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Come si evade dalla poverty trap nell’Africa subsahariana?

In 3 Sorsi Comprendere il potenziale agricolo africano potrebbe raddoppiare se non triplicare la produzione del Continente. Per farlo bisogna sbloccare le poverty traps che soffocano le aree rurali attraverso investimenti e infrastrutture che permetterebbero a milioni di piccoli agricoltori dell’Africa subsahariana di avere accesso a un mercato agricolo produttivo e remunerante.

1. CAPIRE LA POVERTĂ€

Ma perché l’Africa subsahariana è sempre così povera? Perché dopo anni di ricerca e cooperazione allo sviluppo la situazione sembra non cambiare mai? E soprattutto, cosa significa povertà? Ebbene sì, i Paesi dell’Africa subsahariana continuano a ricoprire i primi posti nelle classifiche degli Stati più poveri del mondo nonostante la continua evoluzione della regione abbia portato a netti miglioramenti a livello di mortalità infantile e di partecipazione scolastica, nonché a un’incoraggiante (seppur timida) crescita economica. Nel 2019, però, il 40% degli abitanti della regione viveva ancora con meno di 1,90 dollari al giorno e il numero delle persone in condizioni di estrema povertà era in continuo aumento. Oggi la situazione, aggravata dallo scoppio della pandemia da Covid-19 e dall’inarrestabile crescita demografica, non suggerisce scenari futuri rassicuranti, considerando che entro il 2035 l’Africa subsahariana potrebbe ospitare 80 milioni di poveri in più. Per cogliere meglio certe dinamiche, è forse utile sottolineare due concetti chiave: crescita economica non significa necessariamente riduzione della povertà e povertà non significa esclusivamente manifestazione economica di un disagio.

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Fig. 1 – Una piantagione di tè nella regione di Keffa, in Etiopia

2. ZONE RURALI IN TRAPPOLA

La povertà è un fenomeno estremamente complesso e multidimensionale che può prendere in considerazione variabili differenti a seconda dell’obiettivo di ricerca. Esistono la povertà assoluta e la povertà relativa, la povertà estrema, che è diversa da quella strutturale, la povertà urbana e quella rurale, quella situazionale e quella generazionale. In qualsiasi modo la si descriva, rimane un terreno piuttosto scivoloso. Tuttavia, parlando di Africa subsahariana, è certo che il concetto di povertà sia legato indissolubilmente ad altri due universi: quello dell’alimentazione e quello della salute. Si chiama “poverty trap”, ovvero un qualsiasi meccanismo autorigenerante che renda la povertà persistente. In questo caso la poverty trap più nota è quella che unisce gravi livelli di povertà a malnutrizione e cattiva salute, tre condizioni che si alimentano a vicenda. Bassi guadagni e una non equa distribuzione del reddito sono fra le prime cause di malnutrizione, a sua volta la principale portatrice di malattie e mortalità. L’aggravarsi dello stato di salute degli individui ne riduce la produttività, con scarsi guadagni e indebitamenti che daranno nuovamente inizio al ciclo di povertà. Da non dimenticare sono anche i presupposti di partenza: le trappole nascono principalmente nelle zone rurali, dove si concentra la parte di popolazione più vulnerabile. Questo implica mancanza di infrastrutture adeguate, scarsità di igiene e pochi ospedali dal personale non specializzato. Come anticipato, la povertà non è cosa semplice.

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Fig. 2 – Un tecnico mostra un drone per il controllo di un campo di mais ibrido resistente alla siccitĂ  nella Chiredzi Research Station, in Zimbabwe

3. CODICI DI EVASIONE

Ancora una volta la soluzione è offerta dall’alleata di sempre: la terra e, con lei, l’agricoltura. La popolazione dell’Africa subsahariana è composta per più del 60% da piccoli agricoltori e il 23% del PIL della regione proviene dal settore dell’agricoltura. Le aree rurali hanno un vasto potenziale di crescita economica legato alla produzione alimentare e ai settori connessi, tanto che, se questi venissero del tutto sviluppati, l’Africa potrebbe aggiungere all’attuale quantità di cereali prodotta a livello globale circa 2,6 miliardi di tonnellate, un ulteriore 20%. Simili risultati riguarderebbero anche l’allevamento e l’orticoltura. Il limite primario rimane la bassa produttività dell’agricoltura di sussistenza ed è per questo che aumentare la produttività del lavoro, dei campi, degli allevamenti e, più in generale, di tutte le potenziali fonti di reddito di cui dispongono i più poveri dovrebbe essere alla base di qualsiasi strategia atta a interrompere il circolo vizioso delle poverty trap. Per accumulare risorse produttive, gli investimenti risultano essenziali: concretamente, oltre a infrastrutture adeguate, l’Africa subsahariana avrebbe bisogno di otto volte il fertilizzante utilizzato, di sei volte le sementi di qualità piantate, di almeno 8 miliardi di dollari per lo stoccaggio di base e di circa 65 miliardi di dollari per l’irrigazione di tutti i campi. Numeri sui quali converrebbe riflettere alla luce dei risultati stimati. Le compagnie potrebbero sfruttare la varietà di caratteristiche della regione, scegliendo in quali Paesi e su quali attività investire, stabilendo la priorità delle aree in cui intervenire. Aumentare il coinvolgimento degli agricoltori, riorganizzarne le attività a seconda delle peculiarità del territorio (da monocolture a più coltivazioni e viceversa) e comprendere le preferenze e il comportamento dei consumatori locali per indirizzare la produzione e la domanda sono solo i primi passi da eseguire per iniziare a cogliere l’opportunità che l’agricoltura africana ci (e si) sta offrendo.

Francesca Carlotta Brusa

FMSC Distribution Partner – City of Dreams” by Feed My Starving Children (FMSC) is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • Nonostante l’Africa subsahariana di oggi non sia piĂą quella degli anni Novanta, continua a preoccupare l’elevata quantitĂ  di poveri presenti nella regione.
  • Le zone rurali subsahariane sono il ventre all’interno del quale si sviluppano le “poverty traps”, meccanismi fortemente minanti il progresso di queste aree.
  • Allo stesso tempo, le zone rurali fungono anche da risposta al problema: se sviluppate, porterebbero alla totale espressione del potenziale africano.

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Francesca Carlotta Brusa
Francesca Carlotta Brusa

Francesca Carlotta Brusa, 27 anni, da Imola, Emilia-Romagna. Laureata in Relazioni Internazionali alla LUISS Guido Carli a Roma, curiosa lettrice di geopolitica e appassionata di tematiche riguardanti la transizione sostenibile, la just resilience e il cambiamento climatico. Amante dell’Africa, del cibo, dei cani e delle passeggiate, ma anche di un sacco di altre cose, fra cui gli Avengers e i libri che si basano su fatti realmente accaduti.

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