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Una miccia pronta all’innesco?

Il 6 maggio 2011 il Primo Ministro thailandese Abhisit Vejjajiva ha presentato alla Corte Reale il testo del provvedimento con il quale si scioglie il Parlamento e si indicono nuove elezioni per il prossimo luglio. Si tratta di una tornata elettorale di importanza cruciale per la stabilità del paese più ricco e democratico del sud-est asiatico, che attualmente rischia di scivolare in una guerra civile o nelle mani di un regime militare, con la probabilità che nella sua caduta trascini con sé anche gli altri paesi della regione.

LE RADICI DELL’ATTUALE INSTABILITA’ POLITICA: Con l’ascesa al potere della controversa figura di Thaksin Shinawatra, che vinse con la maggioranza assoluta dei voti le tornate elettorali del 2001 e del 2005, ha inizio il lungo periodo di destabilizzazione politica della Thailandia. Ex colonnello di polizia, Thaksin si dedicò all’imprenditoria investendo prima nel settore informatico e in seguito in quello della telefonia, diventando il proprietario della maggiore compagnia telefonica del sud-est asiatico. Dopo la crisi finanziaria del 1997, le sue ambizioni politiche lo portarono a fondare il partito Thai rak Thai (Thailandesi per la Thailandia) col quale vinse per due volte consecutive le elezioni.

Adottò fin dall’inizio una politica populista che garantiva alcune misure concrete a sostegno dello stato sociale, ma allo stesso tempo la politica anti-aristocratica e gli scandali legati alla vendita della sua compagnia telefonica ad un fondo sovrano di Singapore – avvenuta attraverso società estere per evitare il pagamento delle tasse – diedero vita ad una serie di proteste capeggiate da un movimento ultramonarchico anti-Thaksin, chiamato yellow shirts (dal colore delle maglie indossate dai manifestanti in segno di rispetto per il sovrano) le quali accusavano il Primo Ministro di corruzione, nepotismo e abuso di potere.

GLI AVVENIMENTI DEL BIENNIO 2006-2008: Nel 2006 l’esercito, organizzò un colpo di stato, il primo dopo quindici anni, mentre Thaksin si trovava a New York impegnato al vertice dell’Assemblea Generale dell’ONU, giustificandolo come la necessaria risposta alla corruzione del governo. Nel dicembre del 2007 vennero indette nuove elezioni. Il nuovo partito fondato dai fedeli di Thaksin, il People's Power Party, vinse ancora una volta le elezioni confermando il sostegno popolare all’ex Premier, ma le nuove proteste delle yellow shirts organizzate dal PAD (People’s Alliance for Democracy) e l’apertura dei casi giudiziari nei confronti del Premier obbligarono il governo alle dimissioni e lo stesso Shinawatra all’esilio definitivo. Alla fine del 2008, peraltro, una parte dei suoi sostenitori si alleò con il PAD (espressione dell’elite di Bangkok, dell’aristocrazia e quindi ben visto dalla casa reale) permettendo la vittoria elettorale dei democratici e l’ascesa al potere dell’attuale Premier Abhisit Vejjajiva.

IL GOVERNO DI ABHISIT VEJJAJIVA: Il nuovo governo ha senz’altro acquisito una certa popolarità tra i thailandesi, ma fondamentalmente è rimasto un partito d’élite radicato soprattutto nella capitale. Per questo, nonostante l’avvicendamento politico, i thaksiniani non hanno mai smesso di essere una spina nel fianco per il nuovo governo. Hanno dato vita ad un nuovo partito l’UDD (Union for Democracy against Dictatorship) affiancato da un movimento di protesta molto forte chiamato red shirts (in contrapposizione a quello delle yellow shirts) che ha contribuito non poco a rendere ancora più instabile la scena politica thailandese. Gli eventi più gravi si sono verificati tra aprile e marzo del 2010. Veri e propri scontri di piazza tra i manifestanti e l’esercito hanno causato la morte di 91 persone e più di un migliaio di feriti. Le red shirts hanno chiesto le dimissioni del Primo Ministro, che reputano abbia assunto il potere in modo illegittimo, lo scioglimento del Parlamento e l’indizione di nuove elezioni.

