3 sorsi – L’ennesimo attacco terroristico a una petroliera ancorata nel porto di Jeddah evidenzia la vulnerabilitĂ delle infrastrutture critiche saudite nei pressi del confine yemenita, a causa di un conflitto con i ribelli houthi ancora in corso. Jeddah è solo uno dei vari centri nevralgici che si affacciano sul Mar Rosso, un mare sempre piĂą affollato per la compresenza di piĂą potenze economiche nell’area.
1. GLI HOUTHI COLPISCONO ANCORA?
Alle prime luci dell’alba dello scorso 14 dicembre, nel porto di Jeddah un’imbarcazione di modeste dimensioni è stata lanciata contro la petroliera BW Rhine, di proprietĂ dell’azienda di Singapore Hafnia, causando un’esplosione e un conseguente danneggiamento della carena. La nave, sotto contratto della Saudi Arabian Oil Company, che proveniva dal porto saudita di Yanbu e trasportava piĂą di 60mila tonnellate di greggio, al momento dell’esplosione si trovava in rada (termine nautico che indica una zona prospiciente una struttura portuale in cui le imbarcazioni possono ancorare in attesa prima dell’ingresso in porto). Nessuno dei 22 membri dell’equipaggio è stato colpito e nonostante le AutoritĂ saudite riferiscano che una modestissima quantitĂ di petrolio possa essere fuoriuscita in mare, l’attacco non ha prodotto danni significativi. Nonostante non sia ancora stato rivendicato, l’evento è solo l’ultimo di una serie di attacchi terroristici perpetrati nei confronti di Riyadh. Infatti lo scorso 24 novembre, sempre a Jeddah, i ribelli houthi avevano bersagliato con un missile Quds-2 uno stabilimento della Saudi Aramco. E il giorno successivo un’altra petroliera venne colpita, questa volta nella cittĂ di Shuqaiq, piĂą vicina al confine con lo Yemen. La vulnerabilitĂ di questa zona della penisola saudita è proprio dovuta al “pantano” militare in cui Riyadh si trova, a causa di un conflitto il cui termine è purtroppo lontano.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – La moschea Shafei ad al-Balad, nella parte storica della cittĂ di Jeddah, Arabia Saudita
2. IL PORTO SAUDITA PER ECCELLENZA
Conosciuta in Medio Oriente come la “Sposa del Mar Rosso”, Jeddah è un importante centro commerciale nel Paese e tappa fondamentale per coloro i quali vogliono intraprendere l’hajj, il pellegrinaggio in uno dei luoghi sacri dell’Islam. Jeddah, infatti, si trova nell’area geografica denominata Hijaz, da sempre fulcro religioso e commerciale per il principale centro della penisola: La Mecca. In particolare è il suo porto, localizzato su vie di comunicazione marittime tra l’oriente e l’occidente, a rappresentare una punta di diamante per l’economia saudita, in quanto porta d’ingresso di circa il 65% delle importazioni di Riyadh. Inoltre è una delle basi, se non la piĂą importante, della multinazionale del petrolio e del gas saudita, la Saudi Aramco, grazie ai suoi terminal petroliferi e portuali che qui hanno sede e che hanno favorito l’aumento del transito giornaliero di barili di greggio verso Mar Mediterraneo, Stati Uniti e Asia: da 1,5 nel 2014, a 6,2 milioni nel 2019. Proprio la presenza a Jeddah della sesta multinazionale al mondo per introiti, quindi, è verosimilmente la causa di quanto successo pochi giorni fa.
3. UNA FUTURA ESCALATION?
Quello che ci si chiede è se questi episodi rimarranno isolati o se costituiscano elementi di una futura escalation nell’area del Mar Rosso. Si tratta di una zona fortemente contesa da un punto di vista geo-strategico, sia per la presenza di numerosi giacimenti petroliferi sottomarini, sia come porta d’ingresso al Mar Mediterraneo. La sponda orientale dello stretto di Bab el-Mandeb è controllata dai ribelli yemeniti houthi, mentre sulla sponda occidentale, a Gibuti, i cinesi presenziano la loro prima base militare fuori dalla madrepatria. Port Sudan, oltre a permettere all’economia sudanese di avere voce in capitolo tramite i suoi terminal petroliferi, ospiterĂ prossimamente anche la prima base nave russa dai tempi dell’Unione Sovietica. Oltre all’Arabia, all’Egitto e all’Eritrea, persino Israele e Giordania hanno accesso a queste acque, rispettivamente con le cittĂ di Eilat e Aqaba.
Gli atti di terrorismo diretti contro i centri nevralgici della zona rappresentano un rischio per la sicurezza e la stabilitĂ delle forniture energetiche non solo saudite, ma dell’economia globale. Non è dunque così scontato che questi eventi possano costituire l’inizio di una possibile escalation nell’area, data la sua importanza strategica per numerosi attori. La salvaguardia di questo mare rappresenta il comune denominatore dei Paesi coinvolti e a tal proposito sono state intraprese diverse iniziative. Un esempio è la formazione di un organo, fortemente voluto dall’Arabia Saudita, che si occupi della salvaguardia della sicurezza del Mar Rosso e del Golfo di Aden, includendo l’Egitto, la Giordania, l’Eritrea, lo Yemen, il Sudan, Gibuti e la Somalia, con l’obiettivo di aumentare la cooperazione tra questi Paesi riguardo alle minacce alla stabilitĂ e al commercio. Infine la risoluzione della questione yemenita risulta un elemento essenziale per ridurre la possibilitĂ che nuovi attacchi possano perpetrarsi e minare la stabilitĂ e l’economia dell’area.
Alessandro Manda
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