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Un gran Putinaio (2)

Seconda parte del nostro viaggio in Russia, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali. È scontato il ritorno di Vladimir Putin al Cremlino, che dovrebbe poter governare per altri dieci anni almeno. In questo articolo vi proponiamo alcune riflessioni sullo stato della democrazia e dell’economia nell’enorme Paese euroasiatico, dopo dieci anni di “putinismo”. Autoritarismo e oligarchia economica sono le caratteristiche principali del sistema Russia

 

CHE SORPRESA! – Anche se pochi osservatori speravano davvero in qualche sorpresa per le elezioni del 2012, la ricandidatura di Putin per la Presidenza e quella di Medvedev per la Premiership rappresentano una delusione per coloro che consideravano desiderabile uno sviluppo della politica russa nella direzione di una maggiore competitività politica. Un’alternativa sarebbe potuta essere la sfida fra Medvedev e Putin, i quali erano visti come rappresentati di due correnti diverse o almeno come due ramificazioni di una corrente politica: l’una più dura e nazionalista (si pensi al discorso di Putin nel 2007 a Monaco), l’altra più aperta e in qualche modo più liberale in senso politico (“libertà è meglio che non-libertà”, come disse Medvedev all’inizio della sua presidenza). Anche alcuni esperti russi, come Igor Jurgens (capo dell’INSOR, think tank vicino a Medvedev), credevano addirittura in una “guerra segreta” di Medvedev contro i rappresentanti della linea dura. Dunque, se fosse stato così, Medvedev questa guerra l’ha ovviamente perduta. Con la ricandidatura di Putin però, secondo noi, diventa ovvio quello che in molti temevano: ovvero che Medvedev era solo un luogotenente di Vladimir Vladimirovich.

 

QUALE DEMOCRAZIA? – C’è comunque da ragionare sul concetto di democrazia e sull’interpretazione di questo concetto in un paese complesso, che si definisce euroasiatico. Un primo spunto viene dall’adesione formale a vincoli costituzionali. Il fatto che Putin a differenza di altri leader post-sovietici (come ad esempio Lukašenko della Bielorussia) non abbia modificato la costituzione per tenere il posto è comunque un indicatore della complessità dell’attuale sistema politico. Sin dalla fine dell’Unione Sovietica fino ai nostri tempi esistono due forti interpretazioni di “democrazia” in Russia – la prima articola la democrazia in termini di stato di diritto; la seconda invece vede la democrazia come la forma di stato più degna di uno stato moderno e sviluppato. Le apparenze democratiche sono quindi anche dovute ad un impeto interno e non solo a pressioni internazionali, come ritenuto da molti osservatori esterni. Tuttavia la democrazia deve essere limitata da vincoli “nazionali” – per lo meno questa è la scusa dell’attuale regime nella definizione dell’ideologo Surkov. La spiegazione – riportata più volte anche da Medvedev – è che una piena democrazia ripiomberebbe la Russia nel “caos” che aveva segnato gli ultimi anni di Gorbacev o l’interregno di Boris Eltsin. La fine dell’Unione Sovietica aveva effettivamente coinciso con una fase di instabilità politica totale che solo l’arrivo di Putin al Cremlino aveva saputo arrestare. Ovviamente però, la stabilità ottenuta attraverso sostanziosi limiti alla democrazia non può essere alla base di un sistema politico solido. Con Putin, il controllo del paese semplicemente passò  da un’oligarchia privata ad un sistema misto pubblico-privato, in cui agli oligarchi si affiancarono i fidati burocrati il cui scopo era mantenere saldo il controllo politico sul paese. Anche su questi temi diventa evidente il fallimento di Medvedev che in principio aveva preso nettamente le distanze da ogni “democrazia con aggettivi”, ovvero da una democrazia “alla russa” o “sovrana”.

