Miscela Strategica – L’Asia Centrale è una regione che a lungo è stata ignorata, considerata lontana e strategicamente poco importante, specie nei Paesi occidentali. Dopo l’11 settembre la concezione che si ha di quest’area del globo è cambiata. Ecco un approfondimento circa quelle che sono le principali sfide alla sicurezza che gli Stati della regione affrontano.
QUESTIONI ETNICHE – Uno dei principali obiettivi per la garanzia della sicurezza degli Stati è la coesione interna. Qualora la composizione etnica sia variegata, l’ottenimento di questo obiettivo è reso piĂą difficile, in particolar modo laddove l’appartenenza ad una data etnia è riconosciuto come possibile tema discriminante. E’ questo il caso dell’Asia Centrale, dove i 5 Stati che compongono la regione (Kazakhstan, Uzbekistan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Turkmenistan) hanno al proprio interno numerose comunitĂ di etnici dei Paesi vicini. Il pericolo è che tali minoranze assumano tendenze autonomiste se non apertamente separatiste ai danni dei Paesi di appartenenza. Gli Uzbeki sono i piĂą numerosi nella regione, con una popolazione che supera di diversi milioni quella delle altre etnie, e vi è il potenziale rischio (mai realmente concretizzatosi sinora) che, rafforzate dai propri numeri e concentrazione, le loro comunitĂ diventino un pericolo per l’integritĂ di Stati quali il Kyrgyzstan ed il Tajikistan. E’ infatti in questi ultimi Paesi che le minoranze uzbeke sono piĂą numerose e si concentrano in particolare nella Valle di Fergana, divisa tra Tashkent, Bishkek e Dushanbe. Il peggioramento, negli ultimi anni, della situazione economica e sociale in Asia Centrale ha però portato ad allarmanti manifestazioni di una frattura su basi etniche nei sistemi sociali della regione. Nel giugno del 2010, per citare il caso piĂą rilevante, si verificò ad Osh (Kyrgyzstan) un violentissimo scontro tra Uzbeki e Kyrgyzi che portò alla morte di piĂą di 420 persone. Le locali classi dirigenti si dimostrano incapaci di formulare le giuste risposte alle rivendicazioni delle minoranze oppure non sono disposte a perseguirle. Il metodo con il quale reagiscono è una sempre maggiore repressione (brutale) invece che l’apertura alle istanze, fomentando ulteriormente le rivalitĂ tramite una narrativa nazionalista. Ma questa soluzione non porta ad altro che ad un circolo vizioso di irrigidimento da ambo le parti, con la conseguenza che numerosi individui guardano con disincanto alla possibilitĂ di miglioramento della propria condizione. Lo status quo non viene piĂą considerato e i gruppi etnici si predispongono ad una situazione di calma apparente oppure iniziano un percorso di avvicinamento all’islamismo militante, alla ricerca di una soluzione ideale anche per mezzo della lotta armata. Va però tenuto in considerazione che il suddetto peggioramento economico e sociale ha un impatto non solo interetnico, ma anche all’interno delle stesse etnie, con la differenza che sono soprattutto gli Uzbeki ed in misura minore i Tajiki ad essere sensibili alla deriva islamista, mentre soprattutto nel caso kyrgyzo la popolazione è incline alla protesta verso il regime (come dimostrano le deposizioni dei presidenti Akaev nel 2005 e Bakiev nel 2010).
LA MINACCIA ISLAMISTA – L’attività di soggetti islamisti in Asia Centrale può essere rilevata già a partire dagli anni ’90, durante la guerra civile tagika (1992 -1997), ma specie nelle azioni del gruppo Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU), soggetto legato ad Al-Qaeda e che agì più volte tra le repubbliche uzbeka, kyrgyza e tajika, suscitando una violenta reazione da parte dei tre governi e venendo quasi del tutto eliminato. Le pratiche repressive estremamente feroci ed indiscriminate (spesso civili innocenti sono rimasti coinvolti in vario modo nelle operazioni di antiterrorismo) hanno indubbiamente portato a diversi successi, costringendo i gruppi all’allontanamento dalle proprie basi nella regione o a nascondersi limitando le proprie azioni. Tuttavia questi stessi metodi, uniti ai già menzionati effetti della crisi socio-economica, hanno indotto sempre più persone (specie, di nuovo, tra gli Uzbeki) a simpatizzare per l’islamismo e gli ambienti radicali. Il gruppo che beneficia maggiormente della radicalizzazione in atto è probabilmente Hizb ut-Tahrir (Partito della Liberazione). Si tratta di un’organizzazione diffusa in larga parte del mondo musulmano e che ufficialmente rinuncia alla violenza. E’ sospettata di essere quantomeno coinvolta in operazioni di finanziamento di attività terroristiche e si ritiene che, anche qualora fosse realmente estranea al metodo violento, tramite l’insegnamento dell’islam che impartisce ai propri membri avvii questi all’adesione a gruppi che praticano la lotta armata, come ad esempio l’IMU o Jund al-Khilafa (Soldati del Califfato, gruppo emerso nel 2011). Dal 2001 e dall’inizio della guerra in Afghanistan le attenzioni degli Stati coinvolti nella “war on terror” si sono rivolte anche a questa regione. Diversi gruppi islamisti dell’Asia Centrale hanno cominciato ad operare in Afghanistan (l’IMU, ad esempio) e gli Stati Uniti, nonché Russia e Cina, hanno voluto aiutare i 5 Stati regionali a rispondere al fenomeno e consolidare i regimi di fronte alla minaccia islamica. Ciò ha avuto luogo con la fornitura di equipaggiamento, lo scambio di informazioni tra i servizi di intelligence e lo svolgimento di esercitazioni comuni. Una delle maggiori iniziative in tal senso è l’istituzione (avvenuta a Tashkent nel 2003 nell’ambito della Shanghai Cooperation Organization) del RATS (Regional Anti-Terrorist Structure), centro il cui scopo è la condivisione di informazioni tra Paesi su ogni attore, di rilevanza regionale, nazionale o locale, che rappresenti una minaccia alla sicurezza nell’area della SCO.