LE PROBLEMATICHE ATTUALI: Ad oggi i problemi sono tanti e di difficile soluzione. All’inizio dell’anno il Premier ha presentato un piano di riforma della Thailandia, chiamato “nove doni di Capodanno alla Thailandia”, descritto come un tentativo di accogliere le rivendicazioni politiche della popolazione, ma che in realtà ha il sapore di una mera emulazione della politica populista di Thaksin e di manifesto politico per le prossime elezioni. Abhisit aveva promesso da tempo lo scioglimento delle camere e l’indizione delle elezioni entro la prima metà dell’anno, rinunciando a portare a termine il proprio mandato per evitare l’esplodere di ulteriori proteste che potrebbero portare il paese sull’orlo di una guerra civile. Nonostante ciò il partito democratico sta cercando fortemente di assicurarsi la vittoria alle elezioni e ha già ottenuto in Parlamento la modifica della legge elettorale, nella speranza che il nuovo sistema gli garantisca l’acquisizione di un numero maggiore di seggi. Tuttavia, un problema ancora irrisolto per l’attuale Primo Ministro e il suo partito è la possibile opposizione dell’esercito all’indizione di nuove elezioni che potenzialmente potrebbe rivelarsi più pericolosa del ritorno di un governo di pro-Thaksin.

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UNA CRISI ARRIVATA AL MOMENTO GIUSTO: A tal proposito, non sono pochi a pensare che l’intensificarsi degli scontri che si stanno verificando lungo la frontiera con la Cambogia, a causa dell’irrisolta disputa territoriale sulle rovine dell’antico tempio khmer di Preah Vihear, assegnate nel 1962 alla Cambogia dalla Corte Internazionale di Giustizia, ma da sempre rivendicate dalla Thailandia, sia stato provocato ad arte dall’esercito proprio per far precipitare il paese in uno stato di crisi, attuare un altro golpe, rovesciare il governo, e annullare così le elezioni. L’attuale crisi di confine sembra infatti arrivata proprio al momento propizio. Alla fine dello scorso dicembre il provocatorio sconfinamento di sette nazionalisti thailandesi, arrestati poi dai militari cambogiani, ha dato all’esercito Thai il pretesto per mobilitare le truppe lungo il confine e al movimento delle yellow shirts di scendere in piazza per chiedere le dimissioni del Premier perché reputato troppo morbido nei confronti del governo cambogiano, e per opporsi alla manovra populista promossa dal governo.

I POSSIBILI SCENARI FUTURI: La situazione del paese, quindi, nonostante il Premier abbia confermato lo scioglimento del Parlamento e l’indizione di nuove elezioni entro il mese di luglio resta profondamente complessa e la tensione molto alta. Difficilmente il governo attualmente in carica sarà in grado di vincere le prossime elezioni. Una nuova vittoria di Abhsit, inoltre, verrebbe interpretata come una cospirazione da parte dei democratici e dei militari, e le red shirts  potrebbero nuovamente mobilitare la popolazione portando il paese alla guerra civile. D’altra parte, la discesa in campo dell’esercito prima delle elezioni o dopo la possibile vittoria del Pheu Thai potrebbe portare ad un colpo di stato militare trasformando la Thailandia  in una seconda Birmania retta da una gerarchia militare. Tali prospettive provocherebbero danni incalcolabili non solo alla stessa Thailandia, ma all’intero sud-est asiatico. Nel caso in cui una destabilizzazione di tal genere dovesse dilagare nei paesi vicini, che hanno una tradizione democratica meno radicata e pertanto meno stabile, si potrebbe scatenare una escalation e una decadenza politica ed economica in tutta la regione.

Anche l’Occidente, finora grande assente in questo drammatico scenario, potrebbe riportare conseguenze negative, venendo indebolito nella sua campagna a favore dei diritti umani e della democratizzazione nel mondo, se lasciasse scivolare un paese democratico ed economicamente fondamentale in una guerra civile o in regime militare che paralizzerebbero il paese limitando se non annullando le libertà individuali e gli scambi commerciali.

E’ senz’altro necessario trovare delle soluzioni intermedie tra le fazioni in lotta in modo che il vincitore non si trasformi “nell’asso piglia tutto” scatenando le ire delle controparti. Sarebbe auspicabile a questo proposito una mediazione da parte delle istituzioni internazionali preposte alla prevenzione e risoluzione dei conflitti che porti a una soluzione incruenta e alla stabilizzazione della Thailandia e dell’intera regione.

Marianna Piano

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