 

LA SITUAZIONE DELL’ECONOMIA – E’ altresì importante analizzare la complessità della situazione economica della Russia. Se da un lato il “sistema Putin” ha allargato (poco e faticosamente) la classe media, almeno nei grandi centri urbani, distribuendo una piccola parte dei proventi provenienti dalle materie prime, dall’altro ha fallito completamente nella diversificazione dell’economia russa, che resta legata al prezzo del petrolio. Un altro problema spesso ammonito sia dalla stampa estera che dall’opposizione russa è quello della corruzione, partendo dalle forze dell’ordine. La corruzione è in forte contrasto con la interpretazione di democrazia come rule of law. Medvedev, negli ultimi anni aveva provato a riformare la polizia, ma queste non hanno prodotto risultati palpabili. Sia Putin che Medvedev hanno fallito poi nella rottura dei monopoli oligarchici. La strategia adottata è stata un’altra: le compagnie private potevano adeguarsi al gioco economico del Cremlino oppure essere nazionalizzate. Per gli altri casi non rimaneva che la galera, come nel caso di Khodorkovsky. Il trattamento unico riservato all’oligarca (certamente non l’unico saccheggiatore di industrie statali negli anni di Eltsin)  da parte di Medvedev sembrava dimostrare come la legalità in Russia fosse secondaria rispetto alla vendetta personale di Putin. L’episodio ha inoltre toccato un altro punto debole della politica del Cremlino, ovvero il sistema giudiziario, mai riformato con successo, la cui efficacia è indispensabile per assecondare lo sviluppo economico.

 

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COS’E’ LA RUSSIA? – Un’altra questione in gioco riguarda l’eterno problema dell’identità russa. Essendo uno stato multinazionale, con cittadini di etnia diversa, la questione dell’integrazione diventa piuttosto complicata, specie nelle grandi città come Mosca e San Pietroburgo. Mentre Elsin provò ad introdurre il termine rossyianie, sottolineando la cittadinanza comune, Putin enfatizzò questo concetto molto meno, favorendo invece un’idea aperta dell’essere russi – tutti possono esserlo se aderiscono alla cultura russa – suscitando insicurezze e dubbi nei cittadini di etnie differenti. Medvedev, aveva messo in atto un unico ma importante tentativo di risolvere il problema, annunciando un piano per lo sviluppo economico del Caucaso (specie dell’Ingushetia). Aveva capito che le misure di polizia o militari non bastano per garantire la sicurezza ai propri cittadini. La Cecenia è invece il caso paradigmatico del fallimento del metodo Putin: un regime fantoccio pagato da Mosca esercita un terrorismo di stato che non pacifica la regione, ma crea solo nuovi nemici. L’Ingushetia potrebbe diventare l’esempio del metodo Medvedev, ma l’esito del successo rimane più che mai incerto, a causa della corruzione sia a Mosca che nel Caucaso. Senza risolvere il problema dell’integrazione dei migranti e delle repubbliche, la Russia continua a rischiare l’instabilità. Vecchie strategie di stampo sovietico, rispolverate da Putin e parzialmente implementate dal suo successore sono apparse talvolta troppo dozzinali per garantire soluzione durature.

 

PROSPETTIVE – A questo punto, e a meno di inimmaginabili colpi di scena, Putin tornerà al Cremlino e governerà fino al 2018, con buone chance di proseguire fino al 2024. Se così fosse sarà difficile non pensare a lui come ad uno zar o un segretario del Pcus. Ma ciò che conta maggiormente è vedere come si comporterà il prossimo presidente. Se riuscirà ad alleviare i problemi chiave discussi sopra, che determinano grandi sofferenze per una parte consistente della popolazione. Nonostante un senso diffuso di rassegnazione, il popolo russo non si accontenterà per sempre di vivere in un paese arretrato, soggiogato dalla corruzione all’interno dello stato. Un paese in cui il sistema giudiziario favorisce i potenti e gli influenti e in cui la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi. Tutto questo nonostante le grandi potenzialità e risorse del paese. Risolverà Putin questi problemi? Ironicamente, il capro espiatorio potrebbe diventare proprio Medvedev. Chissà se alla fine i russi saranno semplicemente stufi della stessa immutabile ed inefficacie classe politica, delle sue promesse spesso vuote e del medesimo, eterno capo di stato.

 

Philipp Casula e Fabio Mineo

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