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Abkhazia e Ossezia: quale futuro dopo la Crimea?

Il referendum in Crimea rischia di costituire un pericoloso precedente per le due regioni separatiste in Georgia. Può Bruxelles fare qualcosa per mantenere un ruolo di primo piano nella regione o Abkhazia e Ossezia finiranno per essere usate come grimaldello per riportare Tbilisi sotto l’orbita del Cremlino?

LA GUERRA DEL 2008 – Il drammatico evolversi della crisi in Crimea, conclusasi con l’annessione della penisola da parte della Russia a seguito di un referendum non riconosciuto come valido dalla comunitĂ  internazionale, ha di riflesso riportato al centro dell’attenzione i due conflitti congelati che ancora affliggono un altro Paese del vicinato orientale dell’Unione Europea, la Georgia.

Già sei anni fa Tbilisi si trovò a dover far fronte alle politiche sempre più assertive e aggressive di Mosca nei propri confronti, culminate infine in una vera e propria guerra combattutasi nell’agosto 2008 sul territorio del piccolo stato caucasico.

Il pretesto con il quale il Cremlino giustificò la propria azione militare fu, in maniera non dissimile da quanto avvenuto in Crimea, la tutela dei propri concittadini residenti in Abkhazia e Ossezia del Sud, due entità separatiste nate in seguito alla dissoluzione dell’URSS, praticamente mai sotto il controllo della Georgia indipendente.
Non sfugge che, in Ucraina oggi come in Georgia ieri, Vladimir Putin si sia mosso sentendo gli interessi nazionali russi minacciati dalla possibilità che due Stati confinanti procedessero verso l’integrazione nelle strutture euro-atlantiche. La guerra del 2008, oltre a segnare una battuta d’arresto nel cammino della Georgia verso la NATO, ebbe anche come conseguenza, meno nota, il riconoscimento unilaterale da parte di Mosca dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud come stati indipendenti e sovrani, adducendo a pretesto il controverso precedente kosovaro.

Dal punto di vista del Cremlino questa iniziativa rispondeva all’esigenza di poter disporre, in futuro, di un decisivo strumento di pressione nei confronti di Tbilisi, in maniera analoga a quanto potrebbe verificarsi attraverso una destabilizzazione dell’Ucraina Orientale, che minerebbe potenzialmente qualsiasi svolta verso ovest nella politica estera di Kiev.

IL RUOLO DELL’UE – Per le capitali occidentali, la prospettiva di accettare la nuova realtĂ  che si è venuta a creare sul terreno, riconoscendo a loro volta i nuovi Stati, è del tutto impraticabile al momento. Innanzitutto perchĂ© significherebbe giustificare implicitamente la pulizia etnica di cui è stata vittima la popolazione georgiana in quelle due regioni a seguito del conflitto.

Allo stesso tempo, la strategia adottata dall’Unione Europea, incentrata esclusivamente sul rispetto e la tutela dell’integrità territoriale georgiana, con solo timidi tentativi di cooperazione nei confronti delle entità autonome, si è rivelata nel complesso inadeguata per promuovere una pacifica risoluzione del conflitto. Anzi, a dirla tutta, non ha fatto altro che spingere sempre più i due Stati di fatto tra le braccia di Mosca, la quale ne finanzia gran parte del bilancio statale e da cui esse dipendono pressoché interamente dal punto di vista militare.

Sebbene tradizionalmente Abkhazia e Ossezia vengano considerate semplici burattini nelle mani della Russia, questa è tuttavia una visione troppo semplicistica della realtà. Mentre effettivamente l’Ossezia difficilmente potrebbe sopravvivere come stato indipendente, essendo praticamente disabitata e priva di qualsiasi potenziale economico, lo stesso non si può dire dell’Abkhazia. Lì è storicamente forte un sentimento di sincero nazionalismo indipendentista (mentre l’Ossezia auspica un’annessione alla Russia), ci sono risorse per una possibile crescita economica e persino le strutture istituzionali, malgrado anni d’isolamento, sono riuscite a svilupparsi in maniera abbastanza solida e relativamente democratica.

