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I conflitti idrici e la tutela dei diritti umani

Miscela Strategica – Secondo il parere degli esperti, l’iniqua distribuzione delle risorse idriche sarĂ  una delle principali cause di conflitto armato in ambito regionale. Il deficit piĂą acuto in termini di accesso alle risorse idriche è localizzato in alcune aree geografiche quali in Medio Oriente, Cina, India, Africa centrale ed orientale ed infine, Asia centrale

L’ACCESSO ALL’ACQUA COME DIRITTO – Il problema non è soltanto di approvvigionamento di risorse alimentari connesse alla disponibilitĂ  di risorse idriche, ma anche alla produzione industriale e, per estensione, a quella energetica. La disponibilitĂ  e l’accesso alle risorse idriche porta a considerare anche un’altra dimensione, quella dei diritti umani in relazione all’ambiente.

Nella Carta ONU del 1945 e nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU, 1950) non vi è relazione fra il godimento dei diritti umani in relazione al connotato ambientale. Una prima affermazione risale alla Conferenza di Stoccolma (1972), in cui venne adottata una dichiarazione di principi sulla base dell’affermazione che l’ambiente umano e naturale possano costituire una premessa necessaria al godimento stesso dei diritti umani. Ripreso nella Dichiarazione dell’Aja sull’ambiente (1989), il binomio  fra ambiente e godimento dei diritti umani ha iniziato a farsi strada nei dibattiti internazionali ed è stato recentemente affermato grazie al contributo del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani (United Nations Human Rights Council) che ha adottato alcune risoluzioni in materia.  In particolare, risulta meritevole di attenzione la Risoluzione 7/23 del marzo 2008 che ha riconosciuto le “implicazioni dell’ambiente nel godimento pieno e libero dei diritti umani” ed ha facilitato il dibattito in merito alla cosidetta “terza generazione di diritti umani”. Questi diritti, a differenza dei diritti umani “classici” inerenti agli obblighi ed alle facoltĂ  legate all’azione di governo – facere – oppure alla sua astensione – non facere – si pongono come diritti di solidarietĂ . Essi attengono alla collettivitĂ  e pertanto si riferiscono all’autodeterminazione dei popoli, al controllo delle risorse nazionali ed alla difesa ambientale.

In questo contesto, figura di grande rilievo il problema dell’accesso alle risorse idriche che si pone come simbolico sia rispetto ai diritti umani che rispetto agli asset energetici. Le Nazioni Unite hanno condotto un imponente lavoro ai fini dello sviluppo e del riconoscimento della dimensione internazionale del problema. A questo proposito è rilevante considerare il testo della Risoluzione che per la prima volta nel 2010 ha riconosciuto  l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari come diritti umani fondamentali. Il testo della risoluzione è stato accolto con grande soddisfazione in quanto costituisce un passo decisivo per affrontare il problema della scarsitĂ  delle risorse idriche e per svincolare l’acqua dalle logiche del mercato.

La diga di Rogun, al centro della disputa tra Uzbekistan e Tajikistan.
La diga di Rogun, al centro della disputa tra Uzbekistan e Tajikistan.

L’ESEMPIO DELL’ASIA CENTRALE – Di interesse risulta la tensione in Asia Centrale, che si è sviluppata attorno alla disputa tra Uzbekistan e Tajikistan per la costruzione della diga di Rogun ed a  causa del fiume Vahsh, un affluente dell’Amu Darya.  Nello specifico, l’oggetto del contendere fra i due Paesi si pone a proposito della costruzione della centrale elettrica di Rogun da parte del governo tagiko. La presenza della diga di notevoli proporzioni potrebbe compromettere, riducendone la capacitĂ , l’affluente dell’Amu Darya e causare conseguentemente un pregiudizio economico all’Uzbekistan.

Il progetto della diga di Rogun è davvero molto ambizioso e risale ad un piano sovietico del 1960 concepito per ridurre la scarsità di risorse idriche nella regione e far fronte ad i problemi di approvvigionamento. I lavori iniziarono nel 1976 e si protrassero fino al 1991, anno del crollo dell’Unione Sovietica. La costruzione della diga venne sospesa fino al 2010, quando il Presidente Rahmon decise di continuare i lavori.  L’iniziativa però trovò forte opposizione da parte del governo dell’Uzbekistan.

Il conflitto fra Uzbekistan e Tajikistan non si presenta come questione  puramente transfrontaliera, ma è tale da compromette l’equilibrio dell’intera regione e contrappone di fatto uno Stato come il Tajikistan, povero economicamente, ma ricco di risorse idriche e l’emergente Stato del’Uzbekistan, la cui crescita economica si basa non solo sulle risorse petrolifere, ma anche sullo sfruttamento della risorsa idrica a fini agricoli e produttivi.

Una volta indipendenti, i due Stati hanno per la prima volta sperimentato le implicazioni dell’esercizio della sovranità sulle proprie risorse. Tuttavia, la presenza in entrambi i casi, di sistemi statali embrionali, di identità nazionali poco sviluppate ed ancora culturalmente dipendenti dalla Russia ha reso il problema della gestione dell’acqua molto problematico.

IL RUOLO DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI – Nel 2013, in occasione dell’evento internazionale di cooperazione in materia di acqua organizzato sotto gli auspici delle Nazioni Unite, è stata discussa l’importanza dell’accesso all’acqua come fattore di sviluppo economico, miglioramento delle condizioni di salute ed eliminazione della povertĂ  e della fame riconoscendo il duplice aspetto universale e nel caso specifico, regionale, dell’accesso alle risorse idriche.

Il problema tuttavia non sembra essere di facile soluzione ed anche l’intervento delle Nazioni Unite ,benchĂ© auspicabile,non appare risolutivo. Efficaci sono invece gli interventi di tipo progettuale che avvengono a livello regionale soprattutto quando condotti e coordinati a livello di agenzie specializzate delle nazioni unite. Essi sono l’esempio di un buon livello di cooperazione regionale che coinvolge settore pubblico e privato nella condivisione della gestione delle risorse idriche e della distribuzione sul territorio.

Emanuela Sardellitti

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Emanuela Sardellitti
Emanuela Sardellitti

Sono laureata in Scienze Politiche, indirizzo politico internazionale, ho conseguito varie specializzazioni in tema diritto internazionale e diplomatico e gestione delle risorse energetiche presso la SIOI, l’UniversitĂ  degli Studi di Roma Tre e l’UNEP. Lavoro come policy advisor presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, mi occupo di affari regolatori e politiche di natura ambientale. Sono parte delle delegazioni italiane per i negoziati sui cambiamenti climatici e le sostanze ozono lesive in ambito Nazioni Unite. Dal 2005, ho intrapreso varie collaborazioni con riviste come Equilibri, “Asia Times”,  Power and Interest News Report su temi legati alla sicurezza o con editoriali specialistici come Quotidiano Energia sulle dinamiche energetiche.

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