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Algeria, la pentola che scotta

L’Algeria è un Paese attraversato da mille contraddizioni: politiche, sociali, economiche, militari. Guardiana dello status quo, non riesce a distaccarsi da meccanismi di potere che risultano essere ormai obsoleti e che la condannano a una staticità perenne. Stretta tra la morsa della corsa allo sviluppo attraverso la vendita di idrocarburi e i nuovi fermenti del terrorismo islamico che assecondano, in parte, i venti del nuovo Califfato, Algeri si mostra oggi come un calderone di eventi che si susseguono.

LA STORIA SI RIPETE – Le elezioni presidenziali in Algeria, svoltesi lo scorso aprile, non hanno rappresentato alcuna svolta per il Paese rispetto al passato. Il presidente Abdelaziz Bouteflika, in carica dal 1999, è stato rieletto per il quarto mandato e questo sottolinea l’importanza della sua figura per garantire continuità a quel sistema di potere immobile, capeggiato dallo Stato Maggiore, che governa il Paese dall’indipendenza. La staticità dell’apparato politico rispecchia il ristagno della situazione interna, andata peggiorando negli ultimi anni. La perpetuata difesa dello status quo – caratterizzato da malcontento sociale diffuso, disoccupazione, povertà, terrorismo, continue proteste innescate dalle minoranze etniche presenti nel Paese… – non permette ad Algeri di definire una svolta, in particolare dal punto di vista delle riforme. Nonostante il Paese sia stato colpito solo lievemente dalle rivolte arabe e abbia avviato (anche se non del tutto) una strategia di non interferenza negli affari interni degli Stati vicini, il suo potere nel contesto regionale non è cresciuto, come invece avrebbe tanto desiderato. Il risultato è stato una perdita di autorevolezza non solo in Africa, ma anche nel mondo.

L’ALGERIA TREMA DINNANZI AL CAOS LIBICO – L’Algeria guarda con preoccupazione alla forte instabilità della vicina Libia, principalmente perché teme che l’estremismo islamico – e in particolari i gruppi che maggiormente inneggiano al jihad – possa scavalcare i confini nazionali e ricongiungersi con quell’ala radicale islamica che dopo le vittorie politiche dei primi anni Novanta non ha mai abbandonato il Paese. Questo sarebbe preoccupante, anche considerando la presenza di tanti giovani disagiati, che nell’appello al jihad troverebbero un’opportunità di riscatto e sfogo, venendone attratti.

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TERRORISMO ALGERINO – La sicurezza nel Paese è piuttosto vacillante. È notizia di pochi giorni fa l’uccisione di un turista francese sequestrato dal gruppo jihadista algerino Jund al-Khilafah, in passato legato ad al-Qaida, ma che ora si richiama al Califfato. Si può dunque affermare che quest’ultimo stia conquistando anche il Nord Africa? Probabilmente è presto per dirlo. Tuttavia aumenta il fenomeno di gruppi geograficamente lontani che si dichiarano affiliati all’ISIS, in una sorta di “franchising del terrore” che assicura maggiore notorietà e rilevanza. La guida alpina francese Hervé Gourdel è stato ucciso con le stesse modalità usate dall’ISIS per le esecuzioni degli americani Foley, Sotloff e del britannico Haines. Questo episodio non è un caso isolato, anche se è importante affermare che qui il terrorismo ha caratteristiche proprie, meno propenso all’uso massiccio della violenza contro i civili: sono infatti numerosi i gruppi terroristici che combattono principalmente contro l’esercito nazionale, soprattutto nel Sud del Paese. Jund al-Khilafah è pertanto solo una delle tante formazioni che compongono lo scenario del terrore algerino, che ha visto un’evoluzione (dal punto di vista della tattica e della strategia militare) all’indomani del ritorno in patria dei molti militanti qaidisti andati a combattere tra le file dei talebani. A complicare la situazione della sicurezza, non è possibile poi ignorare tutti quegli episodi di violenza interna che si verificano tra le numerose minoranze etniche e tribali che il Paese ospita.

IL FRAGILE GIGANTE – L’Algeria rappresenta il terzo Paese esportatore di gas naturale verso l’Europa. L’Italia si posiziona al primo posto tra gli acquirenti, ed è proprio negli alti livelli di produzione energetica algerina che si riscontra la grande importanza del settore degli idrocarburi per l’economia nazionale. Tuttavia due sono i problemi da affrontare al riguardo: la sicurezza e la sostenibilità stessa dello sviluppo energetico. Riguardo alla prima questione, si ricorda la crisi di In Amenas nel gennaio 2013, quando un commando armato capeggiato da Mokhtar Belmokhtar (ex combattente qaidista ora capo delle brigate al-Muwaqqi’un bil-Dima) irruppe nel sito petrolifero di Tigantourine (appunto vicino a In Amenas), prendendo in ostaggio 800 lavoratori e rallentando notevolmente la produzione del sito. Il caso mise in evidenza la forte dipendenza dell’Europa, in particolare dell’Italia, dall’Algeria e nonostante la ripresa dei ritmi dell’export, lo spettro della riproposizione di eventi come questo continua a preoccupare gli investitori internazionali e quelli del vecchio continente. I gruppi terroristici, del resto, hanno bene in mente il valore di tali obiettivi per spaventare l’Europa: il 60% dell’energia prodotta in Algeria è destinata al continente europeo; Algeri possiede le decime riserve di idrocarburi di tutto il mondo e le seconde dell’Africa intera; davanti alla Russia, l’Algeria è il primo fornitore di gas naturale dell’Italia. Per quanto riguarda il secondo punto, invece, recentemente le analisi sulla sostenibilità dello sviluppo energetico hanno rivelato la probabile incapacità di sostenere la crescente richiesta interna ed estera nei prossimi due decenni. Questo ha spinto Algeri a cercare vie alternative ai propri fabbisogni, per esempio tentando di estrarre idrocarburi non convenzionali: le prime esplorazioni hanno individuato riserve da oltre 17mila miliardi di metri cubi di shale gas in territorio algerino. Qualora sfruttata, tale quantità di gas potrebbe garantire un abbassamento dei prezzi degli idrocarburi convenzionali e la piena sostenibilità del fabbisogno energetico del Paese. Tuttavia la buona disponibilità di idrocarburi ha storicamente costretto il Paese a essere fortemente ancorato ai loro proventi, disincentivando una diversificazione economica. Inoltre, l’incapacità dell’élite politica di attrarre e intercettare le attese degli investitori, congiuntamente alla corruzione e ai rapporti clientelari mascherati da una sovrabbondante burocrazia, cominciano a preoccupare anche i finanziatori esteri. Prosegue dunque l’accentramento dell’economia algerina camuffato da interesse nazionale e sicurezza del Paese, ma non è detto che sia sostenibile ancora a lungo.

Sara Pretelli

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più

Jund al-Khilafah (che tradotto significa “I soldati del Califfato”) è il gruppo che si è reso responsabile dell’uccisione del turista francese lo scorso 25 settembre in Algeria. Si tratta di una formazione fondamentalista islamica jihadista, che tra le poche informazioni che emergono risulta essere da parecchi anni la longa manus di al-Qaida nel Paese, ma che verso le metà di settembre ha spezzato la storica alleanza, giurando fedeltà al califfo al-Baghdadi. Il gruppo, capeggiato da Khaled Abu-Suleiman ex militante di al-Qaida in Norda Africa, si è quindi imposto come obiettivo quello di ricondurre sulla retta via tutti quei Paesi (non solo del Maghreb, ma anche del Sahel) che si sarebbero smarriti. [/box]

 

Foto: Damouns

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Sara Pretelli
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