Le immagini che arrivano dalle zone di conflitto ogni giorno ci mostrano ragazzi e bambini della piĂą tenera etĂ in pose minacciose, che imbracciano kalashnikov invece di giocattoli, spesso piĂą grandi di loro. Obbligati con la violenza, sottoposti ad abusi, drogati dai loro graduati per poi essere lanciati in efferatezze, sono i bambini soldato, mercenari a costo zero dei conflitti moderni. Cerchiamo di capirne di piĂą in 3 sorsi.
1. UN ESERCITO NEL MONDO – Sono piĂą di 300mila i ragazzi e le ragazze sotto i 18 anni attualmente impegnati in conflitti nel mondo. Centinaia di migliaia hanno combattuto nell’ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri negli eserciti di opposizione, liberazione o, come ora in Siria e Iraq, nel terrorismo. La maggioranza di questi hanno da 15 a 18 anni, ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza che si nota è verso un abbassamento dell’etĂ fino a 5-6 anni. Inoltre decine di migliaia corrono il rischio di diventare soldati all’apertura di nuovi fronti di guerra. La situazione piĂą grave, anche a causa della cronicitĂ dei conflitti, è in Africa (il rapporto presentato nell’aprile scorso a Maputo parla di 120mila soldati con meno di 18 anni), seguono Asia e ora Medio Oriente, dove il conflitto iracheno prima e quello siriano poi sono alimentati col reclutamento di bambini. Negli ultimi 10 anni è documentata la partecipazione a conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni in 25 Paesi. Se i piĂą grandi vengono usati come truppa, i piĂą piccoli hanno funzione di “portatori” di munizioni e vettovaglie e di vedette, mentre le ragazze (si stima formino fra il 25 e il 30 per cento delle forze) devono soddisfare, se così si può dire, le “necessità ” dei soldati. BenchĂ© con ruoli diversi, tutti loro rischiano la propria vita, perchĂ© esposti ai pericoli della battaglia e delle armi, sono trattati brutalmente e puniti in modo estremamente severo per gli errori commessi, fino all’esecuzione sommaria in caso di tentativi di fuga. Anche se l’arte della guerra è considerata un lavoro – basti pensare ai militari di carriera o ai mercenari – a livello giuridico internazionale l’uso di bambini soldato è considerato una forma di lavoro illegittimo per la sua natura pericolosa. L’etĂ minima, secondo la Convenzione n. 138, è di 18 anni.
2. STORIA E PRESENTE – GiĂ nella Seconda guerra mondiale molti ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento, perchĂ© è cambiata la natura dei conflitti, diventati oggi prevalentemente etnici, religiosi, nazionalistici e combattuti con metodologie di guerriglia con al centro la popolazione. Secondo uno studio dell’Unicef, i civili rappresentavano all’inizio del secolo il 5 per cento delle vittime di guerra, mentre oggi costituiscono il 90 per cento. I “signori della guerra” non si curano delle Convenzioni di Ginevra e spesso considerano i bambini come nemici in base alla loro appartenenza religiosa o etnica. L’uso di armi automatiche ha reso piĂą facile l’arruolamento dei minori, perchĂ© riescono a maneggiarle. Inoltre, questi militari sono a costo zero: non chiedono paghe, si fanno indottrinare e controllare piĂą facilmente di un adulto e affrontano il pericolo con l’ingenuitĂ e l’incoscienza proprie della giovane etĂ (come i bambini basij in Iran, che attraversano addirittura i campi minati). In ultimo la lunghezza dei conflitti rende sempre piĂą urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite subite, fino a ricorrere a ragazzi di etĂ inferiore a quanto stabilito dalla legge, o perchĂ© non si seguono le procedure normali di reclutamento o perchĂ© semplicemente essi non hanno documenti che dimostrino la loro vera etĂ , nĂ© una famiglia che li possa rivendicare. In molti di questi casi, addirittura, i ragazzi sono volontari e scelgono questa via per sopravvivere alla fame, per bisogno di protezione o semplicemente perchĂ© non sanno piĂą dove andare, essendo “ragazzi di strada”. Diversi studi fatti da ONG e agenzie delle Nazioni Unite mostrano come la maggioranza dei ragazzi che si arruola volontariamente lo fa come risultato di un’esperienza di violenze subite personalmente o viste infliggere ai propri familiari da parte di truppe: sono quindi mossi da una certa cultura della violenza o dal desiderio di vendicare atrocitĂ commesse contro i loro parenti o la loro comunitĂ .
3. IL DIFFICILE RITORNO ALLA VITA – I ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno accusato mutilazioni o altre ferite invalidanti riportano comunque diverse conseguenze sul piano fisico che avranno ripercussioni sul loro sviluppo, come denutrizione a vari stadi e malattie, incluso l’AIDS. Inoltre ci sono le ripercussioni psicologiche, dovute al fatto di essere stati testimoni di atrocitĂ o di averle commesse: senso di panico e incubi continuano a perseguitarli anche dopo anni. Non mancano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltĂ , se non addirittura l’impossibilitĂ , a reinserirsi nel tessuto famigliare e nel villaggio e a riprendere gli studi finisce per relegarli ai margini della societĂ . Sorte ancora piĂą triste è quella delle ragazze, che dopo essere state nell’esercito, spesso malate o con figli, finiscono col diventare prostitute. L’ostacolo al reinserimento nella societĂ per i bambini soldato è rappresentato anche dalla paura della popolazione civile nei loro confronti: in situazioni di tensione sono meno capaci di autocontrollo degli adulti e quindi sono percepiti “dal grilletto facile”. Per di piĂą, molti testimoni ne ricordano le atrocitĂ commesse e non accettano una riconciliazione, negando loro la riabilitazione. Attualmente, a seguito del perpetrarsi delle violenze in Siria, per poter meglio comprendere il tipo di ragazzi che potrebbero diventare bambini soldato e per poter attuare politiche di tutela, le Nazioni Unite hanno provveduto a individuare le principali categorie a rischio. Si è osservato come la maggioranza dei bambini soldato siano ragazzi separati dalle loro famiglie (orfani, rifugiati non accompagnati, figli di single), provenienti da situazioni economiche o sociali svantaggiate (minoranze, ragazzi di strada, sfollati) e che vivono nelle zone calde del conflitto. Situazione ancor piĂą di pericolo è per chi vive in campi profughi, poichĂ© le famiglie e le comunitĂ sono distrutte, i ragazzi sono abbandonati a se stessi in una situazione di  grande incertezza sia per il presente, sia per il futuro. I rifugiati sono così spesso alla mercĂ© delle milizie, che si presentano come unica e inevitabile risposta concreta.
Maria Sole Zattoni
[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in piĂą
Spunti giuridici – Il Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti dell’infanzia relativo al coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati del 2000 aumenta l’etĂ minima per la partecipazione dai 15 ai 18 anni (art. 1) e vieta il servizio di leva e il reclutamento forzato sotto i 18 anni (art. 2). Lo Statuto della Corte penale internazionale del 1998 pone come crimine di guerra l’arruolamento di bambini sotto i 15 anni e il loro utilizzo nella partecipazione attiva alle ostilitĂ in conflitti internazionali e interni. La Convenzione n. 182 dell’Organizzazione internazionale del lavoro del 1999 definisce il reclutamento forzato e obbligatorio di bambini una delle «peggiori forme di lavoro minorile» e lo vieta.[/box]