In aggiunta alla presenza russa, che scoraggia qualsiasi tipo di opzione militare, peraltro esclusa dalla nuova dirigenza a Tbilisi, più di vent’anni di scontri tra georgiani e abkhazi rendono assai fosche le prospettive per una risoluzione nel breve-medio periodo del conflitto.

L’obiettivo dell’Unione Europea è quello di lavorare con pazienza, a livello di società civile e soprattutto tramite ONG (per evitare problemi connessi alla definizione dello status giuridico delle entità), per creare un clima di maggior fiducia, finanziando piccole attività e offrendo sostegno attraverso iniziative di carattere prevalentemente umanitario.

georgia map

UN FUTURO INCERTO – Il giĂ  ridotto impegno di Bruxelles rischia però di rivelarsi presto vano. Gli esiti della crisi in Crimea potrebbero, infatti, condurre verso scenari analoghi in Ossezia. Non sorprenderebbe l’annuncio, a breve, di un referendum sull’annessione alla Russia.

In Abkhazia questa possibilità è più remota. Innanzitutto, a causa della già ricordata fiera volontà indipendentista della popolazione che, per quanto grata a Mosca, mal digerisce la progressiva dipendenza e subalternità nei suoi confronti. In seconda battuta perché la Russia potrebbe aver interesse a usare la regione come strumento di ricatto verso Tbilisi in un secondo momento. Proviamo a immaginare cosa succederebbe se, cosa nient’affatto improbabile, al vertice NATO di settembre la Georgia dovesse nuovamente veder frustrate le sue speranze di ricevere il Membership Action Plan e, contestualmente, non fosse offerta da Bruxelles nessuna prospettiva di adesione certa nell’UE. Putin, forte dell’influenza di cui dispone nei confronti dell’Abkhazia, potrebbe allora farsi promotore di un reale piano di pace, che fino ad oggi non ha avuto alcun interesse a facilitare, contemplante una qualche forma di riunificazione in cambio del definitivo abbandono georgiano di una politica filo-occidentale, con l’adesione all’Unione Doganale da lui ideata. L’unità territoriale è forse il tema che più sta a cuore alla società civile georgiana. Come reagirebbe un’élite politica delusa dei temporeggiamenti euro-americani di fronte a una prospettiva così allettante?

QUALI OPZIONI? – Il tempo stringe e lo spazio di manovra per Bruxelles è assai ridotto. L’unica maniera, però, per non lasciare a Mosca le redini del gioco è aumentare, nei limiti del possibile e attraverso le formule adeguate, l’impegno politico ed economico nei confronti, quantomeno, dell’Abkhazia. L’idea che bastasse lavorare su uno solo degli attori in campo, la Georgia, facendone uno stato democratico ed economicamente florido per aumentarne l’attrattiva rispetto alle entitĂ  separatiste e favorire così la reintegrazione, si è dimostrata decisamente ingenua. Solo disponendo di strumenti di pressione e, soprattutto, di incentivi, anche nei confronti degli Stati di fatto sarĂ  possibile gestire una mediazione realmente proficua. Ignorarli, trattandoli come piccoli buchi neri sulle mappe geografiche, significa abdicare a qualsiasi ruolo nella regione, lasciando campo libero alla Russia.

Pietro Eynard

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Pietro Eynard
Pietro Eynard

Laureando in relazioni internazionali presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. La passione per il viaggio, nonché la necessità di imparare finalmente a cucinare da solo, mi hanno condotto a vivere diverse esperienze di studio all’estero. Ho trascorso un semestre presso l’Ecole Normale di Lione, uno presso l’Università di Utrecht e ho frequentato corsi alla London School of Economics. Recentemente ho svolto uno stage all’Ambasciata italiana in Georgia, dove mi sono scoperto innamorato della politica post-sovietica in generale e di quella caucasica in particolare.

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