TRAFFICO INTERNAZIONALE – Un fenomeno che crea problemi alla sicurezza degli Stati della regione è il fiorente narcotraffico. Oltre che per il consumo delle droghe da parte della popolazione, secondo diversi esperti il commercio di questi prodotti è un’importantissima fonte di introito per le organizzazioni islamiste. Queste ultime hanno sviluppato forti legami con l’ambiente criminale, utilizzando i proventi del narcotraffico (specie quelli provenienti dagli oppiacei prodotti localmente, ma soprattutto in Afghanistan) per il proprio finanziamento. Sfruttando la posizione di Tajikistan, Turkmenistan ed Uzbekistan e la porosità dei confini, il traffico internazionale di stupefacenti transita attraverso gli Stati dell’Asia Centrale per dirigersi poi verso i mercati europeo e russo. Le autorità sono generalmente impegnate nella lotta al fenomeno, ma sono diversi i casi di funzionari, specie a livello locale, collusi con i trafficanti e ciò, sommato alla scarsa sorveglianza dei confini, rende estremamente difficile trovare una soluzione al problema.
LE RISORSE IDRICHE – Un’ulteriore fonte di minaccia alla sicurezza nella regione è legata alle risorse idriche. Si sono sviluppate forti tensioni nei rapporti tra le capitali per via della (mala)gestione dell’acqua e dei problemi connessi. In particolare, è il rapporto tra gli Stati a monte e quelli a valle dei fiumi ad essere causa di insicurezza. I corsi d’acqua più interessati dalla questione sono l’Amu Darya, che porta all’interazione Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, ed il Syr Darya, che costringe Kyrgyzstan, Uzbekistan, Tajikistan e Kazakhstan a relazionarsi. Le dinamiche che inducono allo scontro sono legate alle necessità di produzione di energia per i Paesi del tratto superiore dei fiumi (Kyrgyzstan e Tajikistan, poveri di gas e petrolio, ma con un grande potenziale per l’idroelettrico) e alle esigenze per l’agricoltura dei territori a valle (appartenenti a Stati ricchi di gas e petrolio e che non necessitano dunque dell’idroelettrico, vale a dire Kazakhstan, Uzbekistan e Turkmenistan). Nello specifico della situazione del Syr Darya, dopo il collasso dell’Unione Sovietica gli Stati ricchi di risorse energetiche pagavano con forniture elettriche il Kyrgyzstan per quote di acqua che lasciava fluire verso valle senza che questa fosse utilizzata per la produzione di elettricità (destinata al consumo interno). Nel corso inferiore è necessario un grande afflusso per via delle coltivazioni nella Valle di Fergana. Ma spesso le forniture verso il Kyrgyzstan sono state interrotte dopo che queste furono slegate dalle quote di acqua e condizionate invece al pagamento in denaro, che per via del dissesto finanziario di Bishkek non è facilmente eseguibile. Come reazione il governo kyrgyzo blocca le forniture d’acqua, generando così un danno agli agricoltori e producendo lo stallo. Dinamiche legate alle necessità dell’agricoltura si verificano anche per quanto riguarda l’Amu Darya, dove negli ultimi tempi si registrano tensioni per via della vicenda della diga di Rogun. Nonostante le tensioni tra Stati collegate alle questione idrica, non sono ipotizzabili conflitti interstatali nel breve termine. Sono numerosi però i casi di comunità frontaliere che attuano azioni violente per risolvere i problemi di irrigazione delle proprie attività agricole (numerosi i casi di scontro tra agricoltori tajiki e kyrgyzi). La mala gestione delle risorse è una minaccia anche sotto un altro punto di vista: essa provoca numerosi danni all’ambiente e inficia la sostenibilità dell’agricoltura nell’area. La costruzione errata di infrastrutture come dighe e canali sta portando al progressivo inaridimento dei territori e ad un inquinamento massiccio dovuto ai residui dei prodotti chimici utilizzati dagli agricoltori, che non vengono più trascinati via dai fiumi. Effetti macroscopici e ben visibili dell’attuale gestione sono quelli che affliggono il lago d’Aral, ormai quasi prosciugato.
Matteo Zerini
Mappa dell’Asia Centrale, Credits: United Nations, Department of Field Support, Cartographic Section