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Una nuova repubblica asiatica

Lo scorso 30 ottobre, ad un anno e mezzo circa dal colpo di stato che ha portato alla destituzione dell’ex Presidente Kourmanbek Bakiyev, alla costituzione di un governo provvisorio guidato dal Presidente ad interim Roza Otunbayeva e dai violenti scontri etnici avvenuti tra la maggioranza kirghiza e la minoranza uzbeka, il Kirghizistan è tornato alle urne. Il nuovo Capo di Stato eletto già al primo turno, con il 62,8% delle preferenze, è l’ex Primo Ministro uscente Almazbek Atambaiev, leader filorusso del Partito socialdemocratico

UNA REPUBBLICA PARLAMENTARE IN ASIA CENTRALE – Il Kirghizistan, piccola repubblica centrasiatica nata dal crollo dell’Unione Sovietica, è considerata dai più importanti osservatori internazionali quasi uno “stato fallito” ed è relegata agli ultimi posti di tutte le classifiche di Freedom House e Human Rights Watch che misurano gli standard politici, civili e sociali e in quelle che prendono in considerazione gli standard economici e finanziari.

Ciò nonostante da un anno è riuscita, a dispetto dei suoi vicini – ben più importanti per dimensione, popolazione e risorse energetiche possedute – a trasformare attraverso un referendum popolare la sua forma di governo da democrazia presidenziale a democrazia parlamentare. Un passo notevole per un Paese dove la figura dell’uomo forte al governo è una costante del panorama politico.

L’instaurazione del sistema democratico in uno stato asiatico, governato a lungo dal regime sovietico e divenuto indipendente solo da un ventennio, non può non essere influenzato e rispecchiare i caratteri peculiari della storia e della cultura che gli sono propri, ma per usare le parole del coordinatore speciale della missione degli osservatori dell’OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe) Walburga Habsburg Douglas, si può dire di essere “prudentemente ottimisti per il futuro della democrazia in Kirghizistan”. Nonostante siano state rilevate delle “irregolarità significative” le elezioni per la nomina del nuovo Presidente si sono svolte infatti senza scontri in un clima di assoluta tranquillità. Le elezioni dell’ottobre del 2010 nelle quali i kirghizi si sono recati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento e quelle di quest’anno per l’elezione del nuovo Presidente sono state, quindi, un banco di prova importante per la democrazia.

IL PANORAMA POLITICO-ELETTORALE – Questo aspetto assolutamente positivo però non deve ingannare. Il frazionamento politico in Kirghizistan è fortissimo ed è espressione delle diverse regioni del Paese, dei clan dominanti e delle etnie presenti al suo interno, tanto che inizialmente si erano iscritti alle liste elettorali ben 86 candidati, in un paese che raggiunge appena i 5 milioni di abitanti. Il numero dei candidati è stato poi ridotto a 19 dalla Central election commission (Cec) a causa delle mancanza dei requisiti necessari per la partecipazione alle elezioni della maggioranza di essi.

Il principale protagonista della campagna elettorale è stato senz’altro l’ormai ex Primo Ministro Atambaiyev (nella foto sopra) – già favorito – insieme ai suoi due principali avversari Adakhan Madoumarov proveniente dalla provincia di Osh, espressione delle istanze del sud, che ha guadagnato poi il 14,9% dei voti, e Kamtchybek Tachiev, dello Ata Jurt, anche lui radicato nel sud del paese sostenitore del nazionalismo estremo e dell’ex presidente Bakiyev. Questi ultimi, quindi, esponenti del nazionalismo e di quella parte sud del paese dove lo scorso anno ci sono stati i violenti scontri etnici. Mentre l’attuale Presidente ad interim, in carica fino alla fine dell’anno e che ha guidato il paese dopo l’allontanamento di Bakiyev, non si è presentata alle elezioni.

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IL RISULTATO ELETTORALE E LE ACCUSE DI BROGLI – Vista la conformazione dei collegi elettorali molti analisti internazionali inizialmente sostenevano che nessun candidato avesse la forza per vincere le elezioni al primo turno e che pertanto si sarebbe necessariamente passati alla fase del ballottaggio, ma a dispetto di ogni previsione, le cose sono andate diversamente. Atambaiyev ha ottenuto già al primo turno il 63,24% delle preferenze.

Gli osservatori dell’OSCE, benché abbiano dichiarato che le elezioni si siano svolte in un clima calmo e pacifico nel rispetto delle libertà fondamentali, hanno anche registrato il verificarsi di irregolarità significative e gravi problemi organizzativi il giorno dello spoglio. Tali dichiarazioni hanno scatenato le ire degli oppositori che hanno richiesto l’immediato annullamento del voto rifiutandosi di riconoscere la vittoria del neo-premier, con la promessa – in caso contrario – di “inevitabili disordini”. Nei giorni scorsi ci sono state le prime manifestazioni di protesta anche se fortunatamente i due candidati sconfitti non hanno lanciato uno specifico appello alla popolazione perché scendesse in massa per le strade e la situazione sembra almeno per il momento sotto controllo.

NUOVE E IMPORTANTI SFIDE ATTENDONO IN KIRGHIZISTAN – Non solo il risultato elettorale, ma anche le modalità con cui i kirghizi sono andati al voto mostrano ancora una volta le enormi spaccature presenti tra il nord e il sud del paese. L’affluenza alle urne che ha raggiunto a livello nazionale il 57%, è stata molto forte al nord, dove sono radicati i sostenitori di Atambaiyev mentre al sud, roccaforte dei sostenitori dell’ex presidente Bakiyev e dove risiedono le radici dell’odio tra kirghizi ed uzbeki, è stata molto bassa. Non deve quindi essere sottovalutato il fatto che si tratta di un paese che in sei anni ha conosciuto due rivoluzioni – la prima, la Rivoluzione dei Tulipani nel 2005 per destituire di dittatore Akayev e la seconda nell’aprile dello scorso anno per destituire Bakiyev – violenze etniche inaudite, la pressione delle potenze internazionali, che la considerano una zona strategica dello spazio post-sovietico, e vittima di governi incapaci di promuovere lo sviluppo ed il progresso del paese.

Subito dopo la sua elezione Atambayev ha dichiarato: "La gente è stanca di proteste, non vuole altro sangue. Abbiamo già avuto abbastanza rivoluzioni. E' tempo di lavorare". Il neo-Presidente ed il suo esecutivo dovranno dimostrare, quindi, di essere in grado di trovare un accordo trasversale con le diverse anime del paese in modo da assicurare un miglioramento sostanziale alla condizione socio economica del paese e soprattutto di guidare il paese attraverso la democrazia parlamentare senza cedere alla tentazione di dare vita ad un nuovo “sultanato” simile a quelli dei suoi predecessori, per scongiurare l’esplosione di nuove violenze. Il paese guarda avanti, i kirghizi sembrano essere divenuti più consapevoli dei risultati finora raggiunti e delle sfide future che li attendono e guardano al neo-presidente con una nuova speranza. Saprà quest’ultimo soddisfare le esigenze del paese?

Marianna Piano [email protected]

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