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“Stretto” equilibrio

La settimana scorsa gli Stati Uniti hanno annunciato un accordo per l’ammodernamento dei 145 jet F-16 A/B della flotta aerea di Taipei, provocando, come al solito, le reazioni di Pechino. L’ultima volta è stata nel gennaio 2010, quando sono stati venduti armamenti per 6,4 miliardi di dollari. A distanza di un anno e mezzo si sta giocando un nuovo episodio nel gioco delle parti tra Washington e Pechino. Ecco perché la questione dello stretto di Taiwan resta così importante per entrambi i due attori coinvolti, e cosa ci dobbiamo aspettare per i prossimi mesi

LA PROTEZIONE DI TAIWAN – La vendita di armi all’isola di Taiwan da parte degli Stati Uniti va avanti fin dal 1979, quando gli Usa decisero di allacciare le relazioni diplomatiche con Pechino, interrompendo quelle con Taipei. In seguito a questa decisione strategica, il congresso Usa approvò il Taiwan Relations Act, in base al quale gli Stati Uniti si impegnarono a fornire armamenti a Taiwan al fine “di garantire una sufficiente capacità di auto-difesa".

La mossa americana della scorsa settimana è in linea con gli obblighi previsti dal Taiwan Relations Act il quale, nelle parole di Ileana Ros-Lehtinen (capo della House Foreign Affairs Committee), continua a rappresentare “la linea guida per la politica estera americana nella regione.” La scelta dell’Amministrazione Obama di non andare oltre l’aggiornamento delle tecnologie installate sugli F-16 A/B, ha sollevato varie polemiche negli Usa. Obama è accusato, soprattutto da parte repubblicana, ancora una volta di essere troppo debole nei confronti del gigante cinese e di aver fatto uno sgarbo all’alleato asiatico (Taiwan ha più volte richiesto negli ultimi mesi l’acquisto dei più moderni F-16 C/D).

Dal canto suo, l’Amministrazione Obama ha difeso la propria scelta sostenendo che l’ammodernamento è sufficiente per soddisfare le esigenze di autodifesa di Taiwan, tenendo aperta la porta per la vendita degli F-16 C/D. Nelle motivazioni dell’Amministrazione ci sarebbe l’intenzione di evitare reazioni aspre da parte di Pechino per non far precipitare le relazioni sino-statunitensi ai livelli minimi del 2010, quando la Cina sospese le esercitazioni congiunte con l’esercito americano. Per il momento, la reazione dall’altra parte dell’Oceano Pacifico c’è stata, senza superare il livello di guardia.

PERCHE’ LA CINA (RI)VUOLE TAIWAN – La questione della vendita di armi a Taiwan è potenzialmente la più pericolosa nella relazione sino-americana. Pechino la considera come un’intrusione nei propri affari interni e una violazione della propria sovranità. Gli Stati Uniti sono inoltre accusati di non rispettare il Joint Communiqué firmato nel 1982, con il quale Washington si impegnava a ridurre gradualmente la vendita di forniture militari.

Dal canto suo Pechino, ha tra i principali obiettivi della sua politica estera (se non il principale), la riunificazione di Taiwan alla Cina continentale – da quando, nel 1949, l’isola ha ospitato il governo della Repubblica di Cina, del suo fondatore Chiang Kai-shek a capo del Kuomintang. La questione, nella Cina continentale, muove forti sentimenti nazionalistici: l’effettiva riunificazione rappresenta l’ultimo ostacolo per il superamento del legame con il “secolo dell’umiliazione”.

Tutto ciò che vada al di là del principio “un paese, due sistemi” potrebbe provocare una guerra, come, ad esempio, una dichiarazione di indipendenza da parte di Taiwan.    

PERCHE’ AGLI USA INTERESSA TAIWAN – L’alleanza con Taipei ha le sue radici nella guerra civile cinese tra le forze comuniste di Mao Tse-tung e quelle nazionaliste di Chiang Kai-shek (quest’ultime sostenute dagli americani); e, poi, durante la Guerra Fredda nella lotta al contenimento del comunismo da parte dell’Occidente. Taiwan è perciò un alleato storico degli Stati Uniti, facente parte tuttora del suo sistema di sicurezza in Asia dell’Est. Abbandonarlo sarebbe troppo costoso in termini di immagine per la potenza americana, che verrebbe vista come incapace di difendere i propri alleati, con forti conseguenze per gl’altri paesi dell’Asia Orientale che fanno affidamento sulla protezione americana. Inoltre, in chiave strategica e di sicurezza, sarebbe una mossa che servirebbe su un piatto d’argento alla Cina, la sensazione che gli Usa si stiano indebolendo e disimpegnando dall’area, con effetti non facilmente prevedibili. Ecco perché la decisione di Obama ha sollevato così tante polemiche.   

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PROSPETTIVE: DUE FUTURE ELEZIONI + UNA – L’elezione del Presidente Ma Ying-jeou nel 2008, ha sicuramente portato a una distensione delle relazioni con la RPC, stabilizzando le relazioni triangolari tra la Cina, Taiwan e gli Usa. Da allora, molti sono stati gli incontri bilaterali di alte figure governative. Nel giugno del 2010 si è giunti persino alla firma di un importante accordo commerciale tra Pechino e Taipei.

Tuttavia la situazione potrebbe cambiare. Nel 2012, sia il Presidente taiwanese Ma Ying-jeou (in gennaio) sia quello americano Obama (in novembre), verranno rieletti o saranno “bocciati” dai propri elettori; mentre in Cina il passaggio di consegne da Hu Jintao a Xi Jinping verrà formalizzato tra la fine del 2012 e la primavera del 2013.

Per gli equilibri nello stretto di Taiwan, probabilmente l’elezione di Taiwan è la più importante. Elezione che si giocherà in gran parte su tematiche di politica estera. La vittoria della candidata all’opposizione, Tsai Ing-wen del DPP (Democratic Progressive Party), potrebbe portare a un serio deterioramento delle relazioni tra le due sponde dello stretto di Taiwan. Se il trend che vede Ma Ying-jeou perdere consenso nella sua politica dei rapporti con la Cina dovesse continuare, la vittoria elettorale di Tsai Ing-wen potrebbe essere più che una probabilità, ciononostante la Cina sostenga la continuità dell’attuale governo.

Se nel frattempo le due superpotenze possono continuare con il loro gioco delle parti – più volte visto in passato – nel lungo periodo la questione della vendita di armamenti a Taiwan da parte degli Stati Uniti, pone serie preoccupazioni sul futuro delle relazioni sino-americane.

Marco Spinello [email protected]

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